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Bullismo nei luoghi di lavoro

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MOBBING: RELAZIONE TRA VITTIMA E AUTORE


mobbing e bullismoIl bullismo sul luogo di lavoro è definito come una situazione dove un individuo, per un prolungato periodo di tempo, è stato esposto a atti negativi da uno o più soggetti per il quale è stato difficile difendersi. La prevalenza del bullismo mostra diverse variazioni, che dipendono dai criteri utilizzati per misurarlo.

Quando la definizione di bullismo è prevista per gli intervistati, la conoscenza del mobbing (bullismo sul luogo di lavoro) varia tra il 2% al 17 %, ma senza considerare la definizione e utilizzando il comportamento dettato dall’esperienza, ossia la percezione di essere sottoposti a diversi tipi di azioni negativi, la percentuale di conoscenza è leggermente più elevata e varia dal 15% al 20%.

Secondo la letteratura, il mobbing è per lo più effettuato da colleghi e capi, con delle varianti in base ai paesi in cui si trovano. Mentre molti studi in America, Inghilterra e Europa evidenziano, costantemente, che dal 50% al 70% di casi il bullismo coinvolge i capi, in Scandinavia (specialmente in Danimarca, Svezia e Finlandia) i colleghi sono coloro che commettono di più atti di bullismo. Questa variazione può essere spiegata dalle differenze interculturali relative alle relazioni sociali, alla cultura organizzativa e ai valori e agli atteggiamenti legati al lavoro.

Per quanto riguarda gli effetti sulla salute, la letteratura evidenzia un effetto negativo del bullismo sulla salute psicologica. Studi longitudinali con 1 o 2 anni di follow-up hanno dimostrato che il bullismo produce una gamma di effetti negativi sulla salute psicologica come lo stress psicologico, disturbi del sonno, depressione e ansia. In aggiunta, gli studi hanno rilevato che gli effetti a lungo termine come le esperienze di emarginazione sociale sul luogo di lavoro aumentano il rischio di sviluppare disturbi mentali anche dopo 3 – 6 anni di follow-up.

Due studi Danesi, inoltre, hanno mostrato un aumento del rischio di depressione è più frequente in soggetti vittime abituali di bullismo che in quelli che occasionalmente lo subiscono. Si è dimostrato che gli effetti dell’esposizione a comportamenti offensivi come il bullismo e altri tipi di molestie può dipendere dall’interpretazione che il bersaglio o vittima ha degli atti stessi.


Per esempio: un’infermiera che è abituata a stare a contatto con pazienti che hanno disturbi psichiatrici e quindi possono avere comportamenti inappropriati, interpreta in modo diverso le molestie o i comportamenti offensivi subiti da parte di colleghi.
 In linea con questa tesi, è stato dimostrato che nei servizi di assistenza agli anziani, il bullismo subito da parte dei colleghi o dei dirigenti è fortemente associato al concetto di turnover piuttosto che alle minacce, alla violenza e alle indesiderate attenzione sessuali che soggetti con menti deteriorate (pazienti) possono compiere.


Analogamente, si è dimostrato che più il rapporto di lavoro tra “vittima e carnefice” è formale, più quest’ultimo acquisirà potere. Tale atto, quindi, sarà recepito in modo ancor più negativo da parte della vittima.


La Teoria Cognitiva di Attivazione dello Stress (CATS) potrebbe contribuire alla spiegazione teorica del perché i parametri del mobbing sono differenti in base a chi lo effettua.
L’elemento chiave del CATS è l’aspettativa di sviluppare stimoli che possono essere positivi (attività di coping, ossia quelle attività che secondo la definizione di Lazarus e Folkman sono l’insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi adoperati per gestire richieste interne e esterne che mettono alla prova le risorse di una persona), inesistenti (inducono impotenza) oppure negativi (senza nessuna speranza).

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Da un lato, in caso di mobbing da parte di un capo, la vittima non può prevedere e controllare il risultato di tali azioni, attivando un atteggiamento di impotenza che può portare alla disperazione. Dall’altro, nel caso l’atto di bullismo è svolto da parte di qualcuno che ricopra un ruolo inferiore nella gerarchia organizzativa (ad esempio subordinati o clienti) le vittime possono percepire un maggiore controllo sulla situazione, sviluppando aspettative di esito positivo ossia attività di coping che possono basarsi sul sostegno da parte del capo oppure sul trasferimento in un altro reparto lavorativo.  

Di conseguenza, emerge che le vittime di bullismo da parte dei loro capi non sono in grado di gestire la situazione in modo positivo e questo può danneggiare la loro salute psicologica in maniera più elevata rispetto a coloro che riescono a far fronte ad atti di bullismo. In tale contesto, emerge che il livello dei sintomi depressivi derivanti dal mobbing varia in base a chi effettua tali atti. In base alle nostre conoscenze, non esistono studi precedenti che hanno indagato sulla relazione tra l’autore dell’atto e la salute mentale (intesa come sintomi depressivi) della popolazione lavorativa in generale.

Pertanto, lo scopo di tale studio è quello di indagare su come i sintomi depressivi degli intervistati cambino in base agli autori di bullismo.
Più in particolare, abbiamo confrontato il livello dei sintomi depressivi tra coloro che dichiarano di essere stati vittime di mobbing, sul posto di lavoro, da parte dei loro capi, colleghi, subordinati oppure clienti. Abbiamo ipotizzato che: le vittime di bullismo da parte del proprio capo riportano sintomi depressivi più gravi rispetto agli altri gruppi; mentre le vittime di bullismo da parte di clienti o subordinati riportano sintomi depressivi meno gravi.

QUESTIONARI UTILIZZATI

Per iniziare l’analisi, è stata sollevata la differenza tra gli impiegati che si etichettano come vittime di bullismo (in termini di personalità e salute mentale) rispetto a quelli che non si riconoscono come tali. Onde evitare tale problematica, l’analisi principale del presente studio include solo i partecipanti che si etichettano come vittime di bullismo, mentre in un’ulteriore analisi abbiamo confrontato i sintomi depressivi tra coloro che si sentono vittime e coloro che non si sentono tali.
Per ottenere un numero elevato di soggetti da studiare, abbiamo incluso nello studio i dati ottenuti da due indagini trasversali della popolazione attiva generale danese ottenuti dal DWECS 2010 (Studio di Lavoro e Ambiente della Corte Danese) e dal WH 2012 (Studio sul Lavoro e La salute). Sebbene i due questionari non erano identici, risultavano idonei ai fini dello studio.

DWECS

Il questionario comprendeva 62 domande circa l'ambiente di lavoro e la salute. Il DWECS 2010 si basa su 30.000 individui danesi selezionati, in modo casuale, di età compresa tra i 18 ei 59 anni. Il campione è stato selezionato ai primi di settembre 2010.
Nell'ottobre 2010, alle persone selezionate è stato inviato un questionario per posta con l'invito a partecipare al sondaggio. Ai soggetti è stata offerta la possibilità di scegliere tra un documento cartaceo e una versione online del questionario. Coloro che non rispondevano alla prima richiesta sono stati contattati di nuovo sia con il documento cartaceo che con una versione online del questionario. In caso di mancata risposta dopo il secondo sollecito, i soggetti sono stati contattati via telefono, e sono stati incoraggiati a partecipare al sondaggio.

Nel complesso, 14.453 persone hanno risposto al questionario, ottenendo, così, un tasso di risposta del 48%, ma solo 10.605 i partecipanti sono stati utilizzati, risultando idonei ai fini dello studio. Di questi, il 47% erano maschi e il 53% erano donne.
La prevalenza di mobbing è stata valutata mediante la seguente domanda: “Siete stati esposti, per diversi mesi, a trattamenti spiacevoli o degradanti contro cui era difficile difendersi?" Agli intervistati è stato chiesto di riferire se fossero stati esposti a mobbing negli ultimi 12 mesi, chiedendo loro di scegliere una delle seguenti categorie di risposta: (a) NO; (B) Sì, dai colleghi; (C) Si, da un leader; (D) Si, da subordinati; (E) Sì, da parte dei clienti / pazienti / studenti.

WH 2012

Il questionario conteneva 55 domande principali in materia di sicurezza e salute sul lavoro, nonché alcune domande per quanto riguarda il bere, il fumo e l'esercizio fisico. Lo studio si basa su un campione di popolazione attiva per un totale di 35.000 persone di età compresa tra 18 e 64 anni, con residenza in Danimarca. Una campionatura casuale di 35.000 persone ha ricevuto una lettera in aprile 2012 con l'invito a partecipare al sondaggio. Coloro che non rispondevano alla prima richiesta sono stati ricontattati sia con la versione online e sia con una cartacea del questionario. Nel complesso, 16.412 persone impiegate hanno scelto di rispondere al questionario, ottenendo un tasso di risposta del 47%. Di questi, il 46% erano maschi e il 54% erano donne.


Nel DWECS 2010 e WH 2012, rispettivamente il 9,7% e il 11,9% degli intervistati erano stati esposti al bullismo sul posto di lavoro. Questi risultati implicano che la maggior parte degli intervistati stava lavorando sul posto di lavoro in cui il bullismo si è verificato durante la compilazione del questionario.
La prevalenza di mobbing sul posto di lavoro è stata valutata utilizzando la seguente definizione: "Il bullismo si verifica quando una persona più volte, per un lungo periodo di tempo, è stata esposta ad atti offensivi da una o più persone, ossia a tutte quelle azioni che la persona percepisce come offensive o degradanti".

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Agli intervistati è stato chiesto di indicare se fossero stati esposti al mobbing sul posto di lavoro negli ultimi 12 mesi, chiedendo loro di scegliere tra le seguenti opzioni: (a) Sì, tutti i giorni; (B) Sì, ogni settimana; (C) Si, mensile; (D) Sì, di tanto in tanto; o (e) Mai. Nella successiva domanda, a coloro che sono esposti al bullismo sul posto di lavoro è stato chiesto di indicare l'autore di tale atto: (a) i colleghi; (B) il leader; (c) subordinati; e (d) clienti / pazienti / studenti. Per questa domanda, i partecipanti potrebbero scegliere più categorie (tale opzione non era prevista nel DWECS 2010).


DISCUSSIONI

Nel DWECS 2010 abbiamo scoperto che i soggetti vittima di bullismo da parte dei loro clienti avevano dei disturbi di salute più bassi in confronto a coloro che sono vittime di bullismo da parte dei capi o dei colleghi.
Allo stesso modo, nel WH 2012 abbiamo osservato che il bullismo effettuato dai clienti o dai colleghi induce sintomi depressivi meno gravi rispetto al bullismo attuato dai capi.
Quindi, abbiamo ipotizzato che il bullismo da parte dei capi riporta sintomi depressivi più gravi rispetto agli altri gruppi e che i disturbi provocati dal bullismo attuato dai clienti riporta disturbi meno gravi.


 I risultati del DWECS 2010 supportano le teorie di Clausen che afferma che il bullismo potrebbe essere vissuto in modo meno grave nel caso sia effettuato da clienti con capacità mentali deteriorate (come nel caso dell’assistenza agli anziani).
Tuttavia, nel nostro studio appartengono alla categoria “clienti”: i pazienti, gli studenti e i clienti; quindi tale categoria potrebbe essere interpretata in maniera molto ampia e di conseguenza non si può affermare con certezza che coloro che hanno riferito di essere vittime di bullismo da parte di clienti si riferissero solamente a pazienti con malattie mentali.

Inoltre, nel caso di bullismo da parte di clienti, le vittime possono avere la possibilità di cercare supporto dai loro capi oppure dai colleghi per contrastare tali atti. È interessante notare come i sintomi depressivi avuti in caso di bullismo da parte di subordinati (intesi come un gruppo di soggetti che ha meno potere nella gerarchia sociale) non siano meno gravi di quelli avuti da parte di altri.


Questo risultato va un po’ in contrasto con quello asserito in precedenza ossia che più alto è il potere formale di colui che compie bullismo più saranno gravi i sintomi depressivi. Tuttavia, ciò è riconducibile al contesto in cui sono stati scelti i soggetti ossia alla cultura organizzativa scandinava, in cui le differenze di potere degli individui nelle varie posizioni che ricoprono (sia formali che informali) sono relativamente piccole e quindi, le vittime di bullismo da parte di capi o colleghi possono manifestare gli stessi sintomi delle vittime di bullismo da parte di subordinati.

Nel WH 2012 è emerso, sorprendentemente, che i sintomi depressivi del bullismo effettuato dai clienti non è statisticamente differente da quello degli altri gruppi. Tuttavia, il bullismo effettuato da un capo è associato ad una peggiore salute psicologica intesa come sintomi depressivi più gravi rispetto al bullismo effettuato dai clienti.
Allo stesso modo, si è riscontrato che chi è stato esposto al bullismo da parte di un capo riporta sintomi depressivi più gravi rispetto alle vittime di bullismo da parte di colleghi. Questi risultati supportano la tesi relativa alla potenza del proprio ruolo dell’autore dell’atto e chi lo subisce.

La forza principale di questo studio è che tiene in considerazione due grandi campioni nazionali e rappresentativi del contesto in cui è stata svolta l’indagine. Il grado di comparabilità dei dati ottenuti dai due questionari è supportato dal fatto che la prevalenza di mobbing è stata simile in due indagini che hanno utilizzato definizioni leggermente diverse di bullismo e diverse alternative di risposte.

Ovviamente esistono anche dei punti di debolezza: a causa delle differenze tra le due indagini, abbiamo dovuto escludere coloro che sono vittime di bullismo da parte di più autori.  Inoltre, i risultati di questo studio possono essere ancora più pronunciati nei campioni provenienti da altri paesi europei (non scandinavi) dove le differenze nella gerarchia lavorativa sono associate ad una percezione del potere diversa.
 I nostri campioni rappresentano la popolazione generale danese e quindi, i risultati non sono necessariamente validi in paese in cui la cultura organizzativa è diversa da quella scandinava, che presenta dei limiti nella generalizzazione dei dati.

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Quando si confrontano i sintomi depressivi tra i soggetti analizzati emerge che gli intervistati vittima di bullismo hanno valori più alti di depressione rispetto a coloro che non sono vittime di bullismo, indipendentemente dall’autore della violenza. Si evidenzia, inoltre, un aumento dei sintomi depressivi negli intervistati che sono stati vittime di bullismo da parte di più autori in confronto a coloro che hanno subito abusi da parte di un solo autore.

Questi risultati indicano che gli intervistati che non subiscono atti di bullismo hanno una salute mentale migliore rispetto a coloro che lo subiscono e che gli individui con una salute psicologica più debole possono essere vittime di bullismo da parte di più autori. Tuttavia, a causa della natura trasversale di tale studio non ci sono motivi per credere che una salute psicologica molto debole possa essere associata a esperienze multiple di bullismo.

In secondo luogo, è plausibile che ci sia una distorsione nella segnalazione dell’autore da parte dell’intervistato a causa di altri motivi: per esempio l’intervistato può segnalare il proprio capo a causa di una generale insoddisfazione con il posto lavorativo o con il clima lavorativo.
In terzo luogo, nessuna informazione sulla vita al di fuori del contesto lavorativo, come ad esempio lo stato civile o i grandi eventi della vita, è stata tenuta in considerazione, creando quindi confusione tra le associazioni riportate.

Tali fattori sono rischi ben noti per lo sviluppo di sintomi depressivi, e se questi fattori sono differentemente distribuiti tra l’autore di bullismo e i gruppi presi in considerazione, si può avere una concezione distorta del sintomo depressivo nei vari gruppi. In generale, le spiegazioni alternative tra le differenze nei vari gruppi possono essere riconducibili ad un’errata classificazione o ad un confondimento non regolato.

Vi era inoltre, una differenza sostanziale nel modo in cui i partecipanti potevano indicare gli autori degli atti di bullismo che subivano.  Nel DWECS 2010 gli intervistati potevano scegliere un solo autore e quindi, in caso di bullismo da parte di più persone, i soggetti erano tenuti a indicare l’autore sulla base di un metodo di cui non abbiamo nessuna informazione.  Di conseguenza, non possiamo essere sicuri che nel DWECS 2010 le vittime si riferissero ad un solo autore di atti di bullismo, per cui è impossibile valutare i sintomi depressivi di coloro che sono esposti a violenza da parte di più autori.

Conclusione

I risultati di questo studio indicano che il livello dei sintomi depressivi dei dipendenti vittime di bullismo varia a seconda di chi è l'autore: sintomi depressivi più gravi sono emersi tra i dipendenti sottoposti al bullismo da parte dei loro capi, sintomi meno gravi sono presenti tra coloro che sono vittime di bullismo da parte di clienti.

Questo documento mette in evidenza l'importanza di considerare il mobbing come un grave problema per gli individui. Come si evince, il mobbing può essere percepito in modo peggiore quando l'autore è in cima alla gerarchia organizzativa.
I capi, quindi, devono essere consapevoli delle conseguenze delle loro azioni e avvertire la necessità di fare uno sforzo per evitare di diventare loro stessi autori.

Inoltre, grazie alla loro potenza di ruolo e ai loro obblighi organizzativi, i capi dovrebbero: svolgere un ruolo cruciale nella prevenzione dello sviluppo di politiche anti-bullismo e intervenire attivamente in situazioni in cui il mobbing è già dispiegato tra gli individui al fine di ridurre il conflitto esistente.

Infine, i nostri risultati sottolineano che vi è un grande bisogno di studi futuri che indaghino non solo sulle vittime di bullismo ma anche sugli autori di tali atti al fine di aumentare l’efficacia della prevenzione del mobbing nei contesti lavorativi.

 

Tratto dalla Rivista "BMC Public Health"

 

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Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Gilda Puzio

 

 


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Tags: molestie, vittima e autore, CATS, attività di coping, teorie di Clausen, politiche anti-bullismo, ruolo del capo,

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