je suis mortOggi parliamo di Barry, uno dei tanti profughi che è riuscito a passare dall’idea di essere morto a quella che vale la pena di iniziare una nuova vita.

Barry non ha mai voluto parlare di quello che ha subito, ma i segni che portava sul corpo parlavano per lui: cicatrici, fratture, bruciature da corrente elettrica….

Quando è arrivato faceva molta fatica a camminare, leggere, parlare, dormire.
Non si collocava in nessun tempo perché la sua mente preferiva non ricordare.

La sua memoria arrivava solo al giorno dell’arresto, al suo paese, e finiva lì.

Je suis mort.

Dopo un po’ ha cominciato a chiedersi : “ Perché proprio a me?”

Ma non se lo chiedeva con rabbia, anzi, sembrava incapace di trovare un canale attraverso il quale far uscire la sua rabbia.

Usava un tono di voce assolutamente neutro, la voce bassa, senza emozione.

Però ha incominciato a modo suo a ripercorrere un filo interiore.

Quando ha iniziato a parlare, più che altro parlava della sua vita di prima, della sua famiglia, del suo lavoro, delle tradizioni del suo paese, della fatica che aveva fatto per avere una posizione, uno status sociale.

La sua vita in Italia nell’anno in cui è stato seguito è stata difficilissima e le sue relazioni con gli altri sempre problematiche. Essendo molto legato alle tradizioni, ha cercato di seguirle anche qui e, per esempio, quando ha iniziato a stare meglio ha preferito, possibilmente, mangiare solo cibi africani perché diceva che gli davano forza.

Ha continuato ad avere dei vuoti terribili di memoria, vuoti nel tempo e nello spazio.

Diceva che qualcuno aveva fatto qualcosa alla sua testa e probabilmente era vero.

Non credo di averlo mai visto sorridere.

Ma uno dei motivi per cui parlo di lui è quello che riguarda la sua integrazione, molto particolare.

Quando ha iniziato a stare meglio ha fatto molta fatica a trovare un lavoro anche in nero. Non aveva né forza fisica né risorse psicologiche. Ma alla fine lo ha trovato e proprio in quel periodo ha conosciuto una ragazza italiana e nel volgere di pochi mesi era in attesa di un figlio, con conseguente matrimonio.

Un inserimento particolare dunque, difficilissimo nei primi mesi perché la sua sensazione di essere morto era costante, e in seguito rapidissimo: il lavoro, la ragazza, il figlio, il matrimonio.

Il Barry dei primi colloqui era stato davvero distrutto nella sua identità, era davvero morto, e non aveva la forza di lottare neanche per la sua sopravvivenza.

La sua relazione affettiva con la ragazza è stata un’ancora di salvezza e da allora Barry ha incominciato ad affrontare i suoi fantasmi interiori.

Ha trovato una donna, una famiglia, una casa.

Tutto quello che aveva avuto nella vita precedente e che aveva perduto.
Ha quindi sollevato il macigno che teneva nascosti i suoi mesi di tortura, è riuscito a parlarne e, con grande sofferenza, a riviverli simbolicamente.

Oggi i fantasmi non sono scomparsi, ma sono, giustamente, un ricordo del passato.