Articolo 20 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.20 (didattica e deontologia), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.
Questo articolo è molto suggestivo, intanto perché è il primo che evoca anche le funzioni umane a livello di esposizione nelle relazioni interpersonali.
Ci riferiamo all’ispirare anche la propria condotta professionale ai principi deontologici.
Il versante principale di questo aspetto è ovviamente dato dall’incarnare l’esempio in un ottica maieutica, di insegnamento empatico.
Sia perché qualunque principio astratto, non tradotto in misure umane e perseguibili, si porrebbe come antipsicologico e sia perché, quando si insegnano cose psicologiche, proprio le più importanti di esse (quelle più cliniche) non sono insegnabili o apprendibili mediante le sole nozioni formali.
Sono mutuabili solo attraverso l’esempio incarnato, le suggestioni identificative, carismi trasmessi, anche in un’esposizione relazionale ‘interpersonale’.
Tale esposizione, quindi, è addirittura auspicabile ma va governata con molto rigore, perché sarebbe molto esposta la possibilità di suggestionare impropriamente un allievo o un’allieva su altri piani (sentimentali, sessuali…).
È una possibilità sempre molto esposta quando c’è un’asimmetria, uno sbilanciamento di poteri che pone in una postura psicologica di soggezione o dipendenza (dipendenza in sé o perché la relazione contempla ‘fini agevolabili’, quali un esame finale…).
Bene, non solo nei contesti che stiamo commentando, ma davvero in via di principio, ogni qualvolta c’è un’asimmetria in tal senso, il riflesso psicologico ed etico dovrebbe sempre essere, in ogni contesto, quello di bilanciare tale asimmetria e non di rafforzarla o sfruttarla.
Sono temi che torneranno con maggiore proprietà in altri commenti ad altri Articoli ma che abbiamo ritenuto di dovere cominciare a introdurre.
Anche se non ci sfugge che i punti più d’impianto di questo articolo 20 sono soprattutto altri.
Ma sono così espliciti ed essenziali da non richiedere troppo commento.
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici.
Vent’anni dopo questa formulazione, sappiamo che la Deontologia è materia diretta d’insegnamento in molti contesti formativi e questo renderebbe implicita in tale insegnamento diretto una sollecitazione deontologica così posta.
Quindi ‘stimolare l’interesse deontologico’ può essere qui inteso come una sollecitazione che dovrebbe accompagnare comunque sempre anche qualunque altro tipo di insegnamento.
Ricordarsi e ricordare che la cornice deontologica è sempre indispensabile in sé per le misure che vincolano ma è indispensabile anche per fare funzionare correttamente -o comunque meglio- ogni aspetto tecnico-professionale.
L’espressione ‘stimolare l’interesse’ sostanzia senz’altro una forma di etica attiva.
Non si evoca il rispetto delle regole deontologiche, non si evoca l’insegnamento di materie deontologiche (non a caso sono evocati anche i tirocinanti…), no, in questo caso si evoca una più generale stimolazione d’interesse.
Come a dire che, in ogni contesto formativo, è importante (è deontologico!) promuovere comunque anche la deontologia, in modo da fare circolare nella professione e nel mondo, sulle gambe dei soggetti formati, dei colleghi più giovani, una tensione etica indispensabile alla qualità tecnico-professionale non meno che alla qualità delle forme e delle relazioni del mondo.
Ogni volta che si respira qualcosa di così aspecifico e diffuso, come lo stimolare interesse appunto, ci cova sempre la gatta di un’etica attiva.
Anche ispirando ad essi la propria condotta professionale, è stato all’inizio svolto solo da qualche versante ma è svolgibile in effetti da tanti versanti deontologici quanti sono gli articoli del Codice deontologico.
In ogni contesto formativo, se si ispira la propria condotta professionale ai principi deontologici, è di tutta evidenza che non si può derogare riguardo alla competenza, all’autonomia ecc.
Ma il punto di maggiore responsabilità che sostanzia questo articolo è che non lo si possa fare tanto più al cospetto di soggetti che si dovrebbe formare e verso i quali i principi deontologici dovrebbero essere promossi.
Se si incarna un cattivo esempio in contesti formativi, si può implicitamente formare un cattivo esempio, promuovere e propagare un cattivo esempio, trasmettere l’idea che la deontologia possa essere una eventualità derogabile: il danno che ne consegue non è dunque contingente bensì esponenziale.
E proprio questo è il punto di maggiore responsabilità che ha mosso questo articolo proprio riguardo ai contesti formativi.
L’attività di formazione, infatti, rappresenta per molti aspetti l’ambito in cui con maggiore efficacia, rispetto ad altri contesti, allo psicologo esperto è dato di poter trasmettere i principi deontologici e, al contempo, allo psicologo in formazione di acquisirli in maniera più consapevole.
Infatti, mentre in sede di docenza accademica o di didattica il sapere deontologico viene espresso in termini più nozionistici e raggiunge soggetti che di regola ancora poca esperienza hanno acquisito ‘sul campo’, con il tirocinio il principio deontologico incontra (o, talora, si scontra con) la pratica professionale.
Incontra la vita del destinatario della prestazione, prima di tutto; ma altresì si intreccia con la vita, anche personale, dello psicologo e convive con esigenze altre dettate dal contesto lavorativo, da problemi contingenti, da imprevisti.
In tali situazioni, facile è perdere di vista quanto di reale e più concreto è racchiuso nel precetto deontologico; conoscere il Codice può addirittura arrivare a sembrare mero esercizio intellettuale di per sé sacrificabile se messo a confronto con impegni e problemi quotidiani.
Eppure, altrettanto quotidiani possono essere momenti o situazioni in cui la correttezza della regola di condotta professionale è a rischio: quanto l’attività del tutor riesce a fornire in maniera costante al tirocinante un adeguato livello di conoscenze sul comportamento umano e sugli strumenti professionali (art. 3 C.D.)? Riesce sempre il tutor a gestire il rapporto formativo salvaguardando la propria e altrui autonomia professionale (art. 6 C.D.)? Fino a che punto viene rispettato il diritto dell’utente di poter usufruire, sempre e comunque, di una prestazione effettuata da un soggetto competente ed abilitato (artt. 5, 24 C.D.)? Come si svolgono i rapporti tra tutor e tirocinante (artt. 33, 36 C.D.)? (cfr. tra le altre, Indicazioni deontologiche per il Tirocinio Professionale, in sito Ordine Psicologi Friuli Venezia Giulia; Linee Guida per lo svolgimento del Tirocinio, in sito Ordine Psicologi Lombardia).
Inoltre, è proprio durante il tirocinio che lo psicologo in formazione può concretamente sperimentare portata e limiti non solo della propria competenza professionale, ma altresì della propria ‘tenuta’ personale, la propria tensione etica, in termini di capacità di sapere difendere correttezza e coerenza della regola professionale acquisita.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 16. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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