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Articolo 24 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato

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Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.24 (Consenso Informato), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani

Articolo 24 il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentatoArticolo 24

Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza.

Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato.

Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.

Stiamo parlando di Consenso Informato.

A riguardo, un tempo, fluttuavano come istanze etiche le opportunità che il paziente sapesse ‘di cosa si trattava’ per potere ‘parteciparla’ meglio.

Il vertice del discorso informativo era soprattutto il versante clinico, inserito in una cornice di vincoli legati all’organizzazione del setting.

Veniva evocato concettualmente un Contratto Terapeutico, non previsto da tutti i Modelli clinici, con requisiti non codificati e, quindi, difficilmente sindacabili a livello giuridico.

Altri tempi.

Nuovi ambiti all’attenzione clinica hanno esposto molto di più le dimensioni bio-etiche della cura. Frontiere delicate e complesse, da nuovi e diversi punti di vista, hanno richiesto una responsabilizzazione sempre più stringente nel merito e sempre più distribuita e condivisa, riguardo alle scelte curative.

Scelte curative che l’art. 32 della Costituzione accredita al soggetto paziente, al netto di una serie di sottordini ed eccezioni.

Per potere decidere, il soggetto paziente deve per forza possedere tutti gli elementi cognitivi che lo mettano nella condizione di poterlo fare.

Per potere esprimere un consenso solo se correttamente e compiutamente informato.

Si è arrivati dunque a normare il Consenso Informato in ambito sanitario (vedi, da ultimo, la L. 219/17), a specificare normativamente sempre meglio, nel corso degli anni, questo importantissimo istituto giuridico. A codificarne tutti i requisiti, i termini formali, la modulistica ecc.

Dunque, questo primo comma dell’art. 24 C.D. si colloca dentro un quadro normativo già assodato.

C’è già una Legge superiore a riguardo e la dimensione giuridica, in questo caso, è molto più probante di quella deontologica.

Prima ancora che l’art. 32 Cost., poco sopra richiamato e che dedica particolare attenzione al trattamento sanitario, l’art. 2 Cost. ‘riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale’.

Tra questi diritti (e corrispondenti obblighi) viene annoverato il rispetto della vita privata e familiare (vedi anche art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Volendo proporre una metafora, quasi banale nella sua chiarezza, possiamo immaginare il comportamento che solitamente teniamo quando andiamo casa di qualcuno: anche quando invitati, se ancora non conosciuti, ci presentiamo, esprimiamo il motivo della visita, chiediamo permesso e, una volta fatti accomodare, continuiamo a comportarci correttamente.

La Vita Altrui, sia quella intima, sia quella sociale, è la Casa di quel qualcuno; che egli sia il nostro vicino, un amico oppure un cliente, di base non vi è differenza quanto al riguardo che noi dobbiamo garantirgli.

Il concetto di ‘Diritto/Dovere fondamentale’ sta ad esprimere proprio questo: esiste tutto un novero di ‘riguardi’ che vanno riconosciuti sempre, comunque e a chiunque.

Tra questi, il dovere fondamentale di non compiere interferenze illegittime nella vita altrui.

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La prima ipotesi di legittimità di tale interferenza è il Consenso dell’avente diritto; consenso che a nulla vale se la Persona che lo presta non sa con chi ha a che fare e cosa sta accettando.    

Per questo, il Consenso Informato in ambito psicologico è diventato nel tempo sempre più importante ed utile.

E si è sempre meglio articolato e precisato anche alle luce di altre normative che nel frattempo intervenivano su altri aspetti.

Per esempio, le nuove norme europee sulla Privacy da un lato, o la nuova normativa sull’Obbligo di Preventivo dall’altro.

Una Modulistica compiuta per l’acquisizione del Consenso Informato alla presa in carico psicologica-psicoterapeutica dovrebbe contenere:

  1. l’identificazione precisa del professionista che presterà la propria attività;
  2. la descrizione della prestazione e il soddisfacimento di tutti i requisiti normativamente previsti;
  3. una sezione riferita allo specifico modello clinico e agli aspetti organizzativi del setting (l’eredità del ‘vecchio’ Contratto Terapeutico);
  4. una sezione contenente in forma sintetica, ma chiara, riferimenti precisi alle nuove norme europee sulla Privacy e sull’Obbligo di Preventivo;
  5. un espresso richiamo al Codice Deontologico degli Psicologi, con particolare riguardo al Capo II Rapporti con l’utenza e la committenza.

Per quanto tutto questo ‘normativismo’ possa apparire  sovrabbondante, è di tutta evidenza che i livelli di esposizione di una relazione professionale di questo tipo e l’intangibilità di molti suoi termini (la parola, le emozioni, i sentimenti…) richiedono un surplus di tutela formale in premessa alla presa in carico.

‘In premessa’, nella fase iniziale, perché una tranquillità a riguardo può garantire una bella funzionalità di ogni successivo processo professionale, psicologico e terapeutico.

La Forma protegge e tranquillizza il Processo: per questo, anche se è un centesimo del processo, è importante che quel centesimo venga sempre prima.

Ogni aspetto formale non chiarito, definito, concordato all’inizio, torna poi –in forma di equivoco o impropria elaborazione- a tendere, distrarre, disturbare la relazione professionale e il processo terapeutico.

Ovviamente, si parla di fase iniziale e non di primo incontro perché è inutile mettere subito in mezzo tutto un urticante armamentario burocratico se manco si sa ancora se ci si sceglierà.

Per lavorare assieme, paziente/cliente e psicologo, bisogna scegliersi e, per potere scegliersi, bisogna prima per forza conoscersi: anche questo è nella logica di un sostanziale consenso pregiudizialmente informato.

Quindi l’accesso deve essere ‘termico’; in particolare, nella relazione clinica, deve esporre l’uno all’altro gli attori anche tramite l’illustrazione orale delle intenzioni, delle Domande, dei Mandati, del Progetto e degli Obiettivi terapeutici.

Nel caso in cui ci si scelga e si preveda una presa in carico, allora bisognerà chiarire a livello formale, e vincolare in tal senso, a Cosa ci si prende in carico: è il momento della lettura e della sottoscrizione del Consenso Informato.

Da lì in poi, si può iniziare a lavorare assieme.

Secondo chi scrive, la fase iniziale deve intendersi come non oltre le due sedute: dalla terza seduta in poi, costituirebbe già una criticità procedere senza le tutele e le garanzie del Consenso Informato.  

Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato.

Diciamo che il flusso delle considerazioni precedenti già ha commentato questo comma.

È importante che lo psicologo ‘senta’ il Consenso Informato e sia ‘informato’ dalla sua logica ben oltre le sue misure formali.

Il Consenso Informato dovrebbe essere un mediatore di chiarezza ai fini di una piena adesione fiduciaria, di una partecipazione coerente e consapevole al lavoro comune.

È anch’esso un Processo che innerva ‘sostanzialmente’ quello professionale, psicologico e terapeutico.

È un presidio di garanzia indispensabile in un Contesto istituito attorno a termini non tangibili, quindi sempre a rischio di ambiguità e malintesi, ma anche di strumentalità e opacità.

In uno Stato di Diritto, non possono esistere zone franche, rispetto all’intelligibilità delle esperienze scelte: tutto deve essere spiegabile, comprensibile, ‘vagliabile’ sotto il profilo giuridico.

Il Consenso Informato è l’architrave su cui poggia il concretamento di questi assiomi concettuali.

Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.

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Soprattutto in ambito clinico, l’ove possibile è il vertice di questo terzo comma poiché non è possibile prevedere la risposta del paziente agli inneschi terapeutici.

C’è una soggettività ineludibile anche delle difese e delle resistenze di ogni singolo paziente che determinerà i tempi e i modi di ogni singola terapia.

È un processo in cui non è possibile prevedere quale step successivo potrà conseguire al prossimo step.

C’è un Progetto terapeutico di massima ma è impossibile prevedere gli andamenti e le andature di ogni singolo, diverso, paziente.

Una valutazione di massima dei tempi può essere solo, e solo in linea di massima, riferita alle pregresse esperienze del terapeuta e ad una misura di funzionalità avvertita nel lavoro con quel dato paziente.

Ma la durata prevedibile resta in un range sempre piuttosto ampio e sempre molto probabilistico.

Ciò non toglie che possa essere comunque indicata ma senza alcuna probanza formale e alcun impegno vincolante.

La Soggettività non può ridursi in un Dato: sancirebbe la fine della Psicologia.

 

Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 25. Non mancate.

In questa pagina trovate tutti i commenti finora pubblicati!

(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)

 

 

 


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Tags: psicologia codice deontologico catello parmentola elena leardini Codice Deontologico degli Psicologi Italiani articolo 24

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