Il modello neurobiologico dell’anoressia nervosa
Gli studi suggeriscono che vi siano anomalie all’interno del circuito di ricompensa in soggetti affetti da anoressia nervosa, indicando anche anomalie nell’organizzazione e connessione neurale tra il nucleo accumbens e la corteccia orbitofrontale
L’anoressia nervosa è caratterizzata dal mantenimento di uno stato di malnutrizione e colpisce approssimativamente l’1% delle donne appartenenti a tutte le classi sociali.
È caratterizzata da una severa restrizione dell’assunzione di cibo che ha come risultato diretto un inappropriato e scarso peso corporeo, paura ed ansia per l’aumento del peso, e preoccupazione per la forma e peso del proprio corpo.
Il ricorrere ossessivamente ad una dieta inadeguata al sostentamento fisico e corporeo è il comportamento centrale che mantiene questa condizione.
Per comprendere questo disturbo è quindi anche utile considerare i meccanismi neurali che promuovono e mantengono tale comportamento che, nel tempo, diviene disadattivo e auto-distruttivo.
Gli autori hanno pertanto effettuato una review analizzando i modelli cognitivi e neurobiologici dell’anoressia nervosa, focalizzandosi sulla persistenza del comportamento alimentare disadattivo.
Solitamente l’anoressia nervosa si manifesta durante l’adolescenza, raggiungendo il picco massimo in un’età compresa tra i 14 e i 18 anni.
A differenza di molti disturbi psichiatrici, in cui un esordio precoce della malattia è connesso ad un peggior decorso della malattia, gli adolescenti con anoressia nervosa hanno invece una migliore prognosi rispetto agli adulti: studi di adolescenti che hanno ricevuto un trattamento per anoressia nervosa mostrano che, a distanza di un anno, il 75% di essi sono in remissione parziale o totale rispetto alla condizione.
Quando invece il disturbo progredisce in età adulta, il trattamento risulta “sconfortante”.
La farmacoterapia non ha dimostrato una grande efficacia, i trattamenti psicosociali sono spesso inadeguati e la possibilità di ricadute sono alte – circa il 50% di pazienti adulti richiede infatti un’ospedalizzazione entro un anno dalla fine del trattamento.
La mortalità tra le donne giovani con anoressia nervosa è di sei volte maggiore rispetto a quello atteso per la loro età; questo dato risulta essere il più alto se paragonato ad altri disturbi psichiatrici e la probabilità della morte incrementa di pari passo con la durata della malattia.
Pertanto una comprensione dei sottostanti meccanismi neurali dell’anoressia nervosa potrebbe aiutare a sviluppare nuovi trattamenti e migliorare i risultati di questa grave condizione psicopatologica.
Per fare questo i ricercatori si sono soffermati sull’importanza del comportamento alimentare nell’anoressia nervosa; mangiare è infatti un comportamento multidimensionale, influenzato da componenti biologiche, psicologiche e sociali.
Da un punto di vista neurobiologico il valore del cibo per la sopravvivenza è stato a lungo studiato e osservato, e molto si è compreso rispetto ad un comportamento di ricerca del cibo, così come del controllo atto a inibire tale comportamento.
Le deviazioni nel comportamento alimentare che subentrano negli individui con disturbo alimentare è stato analizzato attraverso valutazioni di laboratorio.
Molti studi hanno infatti confrontato il comportamento alimentare in individui sani e confrontati con soggetti affetti da bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata.
Gli studi di laboratorio hanno sottolineato che soggetti con tali disturbi consumano un’ingente quantità di calorie rispetto al gruppo di controllo quando viene chiesto loro di “abbuffarsi”, e che le sensazioni di sazietà riportate risultano anormali.
Hanno altresì documentato che, quando non si ricorre all’abbuffata, gli individui con bulimia nervosa tendono a consumare meno calorie dei soggetti di controllo.
Pertanto, questi studi hanno gettato le basi per esaminare la ridotta e anormale assunzione di cibo in soggetti con anoressia nervosa, ricorrendo a setting di laboratorio.
È stata quindi valutata la restrittiva assunzione calorica; da un primo studio è emerso che l’assunzione di cibo è caratterizzata da un minore apporto calorico ed un limitato consumo di grassi rispetto al gruppo di controllo.
Altri studi hanno dimostrato un’assunzione significativamente ristretta annessa alla dieta non solo durante il periodo di fase acuta del disturbo, ma anche subito dopo aver ripristinato il loro peso corporeo.
Il comportamento alimentare restrittivo sarebbe influenzato da un’assunzione ridotta di calorie, una varietà di diete restrittive e consumo di cibi con minore densità energetica.
Da un punto di vista generale il “mettersi a dieta” coinvolge circa il 75% della popolazione generale; per il 38% di tali soggetti, la dieta si tramuta in un comportamento patologico che prende il nome di “disturbo alimentare”, e il 25% di questi sviluppa nel tempo un disturbo del comportamento alimentare, dove persistono gli sforzi di un’assunzione sempre più ristretta che è accompagnata da un funzionamento psicologico disturbato.
La considerazione dell’importanza della dieta nell’anoressia nervosa non è sicuramente nuova; diversi approcci hanno stilato delle ipotesi incorporando anche aspetti neurobiologici circa la relazione tra tali processi e la dieta, come possibile “auto-medicazione” per l’ansia.
Purtroppo però, i meccanismi neurali di restrizione calorica persistente e disadattiva dell’anoressia nervosa non sono stati adeguatamente indagati.
Tuttavia, i risultati sopra esposti dimostrano che il disturbo comportamentale saliente delle persone con anoressia nervosa è la selezione di cibi a basso contenuto calorico e questo è anche innescato da modelli stereotipati di magrezza che a loro volta promuovono la persistenza della malattia.
Il passo logico ed importante è quindi cercare di comprendere da un punto di vista neurobiologico ciò che spinge al mantenimento di questo comportamento.
La neuroscienza si è posta, a tal proposito, l’obiettivo di indagare le basi del comportamento umano, cercando di stabilire una relazione tra le scienze biologiche e psicologiche.
Questo approccio ha quindi un valore potenziale rispetto all’obiettivo di valutare e comprendere i meccanismi neurali del comportamento disadattivo dell’anoressia nervosa.
I diversi modelli proposti hanno usano un approccio “bottom-up” all’interno del quale i processi di base sono studiati al fine di valutare le aberrazioni del funzionamento cerebrale.
Per esempio, studi inerenti i domini cognitivi, hanno mostrato anormalità neuropsicologiche; individui con anoressia nervosa hanno maggiori difficoltà nel passare da un compito cognitivo all’altro, probabilmente a causa di un modello di rigidità psicologica.
I risultati cognitivi non sono però coerenti in tutti gli studi, pertanto non possono essere direttamente collegato al disturbo del comportamento alimentare.
Tuttavia, molti altri studi hanno mostrato consistenti anormalità nei sistemi di ricompensa e nel sistema fronto-striatale, spianando così la strada per cercare di comprendere l’attività neurale direttamente correlata ai disturbo del comportamento alimentare.
La neurobiologia della ricompensa nell’anoressia nervosa
Il sistema mesolimbico regola il processo di ricompensa e contiene l’area tegmentale ventrale, striato ventrale (incluso il nucleo accumbens) e corteccia orbitofrontale.
Diversi studi hanno esaminato i correlati neurali del processo di ricompensa in individui con anoressia nervosa servendosi della Risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la Terapia ad emissione di positroni (PET).
Gli studi di risonanza hanno mostrato anormalità volumetriche in soggetti con anoressia nervosa, all’interno di aree come la corteccia orbitofrontale, anche se la direzionalità di queste anormalità stabilita da un confronto tra incremento e decremento del volume, si è dimostrata inconsistente.
Sono stati quindi effettuati altri studi di risonanza servendosi, in questo caso, di test basati sul compito (Task-based) per esaminare le risposte a ricompense quali soldi e cibo.
Quando è stato chiesto di rispondere a stimoli monetari, gli individui con anoressia nervosa, hanno mostrato anormalità nella corteccia prefrontale e nello striato.
Risposte anormali correlate al compito rispetto a immagini di cibo ha evidenziato anormalità nella corteccia orbitofrontale e nucleo accumbens.
A sostegno di tale risultato attraverso la PET si è evidenziato che vi è una maggiore densità dei recettori dopaminergici del nucleo accumbens in donne affette da anoressia nervosa.
In linea di massima, attraverso una serie di tecniche di imaging, gli studi suggeriscono che vi siano anomalie all’interno del circuito di ricompensa in soggetti affetti da anoressia nervosa, indicando anche anomalie nell’organizzazione e connessione neurale tra il nucleo accumbens e la corteccia orbitofrontale, sia in adolescenti che giovani adulti.
Relativamente ad adulti e bambini, gli adolescenti, in un test basato sul compito, mostrano un più alto livello di ossigenazione del sangue che dipende da un aumento della risposta del segnale all’interno del nucleo accumbens.
Allo stesso modo, in compito Go/ No-Go che induce un decremento nel controllo degli impulsi in funzione di una ricompensa dinanzi a stimoli neutri, gli adolescenti hanno mostrato un grande decremento di tale controllo e questo è direttamente associato con un aumento dell’attività del nucleo accumbens.
Poiché l’anoressia è caratterizzata da restrizione alimentare e inizia di solito durante l’adolscenza, questi studi sottolineano la potenziale rilevanza dell’organizzazione e funzionamento del sistema di ricompensa nell’anoressia nervosa.
Neurobiologia del sistema frontostriatale nell’anoressia nervosa
La formazione di un’abitudine è un processo in cui un comportamento associato ad una ricompensa, se ripetuto frequentemente nel tempo, diviene automatico e di conseguenza dipenderà sempre meno dalla ricompensa stessa.
Il comportamento diviene così abituale e questo “spostamento” (dalla ricompensa all’indipendenza del comportamento) è connesso a sistemi neurali che supportano il comportamento.
Ricerche su umani e animali indicano che nel momento in cui il comportamento assume caratteristiche abituali, sono diversi i sistemi cerebrali che lo controllano: striato dorsale (gangli della base, nucleo caudato e putamen) e corteccia frontale dorsolaterale.
Questi circuiti sembrerebbero così di particolare interesse nell’analisi di comportamenti disadattivi e persistenti di diversi disturbi psichiatrici.
Alterazioni nel sistema dorsale-frontostriatale sono state riscontrate in soggetti con anoressia nervosa.
Attraverso la PET, alcuni studi hanno mostrato anormalità ipermetaboliche nel nucleo caudato in pazienti con anoressia nervosa rispetto al gruppo di controllo e a soggetti con bulimia nervosa.
Altri studi hanno evidenziato che i legami dopaminergici nel nucleo caudato correlano con il comportamento di evitamento, che è un tratto tipico riscontrato in soggetti con anoressia nervosa.
Questi dati suggeriscono pertanto che l’anoressia nervosa sia anche caratterizzata da disfunzioni frontostriatali.
Un modello centrato sull’ “abitudine”
Come evidenziato precedentemente la dieta persistente delle anoressiche è una caratteristica che può essere in questo caso definita come “abitudine comportamentale”: l’assunzione calorica ristretta nell’anoressia nervosa è quindi appresa, non innata, si manifesta ripetutamente, e, una volta appresa, viene elicitata nell’individuo da precisi stimoli.
Essendo pertanto questi comportamenti appresi e rinforzati nel tempo, il sistema mesolimbico di ricompensa è rilevante per la comprensione dello sviluppo e persistenza dell’anoressia nervosa.
I comportamenti abituali non vengono quindi più innescati dal desiderio di un risultato e una volta stabilito il comportamento, ci vuole un grande sforzo da parte dell’individuo per poterlo modificare.
A tal proposito, individui con anoressia nervosa sviluppano comportamenti restrittivi durante l’adolescenza; questi comportamenti sono ovviamente rinforzati da diversi fattori: il piacere derivante dall’essere magri; il ricevere complimenti; senso di soddisfazione; e senso di auto-controllo.
Come notato precedentemente, l’adolescenza è una fase della vita in cui la ricerca di ricompensa è insolitamente alta e questo può ovviamente contribuire allo sviluppo e alla perpetuazione dei comportamenti nei giovani.
Negli individui con anoressia nervosa, gli effetti della fame sul cervello probabilmente possono contribuire ad un’alterazione dei processi di decision-making; il comportamento alimentare restrittivo viene ripetuto nel tempo fino a renderlo automatico, tanto da favorire la formazione di una routine comportamentale in funzione di alcuni stimoli: vedere ad esempio il piatto di cibo innesca una serie di comportamenti ritualizzati che sono utili per ridurre al minimo l’assunzione calorica.
Una lettura neurobiologica di tale modello “abitudinario” dell’anoressia nervosa chiama in causa lo striato dorsale.
Per tale indagine sono state sottoposte ad un test denominato “Food Choice Task” delle adolescenti e adulti con anoressia nervosa e monitorato l’attività cerebrale attraverso risonanza magnetica funzionale.
In questo test, veniva chiesto ai partecipanti di scegliere, tra 75 prodotti alimentari, un cibo che loro stessi giudicavano come “neutrale” sia da un punto di vista di “genuinità” del prodotto che di bontà; i partecipanti erano consapevoli che successivamente al test, avrebbero ricevuto uno dei cibi scelti da loro per poter fare uno spuntino. Le loro scelte avevano pertanto implicazioni reali.
Come previsto i partecipanti con anoressia nervosa erano sostanzialmente meno propensi a scegliere cibi ad alto contenuto di grassi.
È stato anche osservato che l’apporto calorico del pasto avvenuto in laboratorio era significativamente associato con la percentuale di cibi scelti il giorno seguente, indicando così che questa valutazione correla con il comportamento restrittivo, divenendo una caratteristica centrale dell’anoressia nervosa.
Nell’analisi dei correlati neurali inerenti al comportamento alimentare, confrontandoli con il gruppo di controllo, i soggetti con anoressia nervosa differiscono nei pattern di attivazione dello striato dorsale e, come ipotizzato, la scelta del cibo è fortemente associata con l’attività dello striato dorsale.
Sulla base di questi risultati comprendere l’anoressia nervosa è sicuramente un compito arduo e complesso.
Sicuramente la presenza di geni che aumentino la vulnerabilità per lo sviluppo di tale patologia, può contribuire significativamente ma non sembra essere determinante.
Gli autori invitano ad un’analisi approfondita anche di tutti quei fattori di vulnerabilità psicologici e ambientali che si combinano con il delicato periodo di sviluppo adolescenziale e che spesso può sfociare in comportamenti restrittivi, perdita di peso e preoccupazioni circa lo stesso.
Rispetto alla natura “abitudinaria” dei comportamenti restrittivi tipici dell’anoressia nervosa e della sua persistenza, da un punto di vista neurobiologico, la ricerca ha suggerito la presenza di anomalie nei circuiti neurali di cui sopra.
I ricercatori sottolineano che nonostante i dati emersi, questo vuole essere uno studio preliminare, che ha messo in luce il ruolo di alcuni circuiti cerebrali connessi al sistema di ricompensa.
Non è ancora noto come i circuiti neurali correlino con la scelta del cibo, né come questa diventi cronica, né se cambi successivamente ad un trattamento.
Ci sono sicuramente prove convincenti circa l’impatto di fattori psicologici ed emotivi sulla restrizione alimentare dei soggetti con anoressia nervosa, ma non è chiaro come tali fattori influenzino i circuiti neuronali associati alla scelta del cibo.
La speranza degli autori è quindi quella di integrare il contributo delle neuroscienze per la strutturazione di trattamenti e linee di pensiero che aiutino a sondare questo disturbo così enigmatico.
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Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro
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