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L'infanzia abusata, pedofilia e violenza sessuale

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La fenomenologia degli abusi e dei danni all’infanzia (child abuse) interessa molteplici aspetti psicologici, emozionali e relazionali che compongono il quadro di una triste e complessa realtà presente in tutti i contesti sociali e culturali.

infanzia abusata pedofilia e violenza sessuale"Picchiare un bambino, umiliarlo o farlo oggetto di abusi sessuali è un delitto, perché danneggia un individuo per tutta la sua esistenza"
(Alice Miller).

Le parole della Miller, attenta e appassionata osservatrice delle problematiche che investono la condizione infantile, riportano l’attenzione sulle ferite devastanti procurate ai bambini quando diventano oggetto di abuso sessuale, di violenza e di maltrattamenti di ogni genere, inclusi quelli psicologici.

La fenomenologia degli abusi e dei danni all’infanzia (child abuse) interessa molteplici aspetti psicologici, emozionali e relazionali che compongono il quadro di una triste e complessa realtà presente in tutti i contesti sociali e culturali.

Riferendosi alla definizione generale formulata dal Consiglio d’Europa, gli abusi riguardano l’insieme di “atti e carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino” (1981).

Secondo una classificazione dei fenomeni maggiormente discriminativa, sono identificate diverse tipologie di abuso (Montecchi,1998):

  • maltrattamento (fisico, psicologico);
  • patologia della fornitura di cure, ossia la carenza di cure (Bowlby, 1988) e l’inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte: incuria, discuria, ipercura, quest’ultima comprende il dedical shopping e il chemical abuse, la sindrome di Münchausen per procura (quando il genitore inventa e racconta storie di sintomi e malattie attribuendole ai propri figli, dando così l’avvio a cure ed accertamenti inutili ed ingiustificati) (Meadow, 1982).
  • abuso sessuale (intrafamiliare, extrafamiliare).

Per quanto riguarda l’abuso sessuale, la sua definizione deve estendersi a tutte quelle pratiche sessuali esplicite o ambigue, come gli atti che violano il tabù sessuale dell’incesto o le attività igieniche fuori del comune, a cui sono sottoposti i minori sia in ambito familiare che extrafamiliare.

L’abuso sessuale infantile, propriamente detto, è una violenza, anche psicologica, perpetrata ai danni di soggetti immaturi e incapaci di essere consenzienti, pur non richiedendo necessariamente la messa in atto della forza fisica.

L’effetto che produce la relazione abusante, in ogni caso, è l’annullamento dei bisogni o dei desideri del soggetto abusato lasciando spazio a stati emotivi di forte paura o di terrore, angoscia e sensi di colpa, vergogna e impotenza (Finkelhor, 1979). Questi sentimenti che affliggono un Sé svalutato e umiliato, assumono una maggiore intensità quando l’azione abusante proviene da una figura familiare o da membri della cerchia parentale, e questa evenienza secondo studi specifici, si verifica nella maggioranza dei casi di violenza.

Le esperienze cliniche segnalano che il child abuse di natura sessuale non si presenta come un fatto isolato ma è parte di una situazione di “violenza generalizzata” che comporta diverse forme di sopraffazione, perpetrate contemporaneamente o in periodi successivi (Simonelli et al. 2003). E’ una forma di violenza quindi che non si limita all’abuso sessuale o alle lesioni fisiche ma è finalizzata allo sfruttamento della persona nella sua totalità (Andreoli, 2000).

I principali quadri di patologia e perversione che riguardano la pedofilia, l’incesto, lo stupro e la violenza carnale, la pederastia e la sodomia, presentano alcuni aspetti in comune. Oltre alle situazioni di violenza e sfruttamento, essi condividono condotte abusive come la manipolazione dei genitali, le molestie e le carezze capziose, le pratiche o i comportamenti sessuali indecenti e libidinosi con minori, fare o mostrare fotografie pornografiche ai minori, e fenomeni più rilevanti come la prostituzione minorile, il turismo sessuale.

In particolare, con il termine “pedofilia” (dal greco pais, fanciullo e philia, amore) si indicano tutte le forme di rapporto etero e omosessuale tra adulti e bambini prepuberi, in genere di 13 anni o più piccoli.

Nel rapporto possono essere coinvolti sia soggetti maschili sia femminili, o entrambi i sessi.

Il segno che contraddistingue il comportamento del pedofilo, è l'azione devastante esercitata sulla vita psicologica e sulle relazioni sociali del minore, compromettendone gravemente i processi di sviluppo che si riferiscono alla costruzione della personalità e alla maturazione della sessualità.

Nel bambino la tensione, la conflittualità e la confusività permangono anche se l'attrazione erotica avvertita nei suoi confronti, o l’esibizionismo o il voyeurismo o la seduzione, non finiscono per tradursi sempre in atti sessuali completi, come al contrario avviene per la pederastia.

La pedofilia, detta altrimenti efebofilia, è inclusa nella categoria dei disturbi sessuali ed è considerata una parafilia, termine proposto negli ultimi anni dalla comunità scientifica per indicare tutte le pratiche psicosessuali inusuali e giudicate perversioni, deviazioni e anormalità rispetto ai comportamenti sessuali più comuni.

La perversione, secondo Stoller (1978), è un prodotto dell’angoscia e la sua essenza risiede nella “conversione di un trauma infantile in trionfo adulto”. Tesi che trova spesso conferma in altri autori (ad es. Kaplan, 1992), e riscontro in sede clinica nelle storie traumatiche subite dal perverso in cui è frequente scoprire esperienze di passività e di mortificazione, trasformate in seguito in reazioni di odio, aggressività, violenza.

In ambito di valutazione diagnostica, il riferimento essenziale per la rilevazione dei disagi psichiatrici, il DSM-IV (APA, 1994), in sintonia con un altro qualificato strumento, l'ICD-10, stabilisce i criteri essenziali da adottare per individuare la pedofilia:

  • gli impulsi sessuali, le fantasie o i comportamenti ripetuti di intensa eccitazione sessuale, che comprendono attività sessuali con soggetti prepuberi, si presentano in un periodo di almeno 6 mesi;
  • i comportamenti, gli impulsi e le fantasie, comportano un disagio clinicamente significativo o la compromissione di aree importanti del funzionamento sociale e lavorativo;
  • rispetto al criterio dell'età, il soggetto ha almeno 16 anni ed è maggiore di almeno 5 anni del bambino oggetto di attenzioni.

Chi è in realtà il pedofilo e quali aspetti inquietanti presenta?

Secondo gli studi più recenti, il disturbo pedofilico inizia generalmente nel periodo adolescenziale, sebbene singoli episodi possono manifestarsi in altri periodi della vita, ed è rappresentato da un decorso cronico. Nell'incapacità di sostenere una relazione affettiva adulta, alla pari, i comportamenti pedofili si trasferiscono nelle più disparate attività (giocare, raccontare favole, sport, caccia al tesoro, ecc.), e possono comprendere pratiche quali lo spogliare e rivestire il bambino, guardarlo, mostrarsi, accarezzarlo e, infine, guidarlo all'attività sessuale completa, imposta anche con minacce e gravi forme di costrizione e violenza.

Non tutti gli approcci però finiscono in maltrattamenti, magari impiegando al loro posto strategie di attenzione e controllo sottili, attuate con gesti di seduzione e parole di lusinga, anche per non provocare reazioni immediate di rifiuto ed evitare così ogni possibilità che la relazione sia rivelata ad altri.

Alcuni soggetti, i cosiddetti “pedofili latenti”, si limitano a scrutare materiale pornografico, forse rintracciato in qualche sito Internet, come informano le cronache degli ultimi anni. Per altri soggetti ancora, la pedofilia assume un carattere occasionale e sembra non provocare ripercussioni troppo profonde nella normale vita relazionale.
In un’ottica psicodinamica, gli aspetti principali della personalità del soggetto pedofilo o perverso sono identificati generalmente nei tratti di immaturità psicosessuale, passività, infantilismo, oltre a manifestazioni compensatorie di carenze affettive (Petruccelli, 2000).

Il profilo che appare è quindi di una personalità polimorfa nella quale si delineano alcuni caratteri essenziali:

  • immaturità affettiva, contraddistinta da impulsi sessuali definiti dai caratteri dell'urgenza e da un genere di affettività egocentrica e non adattiva;
  • un processo identificatorio deficitario e inadeguato rispetto alla realtà;
  • relazioni interpersonali instabili e “anonime”.

E', sostanzialmente, un soggetto compromesso nella sua evoluzione, incapace di assumersi responsabilità, in difficoltà nei rapporti sociali e nella comunicazione con le altre figure adulte. Ne costituisce una prova il fatto che al momento della scoperta dell’abuso sessuale si discolpa ridimensionando le azioni compiute e attribuendo la responsabilità al minore.
Si deve prendere in seria considerazione, in ogni caso, lo svilupparsi di un disturbo della personalità, caratterizzato da manifestazioni di asocialità. Lo sdoppiamento della personalità, riconducibile ad un modello di tipo simil-schizofrenico o simil-isterico, consente di presentarsi in determinate circostanze come persone riservate ma rispettabili e dalle condotte irreprensibili (Aguglia, Riolo, 1999).

Variabili sessuali e non sessuali (costituzionali, relazionali, ambientali) convergono nel delineare l'eziologia complessa dei comportamenti pedofili che solitamente assumono un decorso cronico.

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La pratica clinica riferisce che la storia del pedofilo è sovente segnata da sofferenze, rimosse e negate, derivanti da violenze sessuali e maltrattamenti subiti durante l'infanzia, e in ogni caso, da circostanze traumatiche di umiliazione, vissute con profondi sentimenti di rancore e odio. Il desiderio di vendetta trasforma la perversione in una condotta che permette al pedofilo di rinnovare l'antico trauma infantile, assumendo però il ruolo del persecutore (Miller, 1999). Il passaggio all'atto sessuale con il minore sembra tendere a compensare il vuoto creato dal bisogno frustrato di dipendenza personale.

Gli studi psicoanalitici interpretano la relazione ricercata con il bambino come una gratificazione narcisistica; ad esempio, è di chiara impronta narcisistica la modalità di esperire il piacere rivolta esclusivamente alla propria gratificazione.

Il soggetto perverso avverte la necessità di amare se stesso tramite il coinvolgimento di un bambino reale, secondo un meccanismo di identificazione proiettiva. La relazione instaurata con il bambino è del tipo oggettuale, svuotata di ogni umanità e comprensione, orientata prevalentemente allo sfruttamento interpersonale.

Nel narcisista appare compromesso il Super-Io, l'istanza psichica di natura morale, mentre presenta un Sé patologico smisurato (Kernberg, 1975).

Nel momento in cui il disturbo narcisistico di personalità si unisce con marcati tratti asociali, possono rilevarsi nel pedofilo comportamenti sadici di ritorsione e di predominio nei confronti della piccola vittima, diventata strumento di vendetta per le umiliazioni subite nel passato. Il bambino è così visto come un oggetto da dominare e terrorizzare (Oliverio Ferraris, 2001).

Il sadismo sessuale, spesso associato al disturbo pedofilo, può anche esprimersi come ricerca di complicità volta ad assicurarsi attenzione e gratificazioni affettive.

Rispetto al problema della rilevazione di indici diagnostici nell'abusato, necessari nella valutazione ed elaborazione di strategie di intervento e di cura efficaci, è da premettere che gli studiosi non hanno raggiunto ancora una definizione unanime delle condotte di abuso, stante la natura delicata e complessa degli accadimenti.

Tra gli operatori del settore, in effetti, esistono differenti criteri di definizione e di accertamento sessuale che possono comportare anche notevoli difficoltà d’inquadramento e di giudizio.
Nelle situazioni di sopruso sessuale, è da sottolineare l’ importanza della rilevazione tramite idonei esami strumentali. Il test sessuorelazionale Sesamo, ad esempio, prevede specifici item indirizzati all’esplorazione delle esperienze pedofiliche e di abuso.

Per quanto concerne “le condotte incestuose, più spesso eterosessuali che omosessuali, e più frequenti tra padre e figlia che tra fratello e sorella (ancor più raramente tra madre e figlio), sono sicuramente da considerare al pari di una violenza sessuale, già per questo tendenzialmente patogene. Spesso subito nel terrore, talvolta accettato ma vissuto in modo conflittuale, l’incesto viene facilmente esperito e ricordato dal soggetto come particolarmente sgradevole” (tratto dal Manuale della metodica Sesamo_Win).
In una visione sistemica, una descrizione in termini clinici dell'abuso sessuale ai danni di un soggetto prepubere deve contenere, in ogni caso, una ricognizione chiara dell'evento, la definizione degli atti sessuali, dell'età e dello sviluppo mentale delle persone implicate nei fatti, la natura della loro relazione, evidenziando i sentimenti e le reazioni conseguenti all'accadimento. In tali reazioni, o capacità di coping, sono racchiuse le risposte e i processi regolativi messi in atto dal minore per far fronte alla situazione di violenza (Lazarus, 1991).

Si può ritenere che il ripetersi dell’esperienza abusante induca un senso di impotenza e sentimenti di fallimento tali da causare la riduzione o annullamento delle risorse personali e delle capacità di coping.

A tal proposito è utile ricordare la posizione di F. Dolto (1983) che ha sostenuto la necessità di prestare ascolto al linguaggio infantile perché solo così si può essere in grado di comprendere un bambino e i suoi vissuti emotivi, quindi anche le sue esperienze più dolorose e devastanti.

Il child abuse è sempre un evento grave e pericoloso dalla forte connotazione traumatica e stressante che nella maggior parte dei casi determina un arresto dello sviluppo psicofisico e alcune forme di regressione dai forti caratteri patologici, in ragione delle specifiche violenze sofferte.

Nei bambini abusati sessualmente, i disturbi sono reattivi e aspecifici e possono interessare la compromissione di vaste aree di sviluppo della personalità e la possibilità di manifestazione, a breve e a lungo termine, di sintomi multiformi.

In tali soggetti sono frequenti sintomi post-traumatici da stress, ad es. ansia e blocco della vitalità, seppure la risposta allo stress è estremamente variabile da soggetto a soggetto ed è in funzione delle specifiche risorse personali disponibili.

Possono così presentarsi nei soggetti abusati anche quadri psicopatologici complessi, quali le patologie psicosomatiche, del comportamento alimentare, della vita relazionale, del comportamento sessuale e dello sviluppo affettivo, dell'immagine del Sé e, infine, gravi disturbi della personalità (borderline, stati depressivi o del tipo antisociale, ecc.). Le conseguenze dell'abuso effettivamente assumono notevole rilevanza psicologica, deteriorano pesantemente lo stile di vita e influiscono sui rapporti interpersonali e sociali.

Complessivamente, per l'abusato gli indicatori principali dell'abuso sono riscontrabili in molteplici comportamenti, dalle malattie fisiche, ai disturbi del sonno o a quelli alimentari, dai problemi scolastici ai comportamenti regressivi e infantili. A volte si notano nell'eccessiva o scarsa igiene personale, nella condizione depressiva e ansiosa, nelle crisi acute di pianto o di ritiro e isolamento dalla vita relazionale, nei disturbi della condotta e nei ripetuti tentativi di fuga.

I segni più gravi dell’abuso ricorrono anche negli atti delinquenziali, nella prostituzione e nelle attività sessuali promiscue, nei comportamenti passivi o troppo remissivi, oppure aggressivi e autodistruttivi, nei tentativi di suicidio e nell'abuso di sostanze psicotrope, nei comportamenti fobici e di avversione. In quasi tutti i casi, si ravvisa la riduzione della stima di sé o la sfiducia verso il mondo degli adulti (Veltkamp, Miller, 1994).

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Per completare il quadro, già di per sé rilevante, la letteratura psicologica corrente riporta alcuni specifici sintomi addizionali, come il ripetere comportamenti sessuali di tipo adultomorfo o i giochi sessuali persistenti attuati nel gioco con altri bambini; le conoscenze distorte delle problematiche sessuali, desumibili dal linguaggio o dal comportamento inappropriato; segni fisici diretti dell’abuso, come il dolore inspiegabile, il gonfiore, il sanguinamento o irritazione delle regioni genitali o anali, le infezioni delle vie urinarie, la presenza di malattie trasmissibili sessualmente.

Dal punto di vista emozionale, la vittima di abuso sessuale può reagire manifestando un ampio spettro di stati emotivi e sentimenti, discontinui, non omogenei, in prevalenza di natura afflittiva: paura dell'abusante; angoscia di essere diverso; ostilità nei confronti degli accertamenti medici; collera e odio verso l'abusante e verso gli adulti vissuti come figure non protettive; rabbia verso se stesso per sentirsi in qualche misura corresponsabile della violenza; isolamento, senso di solitudine e impotenza; tristezza per qualcosa di sé che è stato portato via e che si è perso forse per sempre; delusione per essere cresciuto troppo velocemente; amarezza, per essere stato tradito; colpa per non essere riuscito a fermare l'abuso o per essere stato consenziente; frustrazione per aver parlato o aver taciuto del fatto sessuale; vergogna per essere stato coinvolto nell'esperienza; turbamento per aver risposto con l'eccitamento; confusione perché i sentimenti sono ambivalenti e comportano conflitti interiori e incertezza.

Chiaramente, è solo la presenza di più segnali di difficoltà, la loro frequenza e la loro durata, a procurare maggiore convincimento circa l'estensione del disagio effettivo provato dal soggetto abusato e quindi l'urgenza di un intervento riparativo (Di Blasio, 2000).

In questo scenario, quali interventi sono realizzabili? Quali fattori ricoprono una valenza protettiva nel ridurre l’impatto delle esperienze violente e distruttive?

Numerosi autori ritengono che la prevenzione primaria costituisce una risorsa determinante per promuovere una cultura di tutela e di protezione dell’infanzia, per ridurre socialmente il numero dei casi di violenza e attenuare l’intensità delle conseguenze degli abusi sessuali perpetrati ai danni dei minori (Fuller, 1989).

In particolare, possono considerarsi decisivi l'azione educativa in ambito scolastico e la promozione sociale di competenze socioaffettive, sessuali e sanitarie, comprendenti la formazione mirata a tutti i bambini affinché essi imparino a proteggere se stessi, a far valere la propria volontà, ad affermare i propri diritti invece di rimanere passivi, a conoscere quali sono i confini della propria persona che devono essere rispettati e a difenderli attivamente.

Una proposta innovativa in senso preventivo, proviene dall’OMS con il Progetto Skills for Life (1992).

Le skills sono le abilità di vita, definite come quelle competenze sociali e relazionali che consentono ai bambini e agli adolescenti di affrontare in modo efficace i problemi e i disagi, e particolarmente le violenze e gli abusi, causati dalla vita quotidiana e scolastica, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità (Marmocchi et al., 2004).
La mancanza di tali skills socio-emotive - come viene affermato nel documento dell’OMS - può causare, in particolare nei giovani, l’instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress: tentativi di suicidio, tossicodipendenza, fumo di sigaretta, alcolismo,ecc.

E’ stato identificato un nucleo fondamentale di dieci competenze che deve rappresentare il fulcro di ogni valido programma di prevenzione e contrasto delle diverse forme di violenza favorendo il pieno benessere della persona. Tali skills riguardano:

• Gestione delle emozioni (riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri).
• Senso critico (analizzare e valutare le situazioni ).
• Decision making (prendere decisioni).
• Gestione dello stress (capacità di governare le tensioni).
• Problem solving (risolvere problemi).
• Creatività (affrontare in modo flessibile ogni genere di situazione).
• Comunicazione efficace (capacità di esprimersi incisivamente).
• Empatia (comprendere gli altri).
• Skill per le relazioni interpersonali (interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo).
• Consapevolezza di sé (capacità di leggere dentro se stessi).

L'educazione emotiva, da realizzare sia in ambito scolastico che familiare, è specificamente riferita alle competenze emozionali personali e alle abilità interpersonali, definite nell’ambito delle neuroscienze dalle ricerche sull’Intelligenza Emotiva (Goleman, 1996).

I programmi educativi più efficaci, quali il PATH (Parents and Teachers Helping Students) di M. Greenberg (1993), oppure lo Youth e il Parent Effectiveness Training elaborati da T. Gordon (1994), insegnano a trovare soluzioni positive per risolvere i conflitti interpersonali, ad essere più fiduciosi in se stessi, a gestire le emozioni distruttive e a non autoincolparsi se si verifica qualcosa di negativo, a sviluppare strategie per promuovere un pensiero alternativo e, infine, a fare affidamento su una rete di sostegno costituita da insegnanti e genitori ai quali rivolgersi.

Non esistendo un trattamento a senso unico ed esclusivo, le tipologie di intervento ipotizzabili, oltre alla prevenzione, variano dalla consultazione psicoterapeutica individuale alla partecipazione ai gruppi per vittime di abusi, fino alla psicoterapia familiare.

Con il minore abusato, considerando l'impatto brutale e destrutturante della violenza subita, la cura prevede modalità di intervento a lungo termine estremamente delicate.

Il trattamento è finalizzato al recupero e alla terapia di tutti gli elementi disfunzionali individuali e anche dell’ambiente relazionale (nel caso di abuso intrafamiliare, come accade nell'85% circa dei casi), comprendendo l’elaborazione dei disagi emozionali e dei vissuti di paura e di dolore associati all'abuso e alle circostanze in cui si è verificato (De Leo, Petruccelli, 1999). Preliminare ad ogni forma di aiuto, è la costruzione di una relazione d’aiuto valida in cui il bambino sperimenti l’ascolto empatico, attento e sensibile, di una persona che rispetta i tempi e le modalità espressive dell’animo infantile, in un clima di accettazione e considerazione positiva (Rogers, 1965).

Le principali finalità del lavoro terapeutico individuale sono orientate a consentire alla vittima di ristabilire il normale svolgimento della sua evoluzione psichica interna, interrotta e come cristallizzata dall'abuso.

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Il procedimento impiegato, accuratamente personalizzato, deve facilitare progressivamente il contatto e l'elaborazione dei vissuti traumatici, attraverso, ad esempio, il gioco e il disegno, in un apposito setting terapeutico funzionale al contenimento e alla ristrutturazione cognitiva. Al centro dell'attività terapeutica si pone la valorizzazione di ogni qualità individuale, oltre alle risorse familiari e sociali, per ricostituire un clima di fiducia, solidarietà e vicinanza, tra la piccola vittima e il suo abituale ambiente di vita. La terapia individuale si può combinare con la terapia della coppia genitoriale, almeno in quelle situazioni dove c’è una richiesta di aiuto da parte della stessa coppia.

La terapia di gruppo può essere valida per favorire il confronto e la condivisione dei vissuti circa la comune esperienza e, soprattutto, diventa un efficace supporto per affrontare e superare i confini rigidi del senso di colpa. Stimola nei presenti la sensazione di ricevere sostegno e attenzione impedendo decisamente l'affiorare dell'isolamento e del senso di estraneazione sociale.

Tra le tecniche maggiormente impiegate sono comprese attività di gioco terapeutico (come la Sand Play Therapy di D. Kalf o la Play Therapy di V. Axline), racconti di storie, disegni, colorare figure e libri, ecc. Tali attività di gruppo sono finalizzate a sostenere i partecipanti nella osservazione e conoscenza delle proprie reazioni specifiche allo shock vissuto e a incrementare le strategie di coping più idonee.

L’attenzione ai meccanismi di difesa (rimozione, negazione, scissione, identificazione con l’aggressore, idealizzazione) del bambino violentato si rende necessaria perché l’episodio abusivo potrebbe aver prodotto alterazioni nel loro impiego intrapsichico, divenendo rigidi a causa dello sforzo di dissimulare la verità dell’abuso e di non avere il ricordo del trauma.
La terapia familiare ad orientamento sistemico-relazionale, si pone come tentativo di riaggregare e rendere più funzionale il nucleo familiare per mezzo di una trasformazione dei modelli comunicativi più rigidi e dei giochi familiari disfunzionali che si sono instaurati dopo l’evento (Selvini Palazzoli, 1988). Quando un membro della famiglia è l'abusante, l'obiettivo iniziale è di assicurare in primo luogo la sicurezza psico-fisica della vittima, per arrivare successivamente al chiarimento dell'esperienza traumatica e superare le ombre e i "segreti" prodotti nel contesto parentale, magari realizzando nuovi schemi relazionali e ricercando strategie comunicative per affrontare creativamente i problemi (problem solving).
L’approccio della terapia ad orientamento strategico, a differenza dei precedenti, si propone di cambiare la situazione di disagio soggettiva o di una coppia o di una famiglia, favorendo un cambiamento, ossia una ristrutturazione dell'esperienza, dei comportamenti, delle cognizioni e delle finalità dei soggetti coinvolti. Tra le tecniche più utilizzate, derivanti dalle ricerche sulla comunicazione realizzate dagli studiosi di Palo Alto e dal lavoro clinico di M. H. Erickson, figurano le prescrizioni, i paradossi, le fantasie guidate, le strategie suggestive, ecc. (Watzalawick, 1967).

Con le vittime di abuso sessuale avvenuto nel periodo infantile, il piano di trattamento prevede l'intervento nelle relazioni familiari, con la famiglia ridefinita come un gruppo di auto-aiuto e interessata nella terapia come un sistema di relazioni organizzate per affrontare e risolvere le implicazioni del problema. Il percorso di cambiamento che viene proposto riguarda una serie di ‘fasi’ che permettono un processo di trasformazione progressivo dell’intero nucleo familiare (Madanes, 1981).

Esula dagli intenti del presente scritto l’approfondimento degli interventi realizzabili con il pedofilo che, tra l’altro, presentano diversi ordini di difficoltà, a partire dal riconoscimento della necessità di sottoporsi ad un trattamento, in quanto portatore di patologia. Qui ci si limita a precisare che uno degli obiettivi realizzabili interessa la prevenzione delle ricadute e delle recidive.

Il trattamento è diversificato secondo le circostanze e varia da quello medico-farmacologico, che può arrivare a forme di castrazione chimica (atte a inibire l’azione del testosterone), a quello finalizzato alla modificazione del comportamento attraverso terapie comportamentali, per approdare all’intervento psicoterapeutico che può rivelarsi in alcuni casi decisivo.

Infine, i fenomeni della pedofilia e della violenza all’infanzia emergono dallo scenario appena delineato con tutto il loro carattere inquietante che fa risaltare maggiormente la necessità di mantenere sempre attiva la ricerca scientifica nell’ ambito della condizione infantile:
"Fin che mondo è mondo, la condizione umana sarà rappresentata anche da aspetti negativi e, dolorosamente, anche dal problema dell'abuso all'infanzia. Ma, fin che mondo ci sarà, dovrà sempre essere viva la nostra ricerca verso l'eliminazione di questo aspetto doloroso della condizione umana, (...)" (Montecchi, 1998).
Ma a chi appartiene la responsabilità di mantenere efficiente la ricerca scientifica e insieme di promuovere iniziative per impedire i fenomeni che riguardano l’ abuso e la violenza?
Di nuovo, come in apertura, le parole della Miller rispondono in maniera chiara: ”...noi adulti abbiamo la facoltà, col nostro comportamento di allevare i nostri figli come dei futuri mostri, oppure come persone coscienti e responsabili perché sensibili”.

 

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Articolo a cura del Dott. Renato Vignati
pubblicato nel volume "L'Infanzia. Aspetti e problemi psicologici" - Edizioni Psiconline - © 2006

 

 


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