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L'estetica sociale: il recupero delle relazioni sociali, dell'Io, dei livelli emozionali di autostima e benessere

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L’Estetica Sociale è una disciplina  che adatta le proprie competenze al mondo della sofferenza, fisica, psicologica, sociale con l’obiettivo di ripristinare l'immagine di sé, alterata sia dalla malattia, dai traumi, dai trattamenti medici.

Lestetica sociale il recupero delle relazioni sociali dellIo dei livelli emozionaIi di autostima e benessereL’Estetica Sociale (Esthetics Outreach) è una disciplina dell’estetica professionale che adatta le proprie competenze al mondo della sofferenza, fisica, psicologica, sociale, (negli ambiti ad esempio oncologici, dei diversamente abili, psichiatrici, delle carceri) con l’obiettivo di ripristinare l'immagine di sé, alterata sia dalla malattia, dai traumi, dai trattamenti medici. Tenterò in questo lavoro di rispondere alle seguenti domande:

  • Può l’immagine estetica da linea di confine e separazione tra le rappresentazioni del mondo interno ed esterno, tra essere ed apparire, declinarsi anche in una risorsa riabilitativa e di recupero del benessere e dell’autostima dell’individuo?
  • Come può l’estetica sociale integrare in modo olistico le percezioni di mente e corpo, quando queste risultino frammentate da una salute psicofisica che per varie ragioni viene compromessa?

Poiché il concetto di immagine estetica non coincide esattamente con un dato di realtà, né con la bellezza in sé e nemmeno con il senso di benessere e poiché soprattutto ricorre negli interessi delle riflessioni di tante discipline come l’antropologia, la sociologia, la filosofia, l’arte, la letteratura, la psicologia, prima di indagare le risposte è necessario fare alcune premesse che contestualizzino e connotinol’immagine estetica nell’ambito specifico della discussione e dell’evoluzione del concetto di salute e recupero/riabilitazione.

Premesse

Nel 1948 l’OMS dichiarava: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità".

Nel 1966 A. Seppilli, scriveva: La salute è una condizione di armonico equilibrio, fisico e psichico, dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale. Nell’espressioni di “armonico equilibrio” il concetto di salute si appropriava di una dimensione dinamica, giocata tra interno ed esterno, cioè tra risorse di resilienza personali e complessità dei contesti ambientali. Un elemento innovativo del concetto di salute che anticipava riferimenti ad alcune connotazioni tipiche dell’immagine estetica, come la relazione tra eleganza ed adattamento, cioè l’ appropriatezza al contesto, da intendersi sia come mondo interno che come mondo esterno al soggetto.

Successivamente nel 1984 venivano gettate le basi concettuali della promozione della salute: “La promozione della salute è il processo che permette alle persone di aumentare il controllo su di sé e migliorare la propria salute”. Nel documento finale de “La Carta di Ottawa”, adottata in Canada il 21 Novembre 1986, si asseriva: "La promozione della salute è il processo che conferisce alle popolazioni i mezzi per assicurare un maggior controllo sul loro livello di salute e migliorarlo. Questo modo di procedere deriva da un concetto che definisce la salute come la misura in cui un gruppo o un individuo possono, da un lato, realizzare le proprie ambizioni e soddisfare i propri bisogni e dall’altro, evolversi con l’ambiente o adattarsi a questo. La salute è dunque percepita come risorsa della vita quotidiana e non come il fine della vita: è un concetto positivo che mette in valore le risorse sociali e individuali, come le capacità fisiche. Così, la promozione della salute non è legata soltanto al settore sanitario: supera gli stili di vita per mirare al benessere".

In questa ottica il concetto di recupero e/o riabilitazione che si tratti, di salute e  abilità compromesse o talora perse, di benessere come pure di bellezza ed immagine estetica e quindi dei correlati livelli emozionali di autostima dell’io, non può essere prescrittivo, cioè non può indicare modelli percorsi e strategie a priori a cui aderire rigidamente, ma dovrà tener conto delle variabili che definiscono lo stile di vita ed il benessere di ciascun individuo. Dovrà tner conto delle sua cultura, delle sue credenze, delle sue abitudini, esigenze, aspettative, preferenze, risorse, delle sue capacità di adattamento.

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Ora è interessante notare come “estetica” derivi etimologicamente dal greco aistetikòs, che vuol dire sensibile, capace di sentire, e dal tema aistànome, che si traduce in sento per mezzo dei sensi.  All’origine l’estetica non ha nulla a che vedere col bello ma ha a che fare con la conoscenza sensoriale e la facoltà immaginativa. In questo senso il termine fu usato anche da Kant come disciplina riguardante la conoscenza sensibile o la percezione. E’ solo dalla metà del 18° sec., e soprattutto dal 19° sec. in poi che il suo significato prevalente è quello di "disciplina riguardante il bello (naturale e in particolare artistico), la produzione e i prodotti dell'arte, il giudizio di gusto su di essi, e così via".

Fu Baumgarten nella sua opera maggiore (Aesthetica, 1750-58), a coniugare i due significati e ad introdurre il termine estetica in accezione moderna come disciplina filosofica che viene definita complessivamente ‘scienza della conoscenza sensitiva’.

Sono quindi tre gli aspetti coniugati storicamente dal concetto di estetica: la sensorialità, la conoscenza e la scienza, ovvero:

  1. L’ Estetica come  scientia cognitionis sensitivae (Baumgarten, 1750-1758)
  2. L’ Estetica come ars pulchrae cogitandi, cioè arte del bel pensare, dove pensare è esercizio della conoscenza sensibile, non fine a se stesso ma finalizzato al raggiungimento della perfezione, che è la bellezza, ed ha quindi una finalità prammatica.
  3. L’Estetica come Theoria liberalium artium: teoria delle arti liberali

In sintesi, l’estetica è una scienza che ha per oggetto la conoscenza sensibile, mira attraverso di questa al raggiungimento della propria perfezione, che è la bellezza, e si avvale per tale finalità delle arti  liberali, fra cui oggi l’estetologia, sempre che l’esercizio di queste si attenga alle regole operative indicate dall’estetica stessa.

Seguono due corollari

  • Non può esserci raggiungimento della bellezza senza ascolto sensoriale: questo pone il problema del riconoscimento e accoglienza del nostro corpo qualunque esso sia
  • L’immagine estetica sarà la rappresentazione visibile sia di un sentimento, un sentire, che della conoscenza da esso derivata. (Non abbiamo ovviamente soltanto l’immagine estetica del corpo, ma anche degli oggetti, di un paesaggio, di un’equazione matematica. Si pensi ad esempio alla formula della relatività di Einstein, tanto pregna di conoscenza quanto quanto percepita come visivamente elegante). Una conoscenza tanto derivata talvolta da rischiare di ottenere un “estetismo diffuso”, di imporre cioè una tendenza ad “estetizzare” le manifestazioni più diverse e di creare una sorta di “cosmesi” della vita in generale, e di affermare la realtà delkitsch o anche di quella che Adorno e Horkheimer definivano «industria culturale» (1947).

Date le premesse per rispondere alla prima domanda, che chiedeva se l’immagine estetica potesse declinarsi in una risorsa riabilitativa e di recupero del benessere e dell’autostima dell’individuo, pongo alcune altre domande.

  • In primo luogo, quanto l’immagine estetica oggi fa corrispondere ciò che si vede (come immagine) a ciò che si sente, invece che a ciò che si considera espressione di un modello esterno di bellezza perfetta? La risposta è tutt’altro che speculativa.
  • Consideriamo da una parte la distanza che ciascuna donna conosce tra le richiesta che pone e il risultato che ottiene quando va da un parrucchiere per un taglio di capelli. Nessun parrucchiere intende ciò che una donna desidera nel taglio, tutti propongono, pare, propri modelli alla moda. In un contesto sanitario, una parrucca per pazienti oncologiche, ottenuta dal taglio dei propri capelli prima che vadano persi a seguito di una chemioterapia  sarà percepita come meno lontana dal modello estetico che ciascuna donna adottava per sé con il taglio che aveva prima delle terapie e rispetto ad una parrucca sintetica (Giusti, Fazioli, ritorno alla Bellezza), o di capelli altrui, ma non necessariamente restituirà un senso integrato di sé, mente/corpo e dei livelli di benessere ed autostima precedenti alla malattia. Occorre comunque un adattamento dinamico al cambiamento, anche positivo, dove riconoscersi gli stessi di prima con delle differenze che si aggiungono alla rappresentazione di sé.
  • Oppure consideriamo la vera finalità della ricostruzione plastica di un seno precedentemente mastectomizzato: il fine è ricreare un seno che sotto l’abito, il reggiseno, il costume, sembri normale, non che sia normale o con cui la donna ci si senta comoda. E questa è la ragione per cui molte donne, pur avendo un seno ben ricostruito e comodo, considerano imperfetto e mal riuscito l’intervento. Ciò che manca qui spesso è la consulenza psicologica pre e post intervento non la competenza del chirurgo plastico.
  • Ancora. Consideriamo l’incidenza e l’impatto dell’aspetto esteriore nei rapporti sociali quando si cerca attraverso l’immagine estetica un’ adesione a canoni di bellezza perfetti che non sempre riflettono il proprio modo di sentire.
    Già le favole per i bambini propongono principesse belle e affascinanti che sposano brillanti principi azzurri, mentre i personaggi malvagi sono pure brutti. Si associa il bello al buono, ed il brutto al cattivo. Il vantaggio prodotto dalla bellezza inizia molto precocemente ad opera degli adulti con ricadute sull’autostima e lo sviluppo di abilità sociali nei minori. In una ricerca realizzata nel 1972 da Dion si chiedeva ad un gruppo di adulti di valutare la gravità della cattiva azione commessa da bambini di 7 anni e stabilire la sanzione dovuta per il danno causato. I dossier dei bambini erano integrati delle foto dei colpevoli ed i risultati dimostrarono nei giudizi alta tolleranza, a parità di misfatto, nei confronti dei bambini attraenti. Si tende a leggere come occasionali le azioni sbagliate dei bambini attraenti e come dovute a propria volontà e responsabilità quelle dei meno attraenti, con un pregiudizio che può diventare predittivo di tante problematiche future. Anche in ambito forense si tende a dare più credito a testimoni di piacevole aspetto: nei reati a sfondo sessuale, gli imputati dal fisico meno armonioso e gradevole sono considerati più pericolosi di quelli attraenti.

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Storicamente la denigrazione dei tratti fisici dell’altro è da sempre uno dei modi per screditarlo. Si può ricordare come il nazismo "dipingeva" l'ebreo o certo disprezzo per i tratti dei "negri" o come erano raffigurati negli anni '50 nel nord Italia i "terroni" (bassi, grassi e malvestiti). Anche senza ricorrere a teorie lombrosiane, ancora oggi una persona malmessa e povera può essere più facilmente percepito come un potenziale ladro. Ciò nel tempo potrà trasformare quella persona in una vittima di una profezia che si autoavvera. In ambito professionale, una ricerca del 1993 di Holzer  evidenziava come per il 50% degli impiegati intervistati l’apparenza fisica fosse un criterio molto (11%) o piuttosto importante (39%) per ottenere il posto di lavoro. La credenza emersa è che la bellezza fisica svolga un ruolo di base nella possibilità di sviluppare buone relazioni sociali, perché  correlata a maggiore abilità comunicativa e personalità più estroversa. In ogni caso, tutti gli studi disponibili confermano che in moltissimi settori la bellezza aumenta le possibilità di carriera.

  • In secondo luogo, sarebbe interessante chiedersi che cosa ci sia di vero nel ritenere che la bellezza e una buona rappresentazione della propria ed altrui immagine fisica sia alla base della possibilità di sviluppare buone relazioni sociali. Rispondere permetterebbe di investigare quanto la formazione e o il recupero di una buona immagine estetica di sé, anche in un corpo mutato, leso per malattia o anzianità, può favorire quel sentimento di quell’equilibrio armonico, tra soggetto ed ambiente, condizione di benessere e salute di cui parlava la carta di Ottawa, cioè tra consapevolezza, accettazione di sé, della propria mutata originalità, unicità, differenza, e ricerca di nuove forme di espressione anche estetiche. Si può rispondere adottando diverse prospettive.
  • Alcune citazioni prese a prestito dalla letteratura e filosofia associano alla bellezza potere salvifico gratificando e preservando le relazioni sociali e la collettività tutta. Omero sosteneva che la bellezza è sacra, S. Agostino la descriveva come una zattera in mezzo alle onde del mare, Proust sosteneva che la bellezza è vitale elettrizzante e proprio Dostoevskij dirà “solo la bellezza salverà il mondo”.
  • Sul versante dell’antropologia (Nielsen e Kernaleguen, 1976) si sottolinea che l’attrazione estetica possa svolgere un ruolo cruciale nelle interazioni sociali, in quanto consente tramite la comunicazione non verbale e nelle prime fasi dell’interazione un rapido accesso ad informazioni sulla la persona, Essa sarebbe cioè veicolo di informazioni ed assumerebbe i ruolo di un canale comunicativo.
  • Tradotto nei termini della psicologia cognitiva, l’immagine estetica, soprattutto quella attrattiva, poiché offre l’immagine che il soggetto ha di sé stesso e l’immagine che di se stesso vuole presentare agli altri, favorisce la costruzione di una teoria della mente (Fonagy). La teoria della mente è un sistema esplicativo ed unitario di rappresentazioni e attribuzioni circa i propri e altrui stati mentali, ovvero credenze, emozioni, desideri, intenzioni, pensieri, riferiti a sé e agli altri, inferiti da una serie di comportamenti, compresi quelli delle condotte estetiche, che permette di cogliere esattamente cosa una persona vuole comunicare (Baron-Cohen, 1995) e  di decidere come regolarsi di conseguenza.

Si tratta di un’abilità utilizzata quotidianamente che consente di conoscere, spiegare, prevedere e gestire gli stati interni e le relazioni sociali al meglio (Moore, Frye, 1991) favorendo funzioni come l’autoconsapevolezza e la riflessività.

Fonagy e Target (2001), sostennero che la teoria della mente, offre una funzione protettiva per tutti coloro che mostrano delle difficoltà oggettive dovute a traumi subiti, consentendogli di mantenere una sorta di integrità cognitiva ed esperenziale.

Un mio paziente con patologia oncologica, che aveva perso i capelli, mi chiese: chissà se si domanderanno se ho perso i capelli per moda o malattia!

L’immagine estetica ci permette quindi di allenare questa funzione metacognitiva, domandandoci che cosa vuole comunicare una persona con quel particolare make up, abito tatuaggio, e di aumentare le probabilità di buoni rapporti sociali sulla base della capacità di autoregolarci attraverso le informazioni inferite dall’immagine.

  • Un’altra prospettiva è quella che riguarda le emozioni e ciò che implicano nelle relazioni.

Se l’immagine estetica ha una funzione comunicativa, chi se ne prende cura esprime o il bisogno di avere cura di sé, o il bisogno di ritrovare forme di appartenenza, nel caso in cui si seguano le mode, o il bisogno di trovare originalità personalizzazione come nel make up nei tatuaggi e nell’abbigliamento, a volte il bisogno e il piacere di attrarre a sé qualcuno, di sedurre. In tutti i casi si esprimono due emozioni prevalenti.

  • Una è quella di piacere e interesse, associati all’intenzione di fare qualche cosa, quindi ad uno scopo contrario a quello del ritiro depressivo che spesso addirittura manca della stessa rappresentazione di scopi. E questa intenzione di antidepressiva è ciò che coinvolge il mondo, sia quello che condivide che quello che compete.
  • L’altra è quella di autostima. Non si deve fare l’errore di considerare l’autostima correlata al risultato ed efficacia di proprie prestazioni. L’autostima prescinde inizialmente dai risultati ottenuti. Essa ha che fare con un senso di sé o di identità che rimane più o meno stabile a seconda delle invalidazioni, dei traumi, delle malattie. Ora il senso di identità si fonda primariamente sul senso di appartenenza a sé del proprio corpo (Damasio, 1999), per cui il senso di identità è tanto più definito quanto più la rappresentazione del corpo è relativamente unitaria e stabile. Una rappresentazione unitaria e stabile non può che derivare dalla storia della persona come soggetto fatto di mente e corpo integrati e non separati o frammentati. Si pensi ad un adolescente, sano e bello il cui corpo cambi. Va in crisi, non perchè sia brutto ma perché non riconosce nel cambiamento del proprio corpo e nell’attivazione delle sue sensazioni la propria continuità, sente disorientamento. Questo abbassa il senso di autostima perché non c’è ancora conoscenza e non può leggere il tutto come normale processo di formazione e maturità psicofisica. Se il disagio ai suoi cambiamenti non viene segnalato né rassicurato, avremo una persona con disregolazione delle emozioni e impulsività, probabilmente. Lo stesso si può dire per un anziano, dove il corpo e le rappresentazioni soggettive del corpo modificano quella che era stata l’immagine fino ad allora preesistente. Si peni a cosa può succedere ad un malato di cancro che veda violare i propri confini corporei non solo dalla malattia ma anche dalle terapie: lo vede traumatizzato.

Cosa può fare allora la cura dell’immagine estetica in questi casi? Cioè, ci può essere un recupero dei livelli di benessere psicofisico e dei livelli di autostima attraverso la riabilitazione dell’immagine estetica?

Prima si dovrebbero superare a mio avviso i due paradigmi rappresentazionali che hanno maggiormente informato la riflessione filosofica, e produzione estetica a partire dall’antichità:

  • da una parte, la visione platonica dell’immagine come copia degradata di un archetipo ideale;
  • dall’altra, la concezione neoplatonica e cristiana dell’immagine come luogo di manifestazione

Poi si può riscostruire una nuova percezione integrata del sé e del corpo adattando gli interventi estetici alla storia delle esperienze traumatiche del corpo e della mente, facendo attenzione a riconoscere quella storia e a non proporre soluzioni prescrittive. L’autostima deriva dal riconoscimento della continuità di somiglianza di sé a sé oltre il cambiamento portato dalla malattie e dalla maturazione di un sé che non si depriva ma si arricchisce di nuove rappresentazioni.

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E quindi, per rispondere alla seconda domanda posta in apertura: Come può l’estetica sociale integrare in modo olistico le percezioni di mente e corpo, quando queste risultino frammentate da una salute psicofisica che per varie ragioni viene compromessa? In particolare, può ricostruire insieme al soggetto un rinnovato senso di immagine corporea ed estetica senza rischiare di essere prescrittiva e di imporre canoni  estetici che non si adattano al vissuto del soggetto?

La mia proposta è che nei corsi di formazione per estetisti sociali si introducano due discipline, una filosofica, storia dell’estetica, e l’altra psicologica inerente la formazione all’ascolto attivo del silenzio e delle parole delle persone anziane o malate.

Occorre imparare a riconoscere attraverso le intuizioni sollecitate da queste due discipline che:

  • Nell’immagine estetica si disvela il tema del doppio, ovvero della duplicità come caratteristica fondante della condizione umana, divisa tra identità ed alterità. Tema diffuso tra arte, letteratura e psicologia. Lo stesso Freud ne parlava in un breve saggio del 1919 Das Unheimlichedas espressione intraducibile ma tradotto in “il perturbante” che è insieme ciò che è capace di suscitare stupore meraviglia e al tempo stesso sgomento, paura, terrore. . Freud offre delle immagini di queste figure: la figura del sosia e dell’immagine riflessa nello specchio, ciò che si presenta casualmente due volte. La stessa immagine estetica ha un suo doppio tra identità ed alterità, anzi due doppi: da una parte, ciò che appare richiama ciò che non è e quindi il suo opposto, dall’altra assume sia il significato di lusso, come valore aggiunto o non essenziale, sia il significato di esigenza di benessere. Dicotomie di apparire ed essere e salute/malattia;
  • l’immagine estetica, rivelandosi già nel “doppio” non può essere indagata, chiarita, ripristinata adeguatamente in termini di pura risposta e che anzi implica una coappartenenza originaria di domanda ed esperienza, cioè di bisogno portato dalla storia del paziente ed esperienza portata dall’operatore. Non può essere in altri termini prescrittiva. La ridefinizione dell’immagine estetica è arte che nella sua tensione alla perfezione, deve poter mostrare ancora umiltà e accettazione dell’incompiutezza e anche dell’eventuale insoddisfazione finale dei soggetti in sofferenza..
  • data questa coappartenenza di domanda ed esperienza, di storia e competenza, queste due discipline possono aiutarci a dar corpo alla bellezza. Cioè a selezionare aspetti della realtà corporea e mentale del paziente e farne costrutti mentali e scelte condivise.

 

Bibliografia

  • Adorno T. - Horkheimer M., 1947, Dialektik der Aufklärung. Philophische
  • Baron-Cohen, S. (1995). Learning, development, and conceptual change. Mindblindness: An essay on autism and theory of mind. Cambridge, MA, US: The MIT Press.
  • BAuMGArten A.G., Aesthetica, 1750-58. 35 s. VitALe, op.cit., p. 46
  • Carta di Ottawa, 21 Novembre 1986, www.who.int/hpr/archive/docs/ottawa.html
  • Damasio,A., (1999), The Feeling of What Happens, New York: Harcourt
  • Dion, K. K. (1972). “ Physical attractiveness and evaluations of children’s trasngressions”, Journal of personality and social psychology, 46, pp. 285-290.
  • Fonagy, P., Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Raffaello Cortina, Milano.
  • Freud S., Il perturbante Pubblicato per la prima volta sulla rivista Imago nel 1919
  • Giusti B., Fazioli F., (2009) Ritorno alla Bellezza Cure oncologiche e capelli: un aiuto concreto. Simple Edizioni.
  • Holzer J., Truisms, 1977–79, Varsavia, 1993.
  • Kant, I. (1970) Critica del giudizio, Utet (2013)
  • Nielsen J.P.  and Kernaleguen A., Influence of clothing and physical attractiveness in person perception, Percept Motor Skill (1976), 42, 775- 780
  • Moore C., Frye D. (1991) – The acquisition and utilità of theory of mind, in Frye D., Moore C., (a cura di), Children’s Theories of Mind – Erlbaum, Hillsdale.
  • Seppilli A. L’educazione sanitaria nella difesa dellasalute. Relazione alla I Conferenza di Educazione sanitaria. Educazione Sanitaria 1966; 11: 339-62 WHO-OMS, 1948

 

 

(Articolo a cura della Dottoressa Liuva Capezzani
Psicologa Psicoterapeuta Psico-oncologa - www.liuvacapezzani.it)

 

 


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