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La depressione. Quella visibile e quella invisibile.

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la depressione e i suoi correlati. Cosa è, cosa non è, quali le cause, quali le cure. In sintesi, Un articolo completo ed esaustivo per imparare a riconoscere la depressione e come fare per gestirla e curarla.

depressione visibile e invisibileIn questo articolo vorrei parlarvi di depressione. Per fare questo, devo cominciare dal raccontarvi cosa la depressione non è. 

La depressione NON è:

  • uno stato d’animo negativo passeggero. La depressione è un disturbo clinico, non è un normale stato di tristezza. Tutti noi abbiamo avuto esperienza di “giornate storte”, in cui ci sentiamo giù di morale, irritabili, avviliti. In questi casi possiamo parlare di calo dell’umore transitorio, in genere legato ad eventi esterni. Nel disturbo depressivo maggiore, invece, si trascorrono intere settimane in un buio profondo, paralizzante, angosciante, senza un apparente motivo, o comunque la durata e l’intensità di questa condizione sono sproporzionate rispetto all’evento scatenante.
  • la normale reazione di elaborazione di un lutto. Mi è capitato di ascoltare la storia di una signora che, rivoltasi al suo medico perché da due giorni non riusciva a smettere di piangere in seguito alla morte improvvisa di una carissima amica d’infanzia, si è vista prescrivere un antidepressivo. Come spiegherò nel corso di questo articolo, i farmaci antidepressivi sono molto utili, ma solo nel caso in cui 1) vi sia una diagnosi di depressione; 2) la depressione sia classificata come severa. In questo caso, come potete ben immaginare, la signora in questione non era depressa, ma profondamente (e comprensibilmente) distrutta dalla morte dell’amica. Da terapeuta, mi preoccuperei di più se vedessi indifferenza o tranquillità in una persona che avesse appena vissuto una tale perdita.
    Una reazione “normale” al lutto, pur essendo accompagnata da forte sofferenza, dura dai 2 ai 6 mesi. Durante questo periodo, la persona migliora senza bisogno di trattamenti.
  • pigrizia o mancanza di volontà: non c’è niente di peggio, per una persona depressa, di sentirsi dire “su, reagisci, basta volerlo”, o frasi simili. Anche se dette in buona fede, aumentano il già elevato senso di colpa di cui è vittima. Se si sta vivendo un episodio depressivo, NON “BASTA VOLERLO”.
  • una condanna. E finalmente veniamo alle buone notizie. La depressione è un disturbo dell’umore curabile. Se non trattata, essa ha un andamento cronico, con ricadute sempre più intense, frequenti, durature. Con la giusta terapia, però, la fase acuta della depressione si può vincere. Attraverso un attento lavoro di prevenzione delle ricadute, inoltre, se ne può interrompere o migliorare il corso.

E CHE COS’È ALLORA LA DEPRESSIONE?

Il DSM 5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) classifica come “Disturbo depressivo maggiore” un quadro caratterizzato da umore depresso e/o perdita di interesse o piacere per le attività che la persona era solita svolgere, che si protrae per un periodo minimo di due settimane. Tra gli altri sintomi indispensabili per fare diagnosi, devono risultarne alcuni (5 in tutto, compresi l’umore depresso e/o la perdita di interesse) tra:

  • significativa perdita di peso o aumento di peso;
  • insonnia o ipersonnia quasi tutti i giorni;
  • agitazione o rallentamento psicomotorio quasi tutti i giorni;
  • sentirsi stanchi, affaticati e privi di energia quasi tutti i giorni: la mancanza di energia è caratteristica di molte persone depresse paradossalmente, come vedremo più avanti in questo articolo, più la persona riprenderà a svolgere attività, meno stanca di sentirà. Ovviamente, non si tratta di una stanchezza fisica, ma emotiva. La stanchezza mentale diminuisce quando torniamo ad impegnarci e a focalizzarci su qualcosa che non siano il nostro pensiero e il rimuginio;
  • sentimenti di autosvalutazione e colpa eccessivi ed inappropriati quasi tutti i giorni;
  • ridotta capacità di concentrazione o indecisione quasi tutti i giorni;
  • pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria o tentativi di suicidio: il depresso si sente un peso per i familiari e gli amici, che lo incitano a reagire e a ritornare come era prima. Ma lui non può farlo, e per questo si sente un inetto e un peso per gli altri.

Altri sintomi della depressione sono: pessimismo, diminuzione del desiderio sessuale, irritabilità, difficoltà di memoria (negli anziani questi deficit possono essere scambiati per demenza, infatti si parla di “pseudodemenza”), crisi di pianto, difficoltà a sorridere, ansia ed ipervigilanza.

La persona depressa non ha più voglia di prendersi cura di sé, di lavorare, di fare sport o di avere rapporti sessuali. Sente che manca la motivazione per fare qualsiasi cosa, e vede la vita come un’inutile fatica. La mattina è il momento peggiore per chi soffre di depressione. Ci si sveglia (molto presto!) già stanchi. La giornata da affrontare è una montagna da scalare, fa paura.

Quando oltre agli episodi depressivi, la persona vive episodi maniacali (periodi di umore eccessivamente euforico o irritabile e di aumento dell’energia), si parla di disturbo bipolare.

La distimia è invece una sorta di depressione con una sintomatologia più attutita ma costante e duratura (deve durare almeno due anni). La depressione post-partum si differenzia dalla depressione semplicemente per il periodo di esordio (entro 4 settimane dal parto), anche se le implicazioni possono essere diverse. Le madri vivono spesso sensazioni di inadeguatezza e di colpa. I messaggi che i media trasmettono mettono in luce un aspetto limitato della maternità: la gioia e l’entusiasmo che la nascita di un figlio comporta. Queste madri devono sapere però, che è normale, dopo la nascita di un figlio, sentirsi a tratti tristi, spaventate, sovraccaricate. Vedendo solo l’aspetto “felice” della genitorialità, spesso le mamme si sentono “sbagliate”, presentando pensieri del tipo: “tutte le mamme sono felici, mentre io mi sento spesso triste e stressata; significa che non sono una buona madre!”.
Non dimentichiamo, infine, che anche i bambini possono soffrire di depressione. Esiste infatti anche la depressione infantile.

La depressione è considerata un disturbo dell’umore poiché le persone che ne soffrono si sentono tristi, inadeguate e incapaci di svolgere i normali compiti quotidiani. Presentano inoltre una mancanza assoluta di speranza e si percepiscono come “inaiutabili”.

Stiamo parlando di uno dei disturbi maggiormente diffusi nella popolazione generale, con una maggior prevalenza tra le donne.

Esso si presenta come una costellazione di sintomi somatici (cefalea, astenia, stipsi, ecc.), cognitivi (pensieri disfunzionali), affettivi (umore depresso) e comportamentali (isolamento, riduzione delle attività).

I sintomi somatici possono essere molteplici e riguardare organi diversi. Spesso l’umore depresso si accompagna a frequenti mal di testa o lombalgie, o ancora, a sintomi gastrointestinali.

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A livello di pensieri, la persona depressa manifesta uno stile di pensiero incentrato sul pessimismo, l’assenza di fiducia nel futuro, la personalizzazione e l’autosvalutazione. Frasi tipiche della depressione sono: “Va tutto male” ; “Sono un perdente” (autocritica); “Non sopporto di sbagliare”; “Non riesco a decidere “ (indecisione); “Non riesco a non pensarci” (ruminazione); “Sono solo un peso” .

Una manifestazione tipica della depressione è la ruminazione, ossia la tendenza a spostare l’attenzione verso se stessi, invece che all’esterno. Si trascorrono le giornate dentro ai propri pensieri, mentre il mondo esterno e le altre persone quasi non esistono più. Si ragiona sulla propria condizione e si cerca di individuarne cause e conseguenze. Questi pensieri, inutile dirlo, non fanno altro che peggiorare l’umore, innescando una spirale negativa. La ruminazione è infatti un importante fattore di mantenimento della depressione. Più si rivolge l’attenzione ai propri stati interni, più si abbassa l’umore; umore basso è sinonimo di difficoltà di concentrazione e ragionamento, per cui si elaboreranno le informazioni in maniera distorta, concentrandosi solo sui risvolti negativi delle situazioni; questo perpetuerà il circolo vizioso.

Un pensiero tipico in depressione è “devo pensare, rimuginare, ragionare, perché questo mi aiuterà a capire cosa mi sta succedendo e a trovare una soluzione”. In realtà, la soluzione non si troverà pensando. La situazione migliorerà (senza nemmeno trovare una reale soluzione) quando la persona (aiutata dalla psicoterapia) riuscirà gradualmente a reintrodurre nella sua vita piccole attività giornaliere, e spostare pian piano il focus da sé (e dai propri pensieri/ruminazioni) verso l’esterno. In questo modo interromperà la spirale distruttiva e, tornando a frequentare amici o luoghi piacevoli, tornerà a sperimentare anche ciò che viene chiamato “rinforzo sociale positivo”.

Trattare la ruminazione è un obiettivo terapeutico importante perché, oltre ad essere un fattore di mantenimento della depressione, è anche un fattore che predispone alle ricadute.

Le emozioni che un depresso sperimenta sono: in primis la tristezza e la disperazione, ma anche l’apatia, il senso di colpa e spesso (come vedremo più avanti in questo articolo) la rabbia e l’irritabilità.

Per quel che riguarda i comportamenti, le persone depresse tendono ad isolarsi e a ridurre notevolmente le attività quotidiane, limitandosi a svolgere solo i “doveri” (ammesso che ci riescano) e tralasciando qualsiasi hobby, sport, impegno con gli amici, ecc.
Possono inoltre manifestare comportamenti aggressivi, sia a livello verbale (insulti) che fisici (rompere oggetti, picchiare le persone). Approfondirò questo aspetto della depressione alla fine di questo articolo.

CAUSE

Le teorie sulle cause della depressione si dividono in: biologiche, genetiche e psicosociali.

Biologiche: Cambiamenti nella regolazione di alcuni neurotrasmettitori (serotonina e noradrenalina) sono presenti nelle persone che soffrono di depressione. L’abbassamento dei livelli di noradrenalina fa sì che vi sia una diminuzione dell’iniziativa (non si riesce nemmeno a fare una doccia), mentre l’abbassamento della serotonina causa disturbi del sonno, peggiora l’umore e aumenta i pensieri ossessivi e l’irritabilità.

Genetiche: studi sui gemelli mono e dizigotici e sulle adozioni confermano l’ipotesi della ereditabilità della depressione, anche se in misura minore rispetto al disturbo bipolare. Tale ereditabilità risulta però meno evidente per le forme lievi di depressione. Il disturbo depressivo è 2-3 volte più frequente tra i familiari di primo grado delle persone che ne soffrono, rispetto la popolazione generale.

Psicosociali: Il rischio di depressione è maggiore negli individui che presentano alcune variabili psicologiche (bassa autostima, scarse capacità di coping, difficoltà nella gestione dello stress, ecc.). E’ altrettanto vero che la depressione può essere preceduta da eventi stressanti, come lutti, separazioni, pensionamento, traslochi, problemi giudiziari, ecc. Esperienze di perdite precoci (lutti, abbandoni, trascuratezza) possono predisporre allo sviluppo di depressione.
Mentre il primo episodio depressivo può essere provocato da un evento stressante o traumatico, i successivi, in genere, non necessitano di alcun fattore scatenante e compaiono “dal nulla”, come se all’improvviso venisse premuto un interruttore e venisse spenta la luce.

IL MODELLO COGNITIVO DELLA DEPRESSIONE

Secondo Lewinsohn, alla base della depressione vi sono una diminuzione dei rinforzi positivi ricevuti dall’ambiente e un aumento delle esperienze negative. In altre parole, quando in seguito ad un evento di vita come un lutto o una separazione, ci isoliamo e allontaniamo dal nostro solito ambiente, iniziano a mancarci i rinforzi che in genere arrivano dall’esterno (un complimento di un’amica, un sorriso, una gratificazione) e conseguentemente aumentano le esperienze negative. Questo abbasserà il nostro umore; la nostra attenzione e tutti gli altri processi cognitivi (memoria, ragionamento, ecc.) si focalizzeranno su tali esperienze fallimentari in modo da diminuire ulteriormente il nostro benessere.

Qualche volta, poi, succede che la passività e la depressione vengano in qualche modo rinforzate dall’ambiente familiare. Se una persona, cioè, viene vista come malata e impossibilitata a compiere anche le minime attività quotidiane, potrebbe ricevere maggior sostegno dai familiari, o potrebbe non essere più caricata delle solite responsabilità. Si parla, in questo caso, di vantaggi secondari della depressione. Non si tratta, ovviamente, di un meccanismo consapevole, ma di un condizionamento automatico.

Seligman parla invece di “impotenza appresa”. Secondo tale teoria, di fronte ad un evento stressante, l’essere umano reagisce mettendo in atto una reazione di attacco-fuga, sviluppando ansia e agitazione, ma poi sviluppa una depressione quando si rende conto che è impossibile modificare l’evento stesso o trovare una soluzione ad esso. Si crea cioè uno stato di passività dettato dall’impotenza di modificare la situazione esterna.

Talvolta la depressione può essere facilitata anche da un deficit nelle abilità sociali. Alcune persone, cioè, faticano a fare nuove amicizie, ad iniziare una conversazione, o ad esprimere la propria opinione. Possiedono quello che si definisce uno stile di comunicazione “passivo”. Imparare ad esprimersi con “assertività” (un giusto compromesso tra “passività” ed “aggressività”, tra il rispetto degli altri e il rispetto di noi stessi) può essere un primo passo per migliorare anche il proprio umore.

Alla base della terapia comportamentale razionale emotiva (REBT) di Ellis vi è il concetto di “idee irrazionali”, pensieri disfunzionali di cui siamo poco o per nulla consapevoli, che influenzano notevolmente il nostro comportamento. Tali idee irrazionali comprendono, per esempio, “io devo sempre essere amato, rispettato e stimato da tutte le persone per me significative”, o “io devo sempre mostrarmi perfettamente competente in tutto ciò che faccio e sotto ogni aspetto, altrimenti non valgo nulla”.

Capite bene che, se ci basassimo su questi principi, saremmo destinati al fallimento. In particolare, termini come “DEVO”, “TUTTI”, “SEMPRE”, rendono irrazionali questi pensieri.

Il modello cognitivo della depressione di Aaron T. Beck si fonda sul presupposto che alla base della depressione vi sia la cosiddetta “triade cognitiva”: una visione negativa di sé, del mondo esterno e del futuro. La persona depressa, cioè, presenta una fortissima autocritica supportata da pensieri come “non valgo nulla”, “è tutta colpa mia”, “sono un enorme fallimento”. Tende inoltre ad attribuire a se stesso la causa di ogni fallimento e a considerare frutto del caso qualsiasi successo.

Il mondo esterno viene visto come pericoloso e complicato, e le altre persone come troppo critiche, ingiuste o inaffidabili. Il futuro, infine, non è nemmeno immaginabile. Pensieri come “non ne uscirò mai” o “è tutto inutile” accompagnano quasi sempre uno stato depressivo.

Il modello cognitivo di Beck si fonda sul principio (alla base della terapia cognitivo-comportamentale) secondo cui non sono mai le esperienze (esterne o interne) a determinare le nostre emozioni e quindi a guidare i nostri comportamenti. Le nostre reazioni dipendono sempre dal pensiero automatico con cui leggiamo la situazione stessa. Chi soffre di depressione, manifesterà pensieri disfunzionali, dovuti ad alcuni “errori di ragionamento”. Per esempio, tenderà ad utilizzare la “generalizzazione” (“se il mio matrimonio è fallito, non riuscirò mai più ad avere una relazione stabile e serena”), la “minimizzazione” (“ho superato il concorso perché le domande erano semplicissime; ci sarebbe riuscito chiunque”), la personalizzazione (“la cena è stata noiosa solo per colpa mia”), il “ragionamento emotivo” (“siccome sono così triste, significa che andrà tutto male”), ecc.

I pensieri automatici disfunzionali non sono altro che la punta dell’iceberg; all’origine di essi si trovano schemi di base molto più profondi, nati durante la nostra infanzia e legati alla nostra storia familiare e alle esperienze vissute. I principali sono “io sono una persona inadeguata” e “non sono amabile, nessuno mi amerà se mi conoscerà realmente”.

COME SI CURA LA DEPRESSIONE?

I farmaci antidepressivi sono indicati per il trattamento della depressione se questa raggiunge un livello severo di gravità. Essi, a differenza degli ansiolitici, creano poca o nessuna dipendenza, e non danno sintomi di astinenza quando se ne interrompe l’assunzione. L’effetto antidepressivo sull’umore si attua dopo 2-5 settimane, anche se effetti benefici su ansia e insonnia possono notarsi molto prima.

Depressione lieve, demoralizzazione e tristezza non trovano invece particolare beneficio dal loro utilizzo. Per questo motivo, i farmaci vanno utilizzati solo nel caso di disturbo depressivo maggiore (grave) o comunque se la depressione è unita a deliri o fa parte di un disturbo bipolare (in quest’ultimo caso sono necessari i farmaci stabilizzatori dell’umore).

Se i farmaci antidepressivi vengono assunti per un lungo periodo tendono a perdere di efficacia.

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Va sottolineato un rischio importante dell’uso di antidepressivi, soprattutto nei pazienti più giovani (per i quali può ancora non essere chiara la diagnosi differenziale tra depressione unipolare o bipolare). I farmaci potrebbero, infatti, innescare un episodio maniacale se la depressione è parte di un più ampio disturbo bipolare.

Ad oggi, un trattamento molto efficace per la depressione è quello che si chiama “modello sequenziale”. Esso consiste nell’utilizzo di una farmacoterapia per la cura dell’episodio depressivo acuto, seguito da una psicoterapia nella fase residuale, a cui si unisce una graduale diminuzione degli antidepressivi, fino ad arrivare alla loro sospensione. L’intervento psicoterapeutico serve, tra le altre cose, a migliorare i “sintomi residuali”, quei sintomi, cioè, che si mantengono una volta terminato l’episodio acuto del disturbo, e a dare alla persona e/o ai suoi familiari strumenti utili per prevenire ricadute future.

La psicoterapia più efficace nella cura della depressione è la psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Basandosi sui modelli cognitivo-comportamentali sopra descritti, la terapia si focalizzerà su alcuni punti principali:

  • Per prima cosa occorre focalizzarsi sulle tecniche comportamentali. Durante un episodio depressivo, infatti, la persona difficilmente è in grado di concentrarsi o di svolgere un lavoro che richieda concentrazione e ragionamento. Uno dei primi obiettivi terapeutici sarà quello di programmare piccoli compiti graduali in modo da riportare pian piano la persona ad uno stato di attività. Ci si focalizzerà, in particolare, su attività piacevoli e utili/gratificanti.
    Quello che spesso sottolineo ai miei pazienti è che il nostro obiettivo non sarà (almeno inizialmente) quello di svolgere alcune attività per sentirsi bene o provare gusto nell’eseguirle. L’obiettivo sarà quello di compiere queste attività, a prescindere dal piacere che si prova nel farle. Solo così andremo a rimettere in moto quel meccanismo di rinforzo sociale di cui abbiamo parlato in precedenza. Procedendo con la terapia, ci si aspetta ovviamente anche di ritrovare il piacere nel fare le cose, ma inizialmente basta farle.
  • Solo in un secondo tempo ci focalizzeremo sulle tecniche cognitive. La terapia cognitiva di Beck si pone l’obiettivo di modificare le cognizioni erronee dell’individuo e di correggerne i pensieri disfunzionali. Per prima cosa occorre identificare i pensieri automatici del paziente (attraverso la registrazione quotidiana dei pensieri disfunzionali in un diario), che saranno poi sottoposti a verifica allo scopo di sondarne la consistenza ed eventualmente modificarli. Essi verranno così sostituiti da cognizioni più funzionali e realistiche.
  • Imparare abilità di problem-solving può rivelarsi molto utile per chi soffre di depressione. Spesso i problemi sembrano enormi ed insolubili. Apprendere nuovi strumenti per ricercare nuove soluzioni può essere di grande aiuto per la persona depressa .
  • Anche partecipare ad un training assertivo può aggiungere abilità a chi soffre o ha sofferto di depressione. Imparare ad esprimere le proprie opinioni, a dire no quando serve, e a rispettarsi, costituisce sicuramente un importante fattore protettivo per i disturbi dell’umore.
  • Infine, un intervento fondamentale nel caso di disturbo depressivo è quello focalizzato sulla prevenzione delle ricadute. Chi soffre di depressione, infatti, tende a vivere con frequenza sempre maggiore episodi di questo tipo, che si riveleranno di volta in volta più duraturi, intensi e debilitanti. La psicoterapia cognitivo-comportamentale può svolgere un buon lavoro di prevenzione delle ricadute, dopo aver trattato l’episodio acuto ed aver risollevato l’umore. Essa consiste in:
    • Individuazione dei sintomi prodromici e dei fattori di rischio: Identificare quali siano i primi segni della depressione è un passo decisivo nella fase di prevenzione delle ricadute. Sapere che gli episodi non capitano “dal nulla”, ma che in qualche modo avvisavano del loro arrivo può restituire un certo grado di controllo sulla sua situazione.
    • Coping Cards: Per prevenire le ricadute depressive, può essere chiesto alla persona di compilare, con l’aiuto del terapeuta, alcuni biglietti di sostegno, o “coping cards”. Su alcuni cartoncini colorati si elencano le strategie da utilizzare qualora si avvertissero i prodromi della depressione, e si annotato alcune frasi che la “persona di oggi, che sta bene” scriverebbe alla “persona depressa”. Esempi di frase sono: “Ora non hai voglia di fare nulla, ma questo ti porta ad entrare in un circolo vizioso che ti farà stare sempre peggio. Devi programmare piccole attività ogni giorno, non troppo difficili per non andare incontro a fallimenti che potrebbero peggiorare il tuo umore, ma nemmeno troppo semplici”. Questi bigliettini andranno letti se si ripresenteranno i primi segnali della depressione.
    • Terapia cognitiva basata sulla Mindfulness e Well-being therapy: Mentre chi è ansioso ha costantemente i pensieri rivolti al futuro (“e se succederà questo?”), chi soffre di depressione ha sempre la mente nel passato (“se non avessi cambiato città!”, “se avessi fatto scelte diverse, ora non sarei un fallito”, ecc.). La mindfulness può aiutare la persona, una volta uscita da un episodio depressivo, ad imparare un utile strumento per spostare il focus sul presente, in modo non giudicante, senza “perdersi” nella ruminazione depressiva. La well-being therapy, invece, si focalizza sulle dimensioni del benessere (che nel modello di Carol Ryff sono 6: autonomia, auto-accettazione, relazioni positive con gli altri, scopo nella vita, crescita personale e padronanza ambientale), cercando di ampliarle. Si chiede alla persona di tenere un “diario del benessere” nel quale annotare i momenti in cui, durante il giorno, ha provato emozioni piacevoli. Si dovranno annotare anche i pensieri che hanno interrotto quei momenti. Il terapeuta potrà aiutare a ristrutturare tali pensieri disfunzionali.
    • Piano di emergenza: Insieme al terapeuta si compila un “piano di emergenza”, con le indicazioni da seguire qualora si ripresentassero i primi sintomi di un episodio depressivo. Intervenire tempestivamente su un episodio depressivo può ridurne la gravità e la durata.

Ho iniziato questo articolo elencandovi alcune situazioni che potrebbero essere scambiate per depressione anche se non lo sono. Vorrei concludere l’articolo elencandovi altre situazioni che, al contrario, non scambiereste probabilmente mai per depressione quando, invece, potrebbero esserne una manifestazione:

LA “DEPRESSIONE MASCHERATA”

Non ha più molto senso classificare una malattia come “fisica” o “psicologica”. Ogni disturbo andrebbe inquadrato seguendo un approccio biopsicosociale. Esistono, cioè, variabili biologiche, psicologiche e sociali, nell’eziologia, nel mantenimento e nell’esacerbazione di ogni disturbo.

In qualunque malattia “del corpo” non possiamo trascurare l’impatto che le variabili psicologiche giocano nel suo sviluppo, mantenimento o aggravamento, così come qualsiasi disturbo “della mente” porta inevitabilmente con sé manifestazioni fisiche, che possono esacerbarlo e mantenerlo nel tempo.

Il disturbo depressivo maggiore è un disturbo dell’umore, ma in alcune persone si manifesta in una modalità piuttosto bizzarra. Tali persone esprimono il loro malessere ESCLUSIVAMENTE attraverso il corpo, lamentando uno o più problemi fisici. La depressione mascherata utilizza solamente il canale somatico, al punto che chi ne soffre non si sente “depresso”, nel senso che intendiamo.

Tra i sintomi fisici più spesso associati alla “depressione mascherata” vi sono: mal di testa, disturbi gastrointestinali, vertigini, insonnia, dolori articolari o muscolari generalizzati, cervicalgia, lombalgia, stanchezza psicofisica, problemi ginecologici, colite, gastrite e disturbi digestivi.

Se l’insorgenza di queste manifestazioni somatiche non è legata ad un evento specifico, come può essere un trauma, un incidente, uno sforzo muscolare, e non è da attribuirsi alla presenza di una patologia o di alterazioni metaboliche, è piuttosto probabile che la loro presenza sia determinata da un disturbo dell’umore. In genere un fattore discriminante per l’identificazione dell’origine di tale sintomatologia è la risposta ai farmaci. Se, per esempio, un mal di testa curato con i comuni antinfiammatori o antidolorifici, persiste nel tempo, probabilmente stiamo sbagliando il nostro focus. Dovremmo, in tal caso, prenderci cura della mente e non del corpo.

Una precisazione che mi preme fare è che i sintomi della depressione mascherata sono ASSOLUTAMENTE REALI. Quando parliamo di manifestazioni fisiche dovute a cause psicologiche non intendiamo dire che tali dolori o disfunzioni siano immaginarie. Tutt’altro! Il dolore è reale, invalidante e tangibile. La causa, però, non è quella che pensiamo.

Non è facile diagnosticare una depressione mascherata in modo corretto, perché in genere le persone che ne soffrono si rivolgono esclusivamente al medico e non accennano a problemi della sfera emotiva (anche perché realmente non ne percepiscono!). Prima di giungere a questa diagnosi, ovviamente, il medico dovrà escludere tramite visite ed esami accurati, la presenza di patologie organiche. Alcuni indicatori utili nel differenziare la depressione mascherata dalle malattie “fisiche” sono: la presenza di familiari di primo grado con una storia di depressione; l’aumento della sintomatologia dolorosa nei periodi stressanti; l’andamento ciclico del disturbo; la risposta positiva ai farmaci antidepressivi; vissuti di demoralizzazione eccessiva nei confronti dei problemi fisici lamentati dal paziente.

Essendo la depressione mascherata a tutti gli effetti un disturbo dell’umore, il suo trattamento sarà analogo a quello della depressione “visibile”.

Mi viene in mente il caso di una signora di 52 anni che ho avuto in terapia qualche anno fa per un problema con il marito. Durante i colloqui mi parlava spesso di un dolore fortissimo ed invalidante alla gamba destra. Esami e visite mediche avevano escluso qualsiasi causa organica e la donna non si spiegava come potesse avvertire così marcatamente il dolore. Nel corso della terapia è emerso un notevole isolamento sociale della signora, con abbandono di tutte le attività che era solita svolgere. Inoltre aveva problemi di insonnia (si svegliava alle 4 del mattino, nonostante andasse a dormire dopo mezzanotte, e non riusciva più a riaddormentarsi). Lavorando su questi aspetti (uscire dall’isolamento e reinserimento di attività piacevoli e gratificanti) il dolore alla gamba è totalmente sparito, con grande stupore della mia paziente.

Non dimentichiamo, però, che in alcuni casi può essere necessaria l’assunzione di farmaci antidepressivi. Quando si è depressi (sia in modo visibile che invisibile) la soglia di sopportazione del dolore, ma in realtà di qualsiasi altro stimolo (rumore, confusione, stress), si abbassa notevolmente. Gli antidepressivi hanno il potere, tra gli altri effetti benefici, di alzare tale soglia.

- LA RABBIA

Se dovessimo associare un’emozione alla parola “depressione”, probabilmente sarebbe “tristezza”.

Sapete, però, che in alcune persone la depressione si manifesta esclusivamente attraverso la rabbia?

Quando incontrate una persona che al supermercato si irrita perché la cassiera è troppo lenta o nel traffico vi aggredisce verbalmente perché non le avete dato la precedenza, potrebbe soffrire di depressione.

Proprio così. La persona depressa presenta bassissimi livelli di sopportazione degli stimoli negativi, per cui spesso diventa intollerante al rumore, alle ingiustizie, alle persone.

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La rabbia può sfociare in comportamenti aggressivi a livello verbale (insulti e offese) o fisico (prendere a schiaffi qualcuno, rompere oggetti, ecc.).

Ricordo il caso di un paziente che era stato segnalato al centro di salute mentale per aver aggredito la moglie. L’uomo l’aveva afferrata per il collo, e si era fermato solo un attimo prima di lasciarla senza respiro, scoppiando a piangere. La psichiatra del servizio, dopo averlo ascoltato e valutato, gli diagnosticò una depressione maggiore. Con questo non si intende generalizzare e/o giustificare persone che compiono atti violenti. A prescindere da ciò che li provoca (depressione o non depressione) questi atti vanno fermati. Dobbiamo però fare molta attenzione a non confondere una persona di indole aggressiva con una persona depressa.

Nei bambini e negli adolescenti può manifestarsi il DISTURBO DA DISREGOLAZIONE DELL’UMORE DIROMPENTE. Esso consiste in gravi e ricorrenti scoppi di collera espressi verbalmente (per es. insulti) e/o in modo comportamentale (per es. aggressioni fisiche a persone o oggetti), che sono sproporzionati rispetto alla situazione o alla provocazione. Tali scoppi d’ira devono verificarsi almeno 3 volte la settimana. Oltre a questi scoppi di collera verbali o comportamentali , l’umore è costantemente “arrabbiato” tra uno scoppio e l’altro.
La rabbia e l’irritabilità, per concludere, possono essere, in alcuni casi, grida di aiuto da non sottovalutare e da ascoltare con attenzione.

- IL SUICIDIO ALLARGATO

Sappiamo purtroppo che il suicidio è un possibile esito della depressione non trattata.

Quello che non tutti sanno è, però, che esiste un particolare tipo di suicido, detto “suicidio allargato”, in cui una persona compie un omicidio-suicidio. In quel momento, la persona depressa, prima di togliersi la vita, uccide l’altro (in genere il figlio) per evitargli quella che lei ritiene una vita piena di sofferenza. Nel delirio del potenziale omicida, l’uccisione dei propri cari è un disperato tentativo di tutelarli dalle sofferenze della vita. Una situazione di rischio in questo senso è la depressione post-partum. Nei casi più gravi, le madri sono assolutamente senza speranza, non vedono un futuro per loro stesse e per il loro bambino. Per questo, a volte, vedono il suicidio come l’unica liberazione dal dolore.

In questi casi terribili, non si parla di “omicidio” ma di “suicidio allargato”, perché in quel momento la persona depressa vede il figlio come un prolungamento di sé, da proteggere e liberare dalla sofferenza.

Ho voluto portare la vostra attenzione anche a questa drammatica eventualità, per sottolineare l’importanza del trattamento tempestivo della depressione, in particolare della depressione post-partum. Per questo motivo, cerchiamo di utilizzare queste informazioni e conoscenze in modo costruttivo, senza allarmismi, ma con la consapevolezza che questi esiti drammatici possono essere evitati curando la depressione che ne sta alla base.

CONCLUSIONI

La depressione può essere visibile ed evidente, ma può anche nascondersi dietro un mal di testa incessante o uno scoppio di rabbia. Può sfociare in esiti drammatici, come il suicidio, che in alcuni casi è “allargato” alle persone care.

La cosa che non dobbiamo mai dimenticare, però, è cha la depressione può essere curata. Nei casi più gravi va trattata con farmaci antidepressivi e psicoterapia cognitivo-comportamentale, attraverso un modello sequenziale che andrà a diminuire e poi interrompere l’assunzione delle medicine con il proseguimento della terapia psicologica.

Nei casi più lievi (depressione moderata e lieve, demoralizzazione) i farmaci non sono efficaci; in questi casi è consigliata la sola psicoterapia.

Non confondiamo, infine, la tristezza (che è un’emozione normale!) o la reazione ad un lutto con la depressione, e non pensiamo al depresso come ad una persona pigra, a cui basterebbe “un piccolo sforzo” per reagire.

Chi soffre di depressione non è assolutamente in grado di farlo. Per questo va aiutato. Direste mai ad una persona con una gamba rotta: “corri, su, basta volerlo!”?

 


BIBLIOGRAFIA

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  • Fava G.A. (2017). Psicoterapia breve per il benessere psicologico. Raffaello Cortina Editore.
  • Fava G.A., Tomba E. (2010). New modalities of assessment and treatment planning in depression. CNS Drugs, 24, 453-465.
  • Galeazzi A. e Meazzini P. (2004). Mente e Comportamento. Trattato di psicoterapia cognitive-comportamentale. Ed. Giunti.
  • Leahy (2012). Come sconfiggere la depressione. Un percorso di autoaiuto. Raffaello Cortina Editore.
  • Morosini P., Piacentini D., Leveni D., McDonald G., Michielin P. (2004). La Depressione. Che cosa è e come superarla. Manuale di psicoterapia cognitivo-comportamentale per chi soffre di depressione, per chi è a rischio di soffrirne e per i suoi familiari. Ed. Avverbi.
  • Ryff, C. (1989). Happiness is everything, or is it? Explorations on the meaning of psychological well-being. Journal of Personality and Social Psychology, 57, 1069–1081.

 

 

(Articolo a cura della Dottoressa Roberta Rubboli)

 


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Tags: depressione psicoterapia suicidio rabbia

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