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Riflessioni sulle condotte a rischio in adolescenza

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dr Fernando Maddalena

La cronaca ci mostra quotidianamente le problematiche profonde e le difficoltà esistenziali di cui gli adolescenti sono portatori, oggi più di ieri.

Le morti del sabato sera, tra droghe varie e abuso di alcoolici, o i sassi gettati dal cavalcavia sulle auto in corsa, o ancora le sfide mortali di vario tipo cui si sottopongono gli adolescenti, sono fenomeni che non è possibile chiarire nella loro reale portata e intensità se non osservandoli da più punti di vista ed in maniera simultanea; essi infatti sembrano prestarsi, nella loro complessità, ad una molteplice possibilità di lettura dove può essere utile far convergere aspetti non solo psicologici, ma anche sociologici e finanche antropologici del fenomeno (si potrebbe p.es., da quest'ultimo punto di vista, leggere alcune forme estreme di comportamenti a rischio come veri e propri "rituali di iniziazione"(gruppali), alla stregua di quelli delle società tribali...) Occorre cioè una lettura che tenga conto delle interazioni dinamiche tra i diversi fattori in esame e che cerchi di focalizzare, di rimando, i contorni del soggetto protagonista, sfuggente e indefinito "per definizione": l'adolescente, appunto.

Osservando il fenomeno delle cosiddette condotte a rischio da un'ottica prettamente psicologica, occorre innanzitutto focalizzare l'attenzione sullo sviluppo della personalità dell'adolescente attraverso i compiti evolutivi che egli è chiamato ad assolvere nel perseguimento di una maggiore stabilità interiore e di una più funzionale forma di adattamento alla realtà esterna, ciò che passa dal cambiamento implicito nel rapporto con sè stessi e con il proprio corpo in prima istanza, e dal rimaneggiamento delle relazioni con i familiari, con il gruppo dei coetanei e con gli altri in genere.

La divaricazione progressiva tra problematiche interne e la difficoltà nel relazionarsi con il mondo degli adulti e nell'ottenere un adeguato sostegno da essi, possono produrre una condizione di stallo nei giovani caratterizzata da vissuti di isolamento, difficoltà di orientamento che si traducono in sentimenti cronici di incapacità e stati depressivi più o meno evidenti che sembrano sottendere comunque una fondamentale richiesta, costantemente disattesa o rimandata, di riconoscimento di sè stessi, del proprio essere e della propria corporeità "in transizione".

Le condotte "a rischio" rappresentano un tipico fenomeno del mondo adolescenziale e sembrano ribadire l'idea della gioventù ribelle ed anticonformista che trova nello sfogo violento e distruttivo diretto sul mondo circostante la modalità catartica per depotenziare lo stato di aggressività e di frustrazione interiore implicita nella condizione adolescenziale.

Ma, al di là di questa lettura generica e superficiale del fenomeno, che comunque ritrae un aspetto "energetico" pur indiscutibilmente presente nella dinamica dei comportamenti giovanili, è opportuno cercare di approfondire il discorso in termini intrapsichici ed osservare in maniera non dicotomica la realtà adolescenziale.

Le motivazioni psicologiche alla base dei comportamenti a rischio possono infatti essere rintracciate fondamentalmente nelle stesse tendenze evolutive del giovane, la cui realizzazione passa necessariamente per la messa in atto di condotte ed atteggiamenti che potremmo definire "di prova"; atti o agiti, cioè, che sono tentativi di conoscere la realtà -esterna ed interna- unitamente alla tendenza alla affermazione di sè in maniera autonoma e quindi in modo sostanzialmente diverso dal quadro di riferimento e di valori-regole offerto dalla famiglia e dal contesto culturale di origine.

Il potenziale di rottura implicito in questo passaggio evolutivo è chiaramente percepibile attraverso la dinamica di disancoramento che l'adolescente attua nei confronti del proprio passato, dell' immagine di sè spinta decisamente verso il futuro che risente però in maniera ambivalente dei legami con il proprio mondo infantile e con le "antiche" rappresentazioni delle figure genitoriali.

Se dunque la condotta a rischio può inserirsi in questo contesto di sviluppo, venendo ad assumere il ruolo di fattore esperienziale in grado di modificare, forzando i rapporti con il mondo esterno, la stessa dinamica intrapsichica dell'adolescente, è altresì evidente che la valenza evolutiva di tale movimento trova il suo limite quando il rischio risulta a priori "sganciato" da una esperienza di crescita, cioè quando le caratteristiche di onnipotenza e concretezza del pensiero adolescenziale non incontrano gli argini propri di un pensiero che integri -seppure in forma embrionale- aspetti di realtà supportati da un ragionamento di tipo possibilistico e probabilistico, in cui cioè vengano valutate le conseguenze e gli effetti di una data azione e di un certo comportamento in riferimento al contesto, che proprio in questo periodo comincia a strutturarsi

Qui, infatti, l'egocentrismo tipico della mente adolescente, compresso e bloccato da distorsioni eccessive del processo evolutivo, non consente di mettere in opera quegli ulteriori aggiustamenti che solo l'incontro con la realtà può rendere progressivamente funzionanti in maniera adeguata.

La "ricerca" di comportamenti giovanili pericolosi, estremi, che sconfinano a volte nella violenza esibita e gratuita, auto ed eterodiretta, che troppo spesso ascoltiamo alla tv, può trovare quindi un collegamento diretto con la problematica della costruzione dell'identità, così centrale nel vissuto adolescenziale.

Numerosi autori degli ambiti psicologico e psicoanalitico, centrando l'attenzione sui processi di sviluppo della personalità, hanno indicato nell'adolescenza quel periodo di profondi cambiamenti strutturali in cui il ragazzo è chiamato ad un compito duplice ed impegnativo, sia su un fronte interno che all'esterno: la riorganizzazione del sè sotto le sollecitazioni dei cambiamenti della propria immagine corporea durante lo sviluppo fisico è una tappa fondamentale che propone in maniera nuova il rapporto con sè stessi attraverso il proprio corpo in trasformazione, con conseguenti vissuti che possono giungere ad elevati stati di conflitto interiore e di scarsa autoaccettazione. Sul fronte esterno, il movimento di progressivo inserimento nel mondo degli adulti è accompagnato dall'ampliamento delle funzioni cognitive (dal pensiero concreto al pensiero ipotetico-deduttivo) e dal rimaneggiamento del mondo affettivo e delle relazioni con i propri familiari; in questo senso il cambiamento nel rapporto reale e quotidiano con i genitori offre una prima, fondamentale possibilità di crescita per l'adolescente.

Anche in questo caso, tuttavia, le difficoltà che il ragazzo incontra durante il percorso possono essere superiori alle sue forze; si pensi p.es. ai giovani che non hanno avuto e non hanno una stabile rete di adeguate relazioni familiari e rapporti affettivi validi, in cui l'assenza di figure di riferimento impedisce un sano confronto e dialogo con gli altri e con sè stessi.

In tali situazioni i normali comportamenti adolescenziali possono assumere valenze francamente aggressive e distruttive, che denunciano la mancanza di un limite, di un contenitore psichico che possa tenere legate le rappresentazioni di sè; in mancanza di una tale funzione è il corpo che viene deputato ad assolverne il compito, ed allora il passaggio all'atto concreto, all'azione fine a sè stessa -che il corpo traduce direttamente sotto la spinta pulsionale- diventa definitivo, assoluto, idealmente risolutivo.

Questo meccanismo di "delega" della soggettività in trasformazione alla dimensione corporea ed al suo linguaggio, l'azione appunto, è in realtà la stessa antica modalità con cui il bambino conosce l'ambiente circostante, riproposta ora dall'adolescente che tenta di controllare la sua realtà attuale, cambiata profondamente rispetto alle "certezze" dell'età infantile. Tale dinamica apparentemente regressiva è purtuttavia la necessaria base dalla quale tentare l'aggancio alla dimensione mentale, che proprio dall'incontro con l'esperienza produce un "nuovo soggetto" sociale.

Il passaggio all'azione, l'acting out, la ricerca del rischio e della trasgressione delle norme sociali, rappresentano dunque la norma in adolescenza, anzichè l'eccezione: occorrerebbe al contrario prestare attenzione alle situazioni di crescita in cui tali aspetti sono assenti. E' invece fondamentale che, accanto alla presenza di tali aspetti, vi sia la possibilità per l'adolescente di accedere ad un livello di mentalizzazione superiore in concomitanza con il formarsi dei nuovi strumenti cognitivi, creando quel nuovo collegamento tra pulsione e pensiero che funga da sistema di riferimento interno le cui fondamenta, comunque, risiedono nel passato e nella qualità delle precedenti relazioni interpersonali.

L'embricazione della visuale psicologica con quella sociologica è riscontrabile poi nell'interazione di quegli elementi sociali e soggettivi che possono costituire dei fattori di amplificazione e patologizzazione della condizione definibile come"malessere adolescenziale"

Alle tappe evolutive proprie del periodo adolescenziale ed alle specifiche problematiche intrapsichiche ad esse collegate, infatti, si sommano le limitazioni imposte dalla società sempre più complessa in cui viviamo, dove l'identità degli individui si identifica in maniera sempre maggiore con il lavoro, la carriera, il guadagno, così che il mondo degli affetti tende ad essere relegato in secondo piano e sono spesso i più giovani a sentirsi trascurati ed incompresi dagli adulti, privati di quel calore familiare e della vicinanza interiore con le figure genitoriali, che potrebbe altrimenti esercitare un'influenza decisiva nella fase di crescita adolescenziale, quando invece non proprio emarginati da un sistema sociale che p.es. non riesce ad ottimizzare in ambito lavorativo il naturale ricambio generazionale e incrementa "l'adolescenza protratta" ai 30 anni e oltre.

Come questo si possa riflettere sul senso di autostima e di fiducia in sè stessi dei giovani è facilmente intuibile e, laddove le difficoltà di sviluppo individuale si intersecano con tali fattori inibenti di natura sociale, il risultato può essere un reale disorientamento dell'individuo, di stasi della progettualità e di ritiro in una dimensione privata , di natura difensiva, di autoesclusione rispetto al rapporto con gli altri, con conseguente distorsione dei processi di costruzione dell'identità; in tali casi il ricorso a condotte a rischio può essere il modo per esprimere ed affermare la propria individualità, minacciata dall'interno e percepita come costantemente vacillante.

Un ultimo cenno và riferito al "gruppo" dei coetanei, per la sua intensa valenza identificatoria e la sua funzione di tramite tra la famiglia di origine e la società nel suo complesso. Il gruppo costituisce spesso l'elemento catalizzatore del funzionamento e disfunzionamento individuali, ed agisce quindi come amplificatore dei vissuti intrapsichici di cui ognuno è portatore; se da un lato la funzione di "contenitore" garantisce l' esigenza di sicurezza e protezione dei singoli, permettendo la circolazione e l'attenuazione di contenuti emotivamente ed affettivamente intensi, dall'altro quella di "attivatore" rappresenta un reale potere disinibente su eventuali deficienze psichiche e problematiche individuali, ed in questo senso le condotte a rischio potrebbero intendersi come espressione di tali dinamiche agite all'interno del gruppo-contenitore oppure come modalità strutturanti la stessa identità gruppale, utilizzata come sostegno o schermo ad un senso di sè individuale deficitario e/o onnipotente.

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