Una pistola di troppo
Come è possibile che un bambino di 7 anni uccida a pistolettate una bambina di appena 6? Che ci fa una pistola nella tasca di un bambino di 7anni? Come ha potuto il bambino portarla a scuola, come fosse un qualsiasi giocattolo, e manipolarla in classe tra i compagni senza destare l'attenzioni di adulti?
Queste sono le domande che sorgono spontanee dall'apprendere la tremenda, ennesima notizia che ci proviene dagli Stati Uniti (in quel di Detroit, per la precisione)e che ripropone il gravissimo problema della presenza delle armi, se non di veri e propri arsenali, ormai in tutte le fasce di età della popolazione americana; questa volta però è accaduto ad un bambino di pochi anni di essere in balia di un'arma e la cosa assume un aspetto tragico che denuncia chiaramente l'incapacità (o l'impossibilità?) degli uomini nelle attuali società "civili" nel garantire un minimo di sicurezza ai propri figli a fronte degli interessi economici e delle ragioni di mercato.
Chi deve essere considerato allora il responsabile -e non solo di responsabilità morale qui si tratta- di questo ennesimo crimine della società contro sè stessa? Questi padri scellerati che armano le mani dei propri figli (e non ci stiamo certo riferendo a quei criminali che lasciano pistole in giro per casa: per loro il discorso di responsabilità è univoco e lampante), appartengono alla società cosiddetta civile, hanno un lavoro considerato rispettabile ed abitano nei quartieri alti delle città (..già; le armi rendono, e molto..).
Anche la campagna di Clinton sul "gun control" non riesce ad allentare l'intrecciata trama di affari che si nasconde dietro il mercato delle armi, e questo -per una società come quella statunitense che si è sempre autoproclamata "way of life" e modello della civiltà moderna, appare come una contraddizione paradossale che nello specifico designerebbe più giustamente quel Paese come "way of death"(un modello di morte, appunto...).
Basta vedere d'altronde l'impressionante sequenza di morti degli ultimi anni dovute alla presenza di armi tra la popolazione giovanile americana e riflettere anche sugli scenari ricorrenti di queste tragedie, le scuole. Il binomio tra violenza adolescenziale e scuola raggiunge lì intensità e manifestazioni tali che non si può non pensare ad una connotazione particolare del malessere profondo della gioventù statunitense, che trova nelle aule degli edifici scolastici -luoghi deputati istituzionalmente alla trasmissione dei valori di una Nazione- i teatri in cui mettere in scena una devastante abiura della società attraverso un sacrificio rituale cruento:
...Febbraio '97: un sedicenne spara nel mucchio ed uccide due persone in un liceo in Alaska.
Ottobre '97: ancora un sedicenne apre il fuoco ed uccide due sue compagne in una scuola superiore del Mississippi.
Marzo'98: quattro studentesse ed una insegnante vengono uccise a fucilate in una scuola media dell'Arkansas per opera di due ragazzi di 11 e 13 anni.
Maggio'98: uno studente di 15 anni uccide i propri genitori e poi si reca nella sua scuola, dove spara con fucili e pistole uccidendo 2 coetanei e ferendone 22.
Aprile '99: due studenti coperti da passamontagna armati di pistole, fucili e bombe artigianali fanno fuoco in una scuola di Denver, Colorado, uccidendo 13 ragazzi, e si suicidano poi con un colpo alla testa.
Dove comincia qui la responsabilità individuale e dove termina quella di una società dove la cultura della violenza si succhia col latte materno davanti ai televisori ed attraverso i computergame, oltretutto facilitata da biechi interessi di mercato?
Pare comunque che il bimbo di 7 anni sia stato tratto in arresto e si trovi ora sotto detenzione, anche se il procuratore incaricato ha affermato che il bambino non potrà essere incriminato per omicidio.
Ma,stranamente,il provvedimento non ci rassicura.
Dott. Fernando Maddalena