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BULIMIA E ANORESSIA - Le origini dell'abbuffarsi e del digiunare

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bulimia e anoressia originiIntroducendo il tema dei Disturbi Alimentari Psicogeni dobbiamo sottolineare che ci riferiamo ad una serie di problematiche che più di altre sono espressione del tempo e della società in cui viviamo.

E' noto che tali disturbi siano praticamente sconosciuti in tutte quelle zone del mondo lontane dal consumismo e dal benessere economico.

Negli ultimi 25 anni c'è stato un notevole aumento dell'incidenza, soprattutto nella popolazione femminile, di sindromi anoressiche (autorestrizione alimentare fino al digiuno) e bulimiche (compulsione all'eccesso alimentare).

Le ragioni di ciò vengono ricondotte al fatto che, proprio nell'ultimo quarto di secolo, la società occidentale sia diventata sempre più "edonista" e fortemente legata a valori di tipo materiale ed esteriore.

Ciò ha prodotto un evidente paradosso, la cui sintesi simbolica è individuabile, ad esempio, negli innumerevoli spot pubblicitari che all'immagine di donne bellissime con fisico da top-model, associano l'invito all'acquisto ed al consumo di una gran varietà di prodotti alimentari.

E' vero, altresì, che se il fattore socio-culturale legato al nostro tempo può avere la sua importanza nel costituire un terreno predisponente, peraltro non può essere ritenuto un elemento determinante.

L'eventuale sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare è, infatti, riconducibile ad un ben più complesso insieme di fattori e meccanismi psicologici legati alla storia personale di ognuno.

NOSOGRAFIA E INQUADRAMENTO PSICOLOGICO

Da un punto di vista nosografico, i Disturbi Alimentari (D.A.) sono distinti in due grandi categorie diagnostiche: quelle dell'Anoressia e della Bulimia. Questa distinzione specifica, anche per definizione, l'antitesi che esiste rispetto al tipo di comportamento alimentare abnorme.

Va sottolineato però che, in termini quantitativi, la maggioranza dei soggetti che soffre di D.A. presenta un quadro clinico dai contorni ben più sfumati, con la presenza di fattori addirittura comuni.

Nella pratica clinica, è noto come molto spesso, nello stesso soggetto, si riscontri la presenza sequenziale di entrambi i quadri.

E' frequente che un soggetto tendenzialmente anoressico viva periodi di iperalimentazione compulsiva seguita da vomito autoindotto, così come un soggetto bulimico alterni gli eccessi alimentari a periodi di forte restrizione dietetica.

In entrambi i casi c'è la ferma volontà di mantenere un peso corporeo che sia al di sotto o che comunque non superi i limiti inferiori della norma.

Altri fattori comuni sono, ad esempio nelle donne, la presenza di amenorrea o comunque di gravi alterazioni della normale ciclicità dei flussi mestruali; il ricorso al vomito autoindotto dopo ogni eccesso alimentare; un'attenzione ossessiva al proprio aspetto fisico, che implica un vissuto della propria magrezza come fattore di forza, capacità e adeguatezza personali soprattutto rispetto al giudizio dell'altro; l'uso di lassativi, diuretici ed un'iperattività fisica o sportiva al fine di controllare e prevenire ogni eventualità di aumento di peso.

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Quindi la differenziazione diagnostica delle due sindromi ha una sua utilità descrittiva che, però, da sola non garantisce quella funzione esplicativa e conoscitiva fondamentale ai fini terapeutici.

Pur riconoscendo la validità dell'attuale classificazione psichiatrica delle sindromi, da un punto di vista psicologico è possibile intendere i D.A. all'interno di un'unica dimensione problematica rispetto alla quale, anoressia e bulimia, sono i poli estremi di contrasto che la caratterizzano.

La psicoterapia rappresenta il trattamento d'elezione per queste forme di disturbo che hanno le loro determinanti nella storia psicologica del soggetto, la cui remissione è legata ad un profondo cambiamento personale.

CASO CLINICO

Paola ha 20 anni; è iscritta al secondo anno di Medicina; vive con i genitori ed un fratello maggiore. Ricorda i primi anni dell'adolescenza come molto tristi e pieni di difficoltà soprattutto nel rapporto con gli altri.

Non si piaceva fisicamente perchè si vedeva "grassottella" e invidiava le sue compagne dal fisico asciutto. Si teneva in disparte, frequentava raramente il gruppo di amici e spesso passava interi pomeriggi a casa, a studiare o davanti alla TV, sgranocchiando dolciumi e cioccolata.

In famiglia i rapporti erano poco gratificanti e soffriva nel non sentirsi sufficientemente oggetto d'attenzione e d'affetto.

Soprattutto la madre viene descritta come una presona dura, con la quale era difficile avere un dialogo per il suo "carattere forte", sempre pronta a criticarla e giudicarla, attenta più che altro al fatto che lei si comportasse bene e facesse il suo dovere.

Il fratello o la ignorava o le faceva dispetti, prendendola spesso in giro. Il padre era l'unico ad essere percepito positivamente; ma questo era in relazione al fatto che, spesso assente da casa ed in genere distaccato dalle questioni familiari, fosse l'unico a non rimproverarla o giudicarla.

A 17 anni ha la prima storia sentimentale: questo è un periodo di profonde trasformazioni sulla spinta positiva dell'innamoramento.

Si sottopone ad una dieta rigorosa, spesso saltando anche i pasti. Perde diversi Kg e ciò la fa sentire finalmente a posto con sè stessa e accettata dagli altri. In quel momento, sottoporsi alla dieta è, per Paola, motivo di grande soddisfazione, non solo per gli effetti del dimagrimento, ma anche per il senso gratificante di forza e capacità personale nel saper resistere alla tentazione del cibo.

Nella relazione con gli altri diventa molto socievole, aperta e positiva, sentendosi soddisfatta di sè ed apprezzata dagli altri.

L'evoluzione di Paola subisce una brusca interruzione quando il suo ragazzo, all'improvviso e in maniera imprevedibile, decide di lasciarla per legarsi ad un' altra.

Attualmente Paola, dopo la forte delusione sentimentale, ha un comportamento ambivalente nei confronti del cibo.

A tavola, durante i pasti che cucina da sola, segue una dieta molto attenta nella scelta di sostanze a basso contenuto calorico e di grassi, assumendone quantità minime. Almeno quattro volte a settimana e, in periodi particolari, anche più volte al giorno, ha crisi bulimiche durante le quali riesce ad ingurgitare quantità enormi di cibo, sia dolce che salato. Alle abbuffate segue puntualmente il rituale del vomito autoindotto.

In famiglia esistono grandi tensioni, con litigi frequenti su questo problema.

I genitori tengono il frigorifero praticamente vuoto, hanno messo un lucchetto alla dispensa e tolto la chiave dalla porta del bagno, cercando in questo modo di scongiurare sia le abbuffate che il vomito. Ma le crisi alimentari si verificano sempre quando genitori e fratello sono al lavoro e può procurarsi generi alimentari al vicino supermercato.

Paola, su consiglio del medico curante, ha iniziato una psicoterapia.

Se le chiedessimo quali siano i suoi stati d'animo e le emozioni più frequenti ci risponderebbe che prima di tutto prova una grande sensazione di colpa.

Colpa perchè non è in grado di controllare i suoi impulsi quando sopraggiunge la compulsione a mangiare; colpa perchè si sente responsabile per le preoccupazioni e le tensioni che con il suo disturbo provoca all'interno della famiglia; colpa nel sentirsi incapace ad affrontare la vita; nel sentirsi una persona inadeguata e inutile e di non saper vedere nulla di positivo nel suo futuro, non sentendosi all'altezza delle situazioni.

Poi ci direbbe che alla colpa è stabilmente associato uno stato di ostilità e rabbia verso gli altri. Rabbia perchè gli altri non la comprendono e sanno solo giudicarla; rabbia perchè in famiglia non c'è armonia; rabbia perchè gli altri sono egoisti e non si curano di lei; rabbia perchè non fanno nulla per capire le sue esigenze e i suoi bisogni.

IL CICLO ASPETTATIVA - DELUSIONE

Le dimensioni psicologiche della colpa e della rabbia sono in genere sempre presenti nel vissuto emotivo dei soggetti con D.A.

La colpa è riferita al sè, cioè a tutti quei fattori che sottolineano un senso di inadeguatezza personale e che fanno sentire il soggetto non all'altezza delle situazioni che vive.

La rabbia è riferita agli altri e a tutte le carenze che il soggetto rileva nell'atteggiamento e nei comportamenti degli altri nei propri confronti.

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Esse rappresentano il frutto di una delusione totale delle aspettative nei confronti della vita, delusione che investe contemporaneamente sè e gli altri.

Se osserviamo i significati che in genere vengono attribuiti a sè e agli altri ci troveremo di fronte ad una costruzione della realtà che da un punto di vista logico verrebbe interpretata come del tutto paradossale e contraddittoria.

L'analisi psicologica ci permette, invece, di sottolineare un mondo di significati che ostacola sia un orientamento nella vita quotidiana, sia la costruzione della propria prospettiva personale.

Ciò che risulta subito evidente è una insufficiente e, in alcuni casi, assente differenziazione e definizione dei significati attribuiti al sè, agli altri e di quelli relativi al rapporto sè - altri.

La ragione di ciò può essere individuata nel ciclo "Delusione - Aspettativa - Delusione" che è da intendersi come vero e proprio circolo vizioso dal quale è impossibile uscire; infatti la delusione, che il soggetto percepisce rispetto a sè e agli altri, non modificherà il mantenimento di determinate aspettative che continueranno ad essere deluse.

Di seguito vengono indicate alcune dimensioni di significato relative al sè ed agli altri che possono dare un'idea di questa condizione. Tali significati sono da intendersi come Costrutti Personali attraverso i quali la persona costruisce il senso della propria realtà; sono discriminazioni costituite da due poli di contrasto entro i quali la persona si colloca in maniera variabile e altalenante (lassa), ponendosi in una condizione di caos emozionale, priva di punti di riferimento psicologici:

(INCAPACE DI FARMI AMARE - VITTIMA DI LORO); (DEVO RIUSCIRE IN TUTTO - NON VALGO NIENTE); (HO BISOGNO DI LORO - PER STAR BENE DEVO EVITARLI); (MI POSSO FIDARE - MI FREGANO); (GLI ALTRI MI STIMANO - SONO CONTRO DI ME); (LO FANNO PER IL MIO BENE - SANNO SOLO FARMI SOFFRIRE); (E' TUTTA COLPA MIA - E' TUTTA COLPA DEGLI ALTRI); (SONO PROPRIO EGOISTA - GLI ALTRI SI APPROFITTANO DI ME); (MIA MADRE MI VUOLE AIUTARE - MIA MADRE NON MI ACCETTA); (LI ODIO - HO PAURA CHE SOFFRANO); (MI PROTEGGE -E' CATTIVO CON ME) etc.

PERCHE' IL CIBO?

A questo punto è d'obbligo chiedersi che cosa c'entra il cibo in tutto questo.

E' noto come il cibo sia un elemento fondamentale di trasmissione di affetto a partire dalle relazioni primarie.

Il bambino, durante la poppata, vive il benessere dell'alimentarsi come indissolubilmente legato al calore materno, al senso di protezione, accudimento e amore che derivano dal contatto con la madre.

Successivamente, per la persona, il cibo manterrà la caratteristica di piacere e gratificazione.

Abbiamo già rilevato come, nei D.A., il ciclo "delusione-aspettativa-delusione" sia responsabile di una massiccia perdita di riferimenti rispetto a sè e agli altri, e faccia scivolare il soggetto in un mondo nel quale i significati prevalenti sono solo quelli dell'inadeguatezza personale (colpa) e della delusione dagli altri (rabbia).

In questo senso, le crisi bulimiche hanno una precisa funzione di compensazione alla delusione che invalida le aspettative di affetto, considerazione e comprensione da parte degli altri. Uno dei pensieri ricorrenti è proprio quello del "...tanto poi mangio!...". Esso anticipa l'unica possibilità che il soggetto vede utilizzabile per difendersi da quelli che sono i gravi motivi di insoddisfazione e delusione, che lo conducono alla sofferenza.

Per contro, la restrizione ed il rigido controllo alimentare, che nei casi più gravi giunge sino al digiuno, ha una funzione prevalente di compensazione alla negatività di sè.

Infatti, la restrizione che il soggetto effettua sul proprio bisogno e piacere di alimentarsi diventa uno strumento per sentirsi forti, capaci, adeguati.

In questi casi, sono frequenti affermazioni del tipo "... quando lo stomaco mi fa male e sento i morsi della fame, di colpo svanisce l'angoscia, mi sento a posto con me stessa, una che vale!...".

L'apparente paradosso di queste situazioni, in realtà, coincide con la disperata e inconsapevole ricerca di un ruolo personale, altrimenti non individuabile, perchè in balia di un mondo emotivo caotico e incontrollabile, privo di riferimenti e di prospettiva.

Il rapporto con il cibo è, quindi, un veicolo di espressione e, nello stesso tempo, di controllo di quelle che sono le difficoltà e le problematiche del proprio rapporto con la vita.

CARATTERISTICHE FAMILIARI E SVILUPPO PERSONALE

La famiglia di un soggetto con D.A. in genere da forte importanza a quelli che sono gli aspetti formali ed esteriori; c'è una particolare attenzione e preoccupazione rispetto al giudizio altrui; le manifestazioni di affettività tra i membri della famiglia sono carenti e in alcuni casi assenti; le espressioni di emotività del bambino vengono spesso criticate ed ostacolate; tutto ciò che riguarda il figlio viene sottoposto ad un controllo ipercritico ed intrusivo.

Il bambino cresce in un ambito familiare nel quale conformismo e formalità prevalgono sui sentimenti e sulle individualità, dunque, viene fortemente limitato, quando non inibito, nella sua esperienza interiore e nell'espressione di questa.

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Egli vive un conflitto accentuato tra il dover esternare una falsa immagine di sè che risulti adeguata alle aspettative degli altri e il proprio mondo interiore, quello delle sue emozioni, che, invece, lo fanno sentire instabile e vulnerabile. Molti studi hanno sottolineato quanto sia profonda la frattura tra ciò che il bambino sente di "dover essere" e quello che in realtà si "sente di essere".

Sarà un bambino bravo a scuola, educato, che si comporta bene, che non disubbidisce e appare più maturo della sua età; allo stesso tempo si sentirà molto insicuro nelle relazioni interpersonali e percepirà costantemente un senso di fragilità interiore. Per tali motivi svilupperà una forte dipendenza dai genitori, o perlomeno da uno di essi, nel tentativo di mantenere un punto di riferimento stabile, che sia di supporto alle proprie difficoltà.

La condizione di dipendenza impedirà, quindi, nell'infanzia, la crescita di una graduale autonomia interiore dai genitori, mantenendo nel contempo una falsa immagine esteriore di bambino adeguato e spesso migliore degli altri.

Questo apparente equilibrio entrerà in crisi con l'arrivo dell'adolescenza, che è fisiologicamente e psicologicamente una fase di grande transizione, ed implica un necessario quanto naturale cambiamento verso la ricerca di un'autonomia che conduca all'essere adulti.

L'adolescenza si caratterizza, infatti, per il suo "relativismo"; la persona vive un periodo di indefinitezza legato ai molteplici e profondi mutamenti che avvengono sia a livello fisico che a livello psicologico e relazionale, affinchè sia garantito il fine di uno sviluppo dell'identità personale.

I processi di maturazione portano a ridimensionare quelli che, nell'infanzia, erano i bisogni di dipendenza e ciò implica un progressivo e naturale distacco dalle figure genitoriali.

La maggiore consapevolezza di questa età comporta anche la messa in discussione e la revisione di quelli che erano i punti di vista prevalenti sui genitori; infatti, essi perdono quel ruolo che, per il bambino, era essenzialmente di guida e protezione e diventano, per l'adolescente, persone da valutare e con le quali interagire secondo altri parametri.

L'adolescenza, per i cambiamenti che impone, è, quindi, di per sè un'età che normalmente produce instabilità e insicurezze, ma nel caso di un soggetto che svilupperà un D.A., essa rappresenta una fase ben più critica. Se il bambino poteva compensare i suoi disagi attraverso una relazione di dipendenza con i genitori, l'adolescente, per le sopraggiunte esigenze di autonomia e distacco, non potrà più farlo e si sentirà, di colpo, da solo a dover fronteggiare tutta la sua problematica. Inoltre, questo è un periodo nel quale, in genere, sopraggiunge una grande delusione per le figure genitoriali. La consapevolezza della sua età gli permette di individuare tutti i limiti, le carenze e gli errori che hanno caratterizzato la sua educazione e, quindi, il suo sofferto e difficile sviluppo emotivo e affettivo.

I genitori che erano stati, sin lì, figure esclusive di protezione e riferimento, vengono poi concepiti come, da sempre, i responsabili della sua condizione, colpevoli nella loro incapacità di comprenderlo e aiutarlo.

Questa è la fase, nella quale si stabilizzerà uno schema che tenderà ad associare, indissolubilmente, il senso della propria inadeguatezza a quella degli altri nei propri confronti e che costituirà il terreno predisponente per lo sviluppo di un D.A.

Concludendo, ricordiamo che fame e sazietà sono le due espressioni di uno dei fondamentali processi biologici; per tale natura esso può diventare un punto di riferimento primario per la persona ed essere inconsapevolmente utilizzato come strumento di difesa.

Ciò potrà avvenire, a seconda dei casi, attraverso l'abbuffarsi o il digiunare, ma costituirà comunque un disperato tentativo di contrapporsi ad un mondo emotivo in subbuglio, privo di riferimenti e dominato da una profonda angoscia di vivere.

 

Dott. RAUL BARTOZZI, Psicologo Psicoterapeuta - Ancona

 

 


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Tags: disturbi alimentari anoressia riversa bulimia

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