Lo psicologo in Asilo Nido e in Scuola Materna, ieri ed oggi
Il lavoro dello psicologo in Asilo nido ed in Scuola Materna non comincia oggi, ma - almeno in Regioni come L'Emilia e Romagna - in cui io lavoro da ormai molti anni, è cominciato a partire dall'inizio degli anni '70, e cioè dall'inizio dell'epopea dei Nidi e delle Materne comunali, anche se in questi ultimi anni è andato scemando.
Già intorno al '73'74 la Regione Emilia e Romagna, di fronte al proliferare dei nidi e delle materne comunali sia nella grandi città, sia nei piccoli centri, e considerato che, al contrario delle città, in cui era possibile aprire degli Uffici Scuola, nei piccoli centri queste strutture erano abbandonate a se stesse, ordinò che fossero gli psicologi operanti nelle strutture sociosanitarie pubbliche a seguire queste neonate istituzioni.
Il lavoro che veniva a noi richiesto (e che, si badi bene, prendeva solo un quinto, un sesto del nostro orario settimanale) era quello di svolgere opera di consulenza ai gruppi delle educatrici, e di formazione.
I risultati furono notevoli, se si considera il fatto che la maggior parte di noi non ha mai svolto a tempo pieno questo tipo di lavoro. Sul piano della consulenza il lavoro si concentrò sulle modalità di funzionamento di strutture che non volevamo burocratiche, ma agili e in grado di reggere il peso della grande novità rappresentata dall'approntamento di un modello di educazione precoce moderatamente policentrico che vedeva protagoniste le famiglie insieme alle istituzioni prescolari.
Sul piano della formazione il lavoro fu altrettanto innovativo e cominciò con la rottura con i metodi di aggiornamento vecchi e cattedratici, in cui il tecnico, per lo più universitario, aveva tutto il sapere e le operatrici erano passive ascoltatrici del verbo, per passare subito ad un aggiornamento-ricerca che ci mise in contatto con la parte meno cattedratica dell'Università e con un gruppo di giovani ricercatrici che oggi, magari, dirigono i dipartimenti di psicologia in alcune università italiane (nel mio caso con Maria Silvia Barbieri, attuale direttrice, se non vado errato, del dipartimento di psicologia dell'età evolutiva di Trieste).
Così i metodi di ricerca sul campo poterono essere applicati sotto la supervisione di psicologi esperti che partecipavano poi anche alla fase finale della discussione, quella in cui si trattava di vedere quali potevano essere, sul piano pratico, le conseguenze di quanto avevamo osservato durante la ricerca.
Chi volesse vedere ciò che abbiamo fatto nella provincia di Reggio Emilia può trovare nel testo della UNICOPLI "Il bambino che è in noi", di Angelini e Bertani, un rendiconto del nostro lavoro di quegli anni.
Poi, a partire dalla fine degli anni '80 anche i comuni periferici hanno potuto impiantare dei loro uffici scuola, in cui sono utilizzati pedagogisti (e psicologi) che hanno proseguito ed ampliato il nostro lavoro.
Oggi la situazione è cambiata. C'è una tendenza a liquidare, a volte adialetticamente, le esperienze fatte nel pubblico e a privatizzare le strutture.
Ma questo per i giovani psicologi non dovrebbe essere un handicap, poiché con un po' di spirito di iniziativa è possibile, io penso, proporsi sul mercato del privato sociale e non, insieme ad un gruppo di educatrici, o meglio alla testa di un gruppo di educatrici, magari omogenee e da noi formate, per concorrere nella assegnazione degli appalti, anche perché, nel rapporto con il pedagogista, penso che uno psicologo dell'età evolutiva che abbia un po' di sale in zucca non abbia molto da imparare, senza nulla togliere alle loro competenze e al loro sapere, che però può essere sussunto all'interno del nostro che è più ampio e scientificamente fondato.
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Dott. Leonardo Angelini
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