Freud e la realtà virtuale
Gli psicologi hanno combinato Freud con la realtà virtuale per cambiare il modo che ha la gente di pensare a se stessa.
L’illusione di essere in un altro corpo influenza non solo la nostra percezione (come è già noto), ma anche il nostro modo di pensare. Grazie alla realtà virtuale, alcuni soggetti hanno impersonato Sigmund Freud e si sono mostrati più adeguati nel fornire una consulenza psicologica a loro stessi, rispetto a quando non lo erano.
I volontari che hanno partecipato agli esperimenti di Sofia Adelaide Osimo si saranno sentiti come se fossero dentro una sceneggiatura di Charlie Kaufman, l’autore (e vincitore del Gran Premio della Giuria al recente Venezia Film Festival) di “Being John Malkovich” ed altri film bizzarri (“Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, “The Orchid Thief ”…). Come i protagonisti del film si sono catapultati (letteralmente, vedere per credere) nel corpo dell’attore famoso, i soggetti nell’esperimento di Osimo, dopo aver chiesto una consulenza per un problema personale di tipo psicologico, si sono risposti impersonando Sigmund Freud.
Studi precedenti avevano dimostrato che questo tipo di illusione causa cambiamenti nella percezione, ma Osimo e colleghi hanno voluto verificare se la personificazione poteva influenzare anche i processi di pensiero: essere qualcun altro ci induce a pensare in modo differente? Apparentemente è così.
Per creare l’illusione di essere nel corpo di qualcun altro (percependolo come il proprio), Osimo si è servita della “realtà virtuale immersiva”: nell’esperimento, i volontari hanno indossato dispositivi VR (di realtà virtuale) molto sofisticati e sono stati immersi in una stanza virtuale, dove c’era una rappresentazione di loro stessi ed una di Sigmund Freud. Nella prima fase di ogni sessione, il soggetto era se stesso e descriveva un problema psicologico a Freud. In seguito, egli “saltava” immediatamente nel corpo di Freud e si rispondeva, dandosi un consiglio. Il soggetto allora tornava nel proprio corpo per sentire la voce di Freud. Lo scambio poteva andare avanti per il tempo che il soggetto voleva. In un’altra condizione sperimentale, invece, Freud non era presente ed il soggetto faceva la sua richiesta e si rispondeva, impersonando sempre se stesso, come quando parliamo a noi stessi per riflettere su un problema.
“I risultati sono chiari: fornire dei consigli a noi stessi è sempre efficace, ma farlo in qualità di Sigmund Freud funziona meglio”, ha spiegato Osimo. “Gli esperimenti contengono un’ulteriore condizione di controllo, dove i movimenti degli avatar non sono sincronizzati con i reali movimenti dei soggetti. Questo ha ridotto in modo significativo, se non eliminato completamente, l’illusione di incarnazione. In questa condizione l’effetto del dialogo con se stessi – o con Freud – è stato annullato, il che conferma ulteriormente che è l’illusione che modifica i processi di pensiero”.
“Abbiamo dimostrato, per la prima volta, che la personificazione è anche efficace sui processi cognitivi di alto livello, come la risoluzione di problemi e la presa di decisioni”, conclude Osimo. “Questi risultati possono aprire interessanti scenari sulla frontiera della consulenza psicologica: la realtà virtuale potrà mai essere usata a tal fine nel futuro?”.
(Traduzione e riassunto a cura della Dottoressa Alice Fusella)
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