I Titanic (la psicoterapia di gruppo)
In questo articolo il tema trattato è quello della psicoterapia di gruppo. Da una premessa suggestiva (la leggenda del Titanic) si sviluppa il tema in modo completo.
Si parte facendo una premessa ampia quanto suggestiva, sviluppando il tema relativo all’uso metaforico della nave e di come nell’immaginario collettivo, siamo rimasti colpiti nello scorso periodo invernale dalle sciagure sul mare.
Il titolo i titanic, riprende appunto l’ormai leggendaria disavventura della nave affondata lo scorso secolo e nel contesto dell’articolo, “i titanic” corrisponderebbero alle “ceste” di problematiche che ciascun membro del gruppo portava dentro di se, il cui obiettivo era liberarsene nella modalità il più possibile definitiva.
Un esercizio di rilassamento funge da canovaccio per ogni seduta svolta dal gruppo. Sono riportati di seguito sia il testo integrale dell’esercizio di rilassamento che, la storia di alcuni dei membri componenti il gruppo.
Al termine della lettura di questo articolo, lo psicologo interessato a conoscere questa tecnica di lavoro terapeutico, sarà arricchito di una capacità tecnica dove può sentirsi libero di ampliare il proprio stile di lavoro anche con strumenti suggestivi, come portare i propri pazienti nel largo del mare a trattare dei loro problemi e vicissitudini. Il contesto del setting terapeutico ha una sua valenza finalizzata all’utilizzo dello stesso per un cambiamento: buttare a largo del mare parti sofferenti della propria esistenza facendo in modo elaborare la separazione da esse.
Anteprima
Ricordo nei libri dei primi anni di scuola elementare, immagini di oggetti comuni con a fianco scritto il nome in stampatello e suddiviso in sillabe come ad esempio: na-ve, al fine di facilitare nel bambino apprendimento e memorizzazione.
Già a partire dall’asilo nido, si favorisce la familiarizzazione con oggetti comuni e, in quel contesto ad esempio la nave, viene presentata al piccolo attraverso una sagoma in compensato che ne ripropone le forme e da la possibilità d’ iterazione con l’oggetto stesso.
Sin da piccino, il bambino viene sottoposto all’apprendimento degli oggetti più comuni e tipicamente presenti nella sua vita futura. La nave è per eccellenza uno di questi, alla pari dell’ombrello, del fungo, della farfalla ed altri ancora che non mancano mai negli abcetari e dunque, entrano per primi a far parte del vocabolario del bimbo.
Eppure, oggetti così familiari e di uso comune, diventano in talune situazioni della nostra esistenza oggetti altrettanto inquietanti e, al centro addirittura della cronaca nera. Non è questo il caso della farfalla, e dell’ombrello, ma ogni tanto lo è del fungo dove funghi velenosi arrivano anche a provocare la morte di chi ignaro li mangia. Nei mesi invernali di quest’anno è invece stata la nave l’eroina per eccellenza di disastrosi eventi.
Nel mondo adulto, la nave è associata a momenti di relax e divertimento, quali le vacanze, il lusso degli arredi e non da ultimo sotto un altro profilo, l’importanza della nave come mezzo di trasporto per scambi e contatti con l’estero, dove la navigazione per lunghi periodi della storia è stata il mezzo di comunicazione per eccellenza.
Il corrente anno è iniziato con veri e propri disastri per le navi da crociera, ma non solo, anche i pescherecci sono stati alla ribalta della cronaca nera italiana e non.
Tutta tricolore invece, la nave Concordia, affondata dal suo capitano nella prossimità della riva del Giglio. Questa storia ha rappresentato un crocevia tra la cronaca rosa del presunto amore tra il capitano e la ballerina e la cronaca nera che ha contato la morte di molte persone e la traumatizzazione di molte altre presenti sulla nave nel “viaggio della maledizione”, come è stato definito. Con questo evento targato gennaio 2012 è iniziato il nuovo anno e dopo un paio di mesi, una nave per il trasporto dei materiali, per più di qualche chilometro aveva strisciato il fianco sulla banchina.
Forse per ironia della sorte, ancora a distanza di breve tempo, un'altra nave da crociera ha subito un incendio in una parte del motore, costringendo i propri passeggeri a rimanere a largo dell’oceano in attesa di un tempestivo ripristino della navigazione.
Tutto questo insieme di eventi catastrofici, che hanno rimodellato il nostro immaginario della nave come oggetto piacevole e di vacanza, capitava nell’anno del centenario dal naufragio del Titanic.
Il Titanic è la nave che il 14 aprile 1912 nel suo viaggio inaugurale da Southampton a New York, entrò in collisione con un iceberg. La nave era il più grosso transatlantico del mondo e fu progettato per fornire un collegamento settimanale di linea tra la Gran Bretagna e l’America. L’impatto con l’iceberg provocò l’apertura di alcune falle lungo la fiancata destra ed affondò due ore e quaranta minuti più tardi, spezzandosi in due tronconi.
Nessun superstite e il relitto della nave ancora presente sul fondale marino, interruppe il viaggio di milioni di passeggeri, generando la nascita di un mito. Tanto elevata la mitologia intorno all’evento che, per il centenario già da due anni si stava organizzando la riproduzione del Titanic. Una nave che riproponeva lo stesso percorso che avrebbe dovuto compiere l’originale mezzo, con menù a bordo ed allestimenti il più possibile fedeli al prototipo.
Non sono mancate suggestioni causando malori, tra alcuni “passeggeri della rievocazione” tanto che alcune ore dopo la partenza, la nave è dovuta tornare in dietro per lasciare un passeggero suggestionato e quindi colpito da malore.
Quando un evento si caratterizza attraverso la morte di molte persone, apre il varco alla mitologia, una storia che entra nella memoria collettiva diventando un sepolcro da visitare a mo’ di pellegrinaggio. E’ quanto sta avvenendo al Giglio, dove un posto di vacanza quotato per bellezze naturali e sviluppo del turismo, sta accattivando l’interesse di una vasta categoria di persone portate ad andare a vistare il luogo della disgrazia dove c’è ancora il relitto della nave Concordia, inclinata nell’affondo dopo l’inchino.
L’affondo della Concordia ha tallonato il Titanic nell’olimpo delle sciagure su mare, a 100 anni di distanza, questa volta una nave da crociera italiana ha riproposto la stessa dinamica reiterata nella tragedia, segnando l’inizio di un nuovo mito.
Se in questa circostanza è stato il caso a volere che nel 1912 e poi nel 2012, avvenissero due sostanziali quanto memorabili sciagure su navi, in altri casi le riproposizioni nascono, come una sorta di necessità da parte dell’uomo.
Forse viviamo nell’era dei revaivol
Nel mondo dell’automobilismo ad esempio sta andando di moda mettere alle nuove vetture gli stessi nomi già usati molti anni prima, come la Fiat che ha scelto per una sua ammiraglia il nome Giulietta, lo stesso già usato nei primi anni ’60 dal marchio Alfa Romeo. Un sessantenne oggi, ripensa attraverso il nuovo prodotto a quella vettura sportiva che era uscita di fabbrica quando era un neopatentato, oppure, i giovani ne hanno sentito parlare dai loro genitori, magari vedendoli immortalati da ragazzi in foto in bianco e nero con quella che oggi è un’auto d’epoca di grande valore non solo economico, ma anche affettivo e rievocativo.
Anche nel mondo della musica, si assiste allo stesso fenomeno, dove giovani artisti ripropongono come loro cavallo di battaglia canzoni appartenute ad una o due generazioni precedenti. Ad esempio, i giovani tre tenori “i Volo”, hanno sfondato nella loro giovane carriera con la canzone: il Mondo del 1960 cantata da Jimmy Fontana.
Possiamo dire che gira il mondo gira, nello spazio e senza fine, dove la notte insegue sempre il giorno ed il giorno verrà e, in questo costante divenire del tempo che mai si è fermato, l’uomo nel suo percorso di crescita sente la necessità di rivisitare tappe importanti della sua storia e questo è successo anche con il transatlantico il Titanic, rievocato nei suoi minimi dettagli, solo l’epilogo è stato fortunatamente diverso, dato che nel 2012 il viaggio si è completato!
La storia dunque a distanza di tempo spesso si ripropone per scelta e volontà dell’uomo, oppure per destino. Ed è stato proprio per destino che la nave Concordia affondasse dopo 100 anni dal naufragio del Titanic.
In questo articolo, si fa riferimento all’ausilio della metafora dove “il Titanic”, rappresenta in questo scritto il neologismo per la liberazione da parte dei pazienti, di parti soffrenti del proprio sé.
La narrazione del paziente
Lasciamo per un poco da parte il discorso delle nevi che riprenderemo più avanti e spostiamo invece ora, la nostra attenzione sul motivo per cui una persona va in psicoterapia.
Sono questi i casi in cui si verifica una condizione nella quale, una persona non riesce più a gestire o a tollerare un malessere che sta vivendo. Presa coscienza della mancanza di risorse ad andare avanti da solo il soggetto si rivolge ad uno specialista per la presa in carico.
Come funziona la presa in carico
Dopo un contatto telefonico, viene fissato un appuntamento nello studio dello psicologo, questa la normale prassi, comune a tutti gli specialisti della materia a prescindere dall’orientamento dal quale prendono le mosse. Dopo di che, ciascuno segue la sua modalità lavorativa applicando la propria strategia di riferimento. Ma andiamo per gradi e, diciamo che prima di iniziare la parte del trattamento terapeutico, il soggetto definito paziente, racconta al clinico la sua esperienza, ciò che in quel dato momento lo turba e, lo ha spinto a richiedere un percorso psicoterapico.
Durante la prima seduta, si parte dal racconto del paziente ovvero dalla sua versione dei fatti che lo destabilizzano, poi tale racconto verrà contestualizzato in una sfera emotiva e comportamentale più ampia che appartiene all’utente stesso, ma ricostruita insieme all’esperto nel setting terapeutico. E’ pertanto compito dello psicologo, attivare una forma di ascolto attento, smontare poi il palcoscenico della drammatizzazione espressa dal paziente e ricostruire insieme a lui come se il paziente ed il terapeuta fossero “lettera e penna di uno stesso foglio” (Carmine Saccu, neuropsichiatra infantile e fondatore insieme ad altri colleghi, del pensiero di via Reno a Roma sulla psicoterapia familiare negli anni ‘70 ), la trama muovendo da una base più solida, capace di andare più a fondo nelle radici, quelle relative all’organizzazione mentale e strutturale del paziente, oppure facendo riferimento alle dinamiche relazionali intergenerazionale come fanno i sistemici (orientamento al quale io appartengo).
Rilettura della narrazione familiare secondo il modello terapeutico sistemico-relazionale
Il modello sistemico-relazionale, prende in considerazione il racconto fornito dall’individuo o dalla famiglia come spiegazione ai propri problemi e lo contestualizza in uno spazio relazionale più esteso, quello del trigenerazionale. Ovvero, all’interno di una trama storica e relazionale che non si focalizza sul singolo in quanto tale, ma sull’individuo come parte di un sistema relazionale che lo coinvolge insieme ai propri genitori e alla generazione dei nonni.
Attraverso la “rilettura” realizzata in terapia di fatti e vissuti esposti dal paziente, quest’ultimo, non solo si arricchirà di un quadro più chiaro della propria situazione, ma trova lo spazio per il cambiamento, in quanto non avrebbe più senso una volta disarmato il problema del potere del quale era stato investito, continuare ad agire un ruolo o una funzione specifica.
Il senso occulto del problema viene soppiantato da una spiegazione concreta e reale che non lascia spazio a ad ulteriori riproposizioni reiterate del canovaccio relazionale considerato funzionale fino a quel momento per la sopravvivenza del singolo e magari del contesto familiare d’appartenenza.
Il titanic dei malesseri
Avevamo un barcone dove svolgevamo terapia di gruppo, finalizzata al miglioramento della qualità della vita, prendendo le distanze da problematiche e quanto genera nelle parsone ansia e sofferenza.
La terapia di gruppo orientata verso la liberazione dell’individuo dai problemi psicologici, è uno strumento importante e difficilmente sostituibile per quanti sono consapevoli dell’importanza della realizzazione della propria vita affettiva nella vita di relazione.
Lo studio I Sistemi, in estate, si trasformava in piattaforma sul mare, a bordo cioè di una grande barca similare a quelle che si vedono nel periodo estivo per giri panoramici in alto mare. Il gruppo si chiamava I Titanic e l’obiettivo era quello di raggiungere il largo della acque e per qualche ora rimanere in contatto con se stessi, con le proprie problematiche da imparare a gestire e soprattutto allontanare (to sink in inglese: affondare).
Il gruppo tra organizzazione e struttura
Di seguito verranno riportati brevi spaccati di storie di alcuni membri facenti parte del gruppo i Titanic. All’origine il gruppo era composto da 8 membri, di seguito sarà riportato il racconto di tre persone in rappresentanza del lavoro condotto.
Al termine di ogni seduta che durava due ore, facevo fare un esercizio di rilassamento con sottofondo musicale e parole che avevano a che fare con l’evocazione suggestiva e liberatoria. Al termine di ogni seduta veniva riproposto lo stesso copione relativo al rilassamento, ma ogni volta le associazioni mentali dei singoli membri cambiavano in funzione degli stimoli recepiti nel corso della seduta.
Esercizio di rilassamento
”Occhi chiusi, palpebre pesanti, quasi dormire.
Lasciamo andare il corpo sulla sedia come un sasso pesante ascoltiamone il peso che grava sulla sedia e facciamo un sorriso: bello, profondo e soprattutto sincero.
Immaginate di trovarvi un luogo per voi bello, dove quando eravate più giovani siete stati felici, cercate di ricordavi un odore, un sapore tipico di quel posto ed immaginate di associarlo ad un organo del vostro corpo,
immaginate che quest’organo possiate guardarlo da vicino vicino e voglia chiedervi qualcosa, qualcosa che può averlo offeso, turbato e chiede a voi la promessa di non farlo più soffrire.
Immaginate allora voi stessi, distesi in un isola deserta, immersa tra il mare azzurro e calmo e il verde delle palme che con la loro ombra sembrano accarezzare delicatamente il vostro corpo … poi improvvisamente si avvicina a voi una cesta, è vuota, pensate di metterci dentro tutte le cose tristi della vostra vita:chi vi ha fatto soffrire, chi vi ha deluso, una malattia che vi ha preoccupato … e altre cose del bagaglio storico personale che non vi hanno reso felici … barcollando sulle lente onde del mare, questa cesta si allontana da voi, portando via il dolore, si vede sempre più piccola, lontana, lontana all’orizzonte, fino a sparire, a non vedersi più.
Pensate ora ad una persona con la quale avete discusso, con la quale non vi siete capiti ed immaginate di spalancargli le braccia in segno di pace, di perdono!
Occhi sempre chiusi, palpebre pesanti, quasi dormire, fate un bel sorriso e immaginate di dedicarlo a tutte le persone che sono state importanti nella vostra vita, in senso di ringraziamento verso le persone che sono ancora vicine e quelle che ci hanno abbandonato.
Ora pensiamo a tre cose importanti che ci possono far star bene, cerchiamo di ricordarcele per iniziare a realizzarle già da adesso
Pensiamoci ancora e ancora un po...
… con in mente queste belle cose da realizzare, iniziamo a svegliarci, facciamo un bel sorriso, profondo e sincero …
A tre apriamo gli occhi: 1, 2, 3!
Casi clinici
Sono riportate di seguito le storie di 3 persone appartenenti al gruppo i titanic
Il caso di Matilde che spariva nella notte per farsi cercare dal marito.
Matilde, era una giovane donna di 35 anni che aveva sviluppato atteggiamenti relativi ad un disturbo di personalità motivato dalle manie di protagonismo.
Sin da bambina le sue due sicurezze erano i genitori in quanto figlia unica ed inoltre la sua spiccata bellezza, era stata un’icona della moda locale della città in cui era cresciuta e di conseguenza, corteggiatissima dai ragazzi. Dopo il matrimonio e l’abbandono della passerella per una questione anagrafica e non di sfioritura della sua bellezza, Matilde, era entrata in depressione e trascorreva il suo tempo a sfogliare vecchi book, riguardare foto di quando era più giovane e soprattutto, in quel periodo iniziarono a vacillare anche le sicurezze provenienti dalla famiglia d’origine, in quanto sia la madre che il padre erano gravemente malati.
Fu cosi che Matilde, iniziò a mettere a dura prova le attenzioni del proprio partner.
Tutto sembrava essersi trasformato in una vera e propria patologia nella mente della donna, quando quasi ogni notte, sentiva la necessità di uscire senza avvertire il marito e ritirarsi in locali notturni della zona dove c’era musica ed intrattenimento.
In questi ambientati sentiva di nuovo valorizzata la propria bellezza, ancora molto giovane, si sprecavano su di lei complimenti ed apprezzamenti, ma la cosa che più la gratificava era quando arrivava suo marito a riprendersela, inizialmente disperato dalla paura di quelle uscite clandestine di casa.
Questa problematica, sfociata nei tratti di una problematica di natura psichiatrica, affondava invece le proprie radici, in un disturbo di natura relazionale che ha a che fare con la scarsa valorizzazione del sé reale a vantaggio di una corporeità e di un’estetica che non era supportata da una forte struttura di personalità. Molto Matilde aveva lavorato sul suo corpo, molto poco sul sostegno psicologico alla propria corporeità. Quindi un corpo tirato al massimo della propria bellezza ed una psiche debole, non in grado di supportare il peso di tanto successo e centralità. Mancarono infatti gli strumenti per elaborare un passaggio di vita sicuramente complesso, ma al contempo inevitabile: il susseguirsi delle fasi evolutive.
Nel gruppo “I titanic”, Matilde lavorò sul provare a liberarsi da questi fantasmi persecutori che le dicevano di scappare per farsi cercare al fine di confermare la propria autostima.
La bellezza per avere fiducia in se, fu quanto Matilde buttò nel cestino che dove affondare nel largo del mare. Non fu semplice per Matilde liberarsi di quell’involucro mentale, ma ne sentiva tanto l’esigenza, in funzione del tempo che passava, lei pensava al suo futuro, quando la bellezza della giovinezza l’avrebbe abbandonata e lei avrebbe comunque voluto vivere una vita serena e tranquilla.
Matilde nel gruppo iniziò a valorizzare il suo corpo e la sua bellezza non più come veicolo di serenità e strumento per ricevere conferme dagli altri. Le sicurezze iniziarono a prendere forma attraverso la consapevolezza personale del bisogno di cambiare. Quel clichè relazionale con il quale era cresciuta, le arrecava sofferenza e solo trovando se stessa nella propria intimità, imparò a volersi bene ed amare la propria bellezza che non era più utile a qualcosa, ma rappresentava qualcosa di prezioso che da sempre possedeva. Per lunghi anni aveva vissuto la propria bellezza più come un fardello che non come una ricchezza.
Oltre alla bellezza scopri che c’ara di più, la serenità dettata dalla capacità a star bene con se stessa.
Carlo il campione
Carlo in famiglia esisteva solo come campione di motociclismo, il resto non era considerato.
Carlo aveva 65 ed era stata una stella del motociclismo a livello internazionale ed era pertanto normale che, la sua vita fosse da sempre andata di pari passo con la propria professione, una condizione obbligata per chi diviene campione nazionale, ma almeno nella vita privata, un distacco da tutto sarebbe d’obbligo.
Per sua moglie invece, Carlo era da sempre il suo campione e come tale lo trattava nel quotidiano. Gli faceva preparare sempre un’alimentazione adeguata a chi è nel modo dello sport e ha seguito sempre una certa linea alimentare.
Carlo decide di partecipare al gruppo I Titanic per liberarsi di questo fardello che se per molto tempo era stato un fiore all’occhiello nella sua vita, ora era diventato un peso, doverci fare i conti ogni giorno nell’ambito della propria vita privata.
Lui vuole diventare padrone della propria vita intima e privata, sentendosi libero di poter scendere dalla moto dopo tanti anni che vi era rimasto sopra, non ostante avesse lasciato da più di trent’ anni la fase agonistica. Se gli altri lo avevano continuato a vedere come il “motociclista” anche all’interno della mura familiari, era perché anche lui, non era stato capace a divincolarsi da un anacronismo stridente con le sue attuali necessità.
Mettere nel cestino del naufragio tale fardello, lo fece sentire più libero, più umano e finalmente più un uomo in mezzo a tanti altri uomini e donne, quanto lui ormai desiderava da tantissimo tempo, ma il timore e la fatica ad agire un cambiamento non semplice, lo avevano bloccato costringendolo ad un ruolo reiterato.
Gigliola adottata a 40 anni
Le riapparve tutto il film della sua vita e non si sentiva più una principessa, ma vittima di una matrigna ed un patrigno, questo il motivo scatenante la scelta di Gigliola ad aderire al “gruppo I titanic”.
Figlia unica era stata una bambina amata e desiderata e lei sempre aveva contraccambiato a questo amore dei genitori sia con il proprio amore che con l’affermarsi negli studi, laureandosi in scienze statistiche, e poi nel mondo del lavoro. Quando venne a conoscenza della sua storia attraverso l’interpretazione di un quadro dipinto dalla madre (affermata pittrice), e affisso nella sua sala da pranzo per comunicare qualcosa di importante a Gigliola, la giovane donna rimase sconvolta e straziata. Da sempre sua madre comunicava con lei anche attraverso la pittura, ma quella volta fu devastante e Gigliola non sapeva se mai sarebbe riuscita a ridare la sua parola alla madre e al padre dai quali si sentiva profondamente ingannata.
Il vissuto di Gigliola era quello di sentire finita la sua vita, non riusciva a viverla come un cambiamento, come qualcosa che improvvisamente aveva sconvolto la sua resistenza, le sue sicurezze e quindi il bisogno di affrontare la realtà. Più il tempo passava e più tutto questo diventava illogico, lei desiderava soltanto sparire e quindi smise di mangiare arrivando ad un sottopeso molto grave per cui furono necessari due ricoveri.
Non aveva mai sofferto di disturbi alimentari Gigliola, ma alla sua età che era un’età importante per la carriera lavorativa e familiare, lei aveva reagito all’evento, regredendo come un’adolescente che vuole ribellarsi al proprio sistema familiare ed in particolare alla figura materna.
Nel caso di Gigliola, si trattava di un disturbo alimentare correlato ad una dissociazione di personalità: tra quella costruita fino ad allora e, una che doveva nascere, ma non trovava le giuste basi, lo slancio per la realizzazione.
Quando sentì la forza di reagire si iscrisse al gruppo i “titanic” ed aveva un grande bisogno di vomitare. Gigliola raccontò che per molti mesi aveva trattenuto il suo bisogno di tirare fuori, esternare tutto il suo malessere, ed era per questo che aveva smesso di mangiare. Ora Gigliola, era pronta a parlare di se dopo lunghi mesi (5 per la precisione) , di isolamento e chiusura dal mondo circostante. La donna non accettava quello che definiva un imbroglio nei suoi confronti da parte dei genitori, i quali a suo avviso non avrebbero dovuto dopo 40 anni dirle una cosa cosi forte, oramai era servita solo a ferirsi a vicenda.
Il problema ora però era reagire, accettando la realtà dei fatti: di essere stata adottata e di esserne stata ormai messa a conoscenza, dopo anni di silenzio e di verità celate.
Anche lei come gli altri naufraghi del gruppo titanic, doveva lavorare su di se in modo liberatorio, rompendo le sbarre dell’ingabbiamento nelle problematiche che il tempo può generare in un individuo.
Gigliola voleva buttare il suo passato, invece si rese conto lavorando nel gruppo che doveva recuperarlo ed elaborarlo in funzione di un presente dove le cose solo in parte erano cambiate, nel senso che non poteva buttare tutta la sua vita, ma doveva ricostruirne le parti.
Nella cesta quindi, l’immaginario del passato dove Gigliola era stata una figlia modello in riconoscimento di due genitori che l’avevano messa al mondo doveva diventare, improntare il concetto di una vita basata su scelte personali, e non per riconoscimento verso qualcun altro. Ci rendemmo conto lavorando con Gigliola, che questa sua caratteristica del “risarcimento” verso i genitori era rappresentativa a livello più o meno consapevole di un atto d’amore compiuto dai genitori nei suoi confronti, tipico di chi adotta e viene adottato, come se tutto dovesse passare attraverso un ringraziamento tra le parti.
La metafora della cesta dove deporre le cose che fanno male e farle affondare nel mare al fine di migliorare la propria condizione psicologica, nel caso di Gigliola si espletò, nel deporre le convinzioni e le certezze che l’avevano accompagnata per molti anni ed improvvisamente erano crollate.
Il passato era sicuramente ingombrante, ma bisognava affondarlo nelle sue parti illusorie (legate alla non realtà dei fatti), e non negarlo o voltargli le spalle. Ora se qualcosa affondava, dell’altro affiorava … il suo bagaglio culturale…
In Gigliola stava infatti affiorando il bisogno personale di capire chi fosse veramente, chi l’aveva abbandonata e perché. Con lei si lavorò quindi attraverso le dinamiche relazionali del gruppo (interazione tra i membri), nella ricostruzione della sua identità personale, dove per forza di cose, un capitolo si era chiuso ed uno nuovo si stava aprendo, ma il nuovo aveva a che fare con il passato e dunque, come la mano di un elettricista attenta a congiungere bene i fili, con Gigliola, molti passaggi della sua vita sfuggivano alla sua conoscenza ed insieme per ricongiungere le parti avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse. Fu così che per tre incontri, il gruppo si ampliò ospitando i genitori adottivi di Gigliola.
Non fu semplice per i due genitori mettersi in gioco su un tema che avevano sempre sottaciuto, ma era arrivato il momento visto che avevano fatto in modo di mettere la loro figlia a conoscenza della realtà prima che fosse stato troppo tardi. Non mancava il rancore da parte di Gigliola verso i genitori e l’incomprensione verso il loro gesto. Gigliola sosteneva che per lei sarebbe stato totalmente diverso conoscere la verità quando era bambina, quando sarebbe cresciuta andando di pari passo con tale situazione, dove i genitori adottivi l’avrebbero aiutata a capire e si sarebbero amati ugualmente. Per i genitori che l’avevano presa quando lei aveva soli due mesi, era come un proteggere la piccola e proteggere se stessi da una sofferenza, tenere nascosta la realtà significava per renderla irreale.
Poi però, arriva il momento della resa dei conti ed il confronto con la realtà, il compito di Gigliola e i suoi genitori, divenne proprio questo: finalmente accettare le cose come stavano, da una parte due genitori che solo ora avevano sentito la necessità del rivelarsi e dall’altra la reazione della figlia, che inevitabilmente costò una presa di distanza, magari anche solo temporanea.
Considerazioni conclusive
In conclusione, possiamo renderci conto come del resto era stato preannunciato nella parte introduttiva, di come la clinica possa essere arricchita di spunti metaforici e rendersi più abbordabile non solo alla comprensione di chi legge, ma anche e soprattutto essere efficiente a chi viene applicata proprio grazie alla suggestione e alla capacità di entrare nel vivo della sfera emotiva non solo attraverso le parole, ma anche attraverso l’intenzione al “fare”.
Parlare in maniera liberatoria in presenza del gruppo e in un setting ambientato al largo del mare, ha consentito ai pazienti di sentirsi più liberi ad estrinsecare problematiche e al volerle affondare dopo averle riconosciute come proprie ed insostenibili. Ciascun membro poteva sentirsi libero da quei un condizionamenti che altri avevano posto nella propria vita: chi schiavo della bellezza, chi del successo sportivo e chi di una realtà nascosta, questi i casi descritti in questo articolo.
Riscontrammo che per ciascuno che si era messo in gioco lavorando su di se, si era creata la capacità ad uscire da uno schema relazionale reiterato dal quale si sentiva da lungo tempo soffocato e tutto questo non rappresentava più un percorso obbligato e senza via d’uscita.
Bibliografia
- L. Mastronardi La psicologia dei proverbi. Edizioni scientifiche, Magi, 1997 Roma.
- L. Mastronaardi Io guarirò. Tecniche nuove, 2001, Milano.
- L. Mastronardi La psicologia del benessere. Tecniche Nuove, 2003, Milano.
(a cura della Dott.ssa Marchetti Tamara)
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