Lo spot di GIORGIA - Pubblicità e fantasma di morte (3)
Giorgia è il secondo degli spot di "Sulla buona strada", la Campagna sulla Sicurezza Stradale che Psiconline ha deciso di analizzare attraverso lo studio delle psicodinamiche e l’uso pubblicitario del “fantasma di morte”
Proseguiamo, con lo spot di GIORGIA, l'analisi della campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale “Sulla buona strada”, attivata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conl'obiettivo quello di ridurre le morti per incidente stradale.
Sono stati elaborati e divulgati cinque “particolari” spot sulle principali cause d’incidenti mortali dovuti a comportamenti specifici: le cinture di sicurezza non allacciate, l’uso del telefonino mentre si guida, la velocità e l’indifferenza verso gli utenti deboli della strada, il mancato uso del seggiolino per bambini, il mancato uso delle luci di sicurezza.
ANALISI
Il “registro verbale” dello spot in questione è il seguente.
“Pochi mesi fa abbiamo preso una casa in campagna
e io mi ci vedo a sistemare il giardino, a organizzare il barbecue.
Chi mi conosce direbbe: “beh, tu, la bici, la natura, ce l’hai fatta!”
E’ in questi momenti che penso al mio rimpianto più grande:
non aver acceso quella sera le luci della bici.
Giorgia 1974 - 2016
Tornare indietro è impossibile. Resta sulla buona strada.
Renderti ben visibile quando vai in bici, può salvarti la vita.”
Il “registro visivo” si attesta nel primo piano, un quasi mezzobusto, di Giorgia, una donna bella e accattivante di quarantadue anni dalla voce calda e ruffiana, inquadrata sul solito sfondo nero indefinito da dove emergono, confusamente filtrati, dei punti luce biancastri, possibilmente di alcuni riflettori.
Il “registro grafico” è composto dal nome “Giorgia” e dalle date
”1974 -2016”, oltre dalle normali diciture finali di servizio.
Le caratteristiche emotive del “registro visivo” si attestano in un esordio molto suadente e gradevole, allegro e conviviale che attesta il carattere aperto e allegro di Giorgia. Degna di nota è la piena vitalità che si manifesta nel “porgere” il messaggio con lo “sporgersi” verso l’obiettivo della telecamera, quasi un voler comunicare a livello empatico. Il primo prosieguo si contraddistingue per la vivacità sorridente dell’eloquio e per i toni vellutati della voce, un approccio familiare di una donna estroversa e affabile. Dopo “ce l’hai fatta” è presente un blocco della recitazione che manifesta l’affiorare progressivo di un’emozione legata al tragico contesto che Giorgia sta recitando. Dopo aver offerto lo sguardo e i grandi occhi all’osservatore, Giorgia inizia a rabbuiarsi e sposta gli occhi verso destra e verso il basso.
Nel finale subentra lo sgomento che traligna in angoscia di perdita quando dice: “E’ in questi momenti che penso al mio rimpianto più grande: non aver acceso quella sera le luci della bici. Nel triste epilogo l’angoscia degenera in disperazione. Lo sgomento, l’angoscia, la disperazione del finale sono in netto contrasto con la vivacità vitale della prima parte. Con il movimento degli occhi e con lo sguardo Giorgia desta la sensazione della consapevolezza di aver perso tutto quello che la rendeva viva e felice, oltre che di una tremenda solitudine. Lo spot viaggia per contrasto emotivo e per antitesi, è recitato in maniera convincente e risulta ben fatto a livello globale.
Alla fine l’immagine leggermente traballa e quasi si allontana, di poi subentra in grafica la solita voce femminile fuori campo che recita il “registro referenziale” costituito dal motto della campagna pubblicitaria e dalla didattica del messaggio: “Tornare indietro è impossibile. Resta sulla buona strada. Renderti ben visibile quando vai in bici, può salvarti la vita.”
Il “registro visivo iconico”, le sensazioni e le emozioni provocate dalla serie d’immagini, si attesta nel conflitto psichico tra la vivacità della recitazione e la progressiva comprensione del contenuto del testo. L’attenzione scatta subito alla visione e all’ascolto della donna, di poi si converte in curiosità e tensione nell’attesa di comprendere il contesto. A questo punto la tensione scatena un netto rifiuto dell’evento tragico e travalica nella rabbia nei confronti degli ideatori dello spot per l’uso drastico che hanno fatto di un’informazione educativa. L’angoscia si profila e si affaccia, ma non riesce a istruirsi perché viene bloccata dalla frustata emotiva del testo e dalla crudeltà del contesto.
Il “registro visivo icononografico”, schemi culturali e immagini simboliche, si attesta soprattutto nella grafica di un essenziale e scarno epitaffio “Giorgia, 1974-2016”, cardine psicodinamico dello spot con tutto il suo carico angosciante di morte.
Il registro visivo tropologico, l’uso di figure retoriche, oscilla tra il “paradossale-assurdo” e include la figura retorica dell’”antitesi” associabile al meccanismo della “conversione nell’opposto”. Il primo si attesta nel dare vita a una persona morta, la seconda nel netto contrasto concettuale, oltre che emotivo, tra la vitalità espressa e la morte dichiarata: è morta una donna vitalissima e felice. E’ presente la “metafora” “resta sulla buona strada” nell’accostamento simbolico tra la guida e la vita, tra la strada che serve per guidare e il giusto comportamento che è necessario per non morire.
L’assunto di base psichico e il veicolo dinamico è il “fantasma di morte” in versione diretta dal momento che compare un inequivocabile epitaffio.
Lo spot è marcatamente tanatocratico.
COMMENTO
Giorgia esordisce in maniera disimpegnata e allegra. Non è una donna sola. Lo si desume da “abbiamo preso”. Si fa pensare accompagnata da una figura degna e si dichiara appassionata della campagna e della cucina. Nulla lascia trapelare che sia mamma. Meno male! Avrebbe lasciato orfani in sofferenza e avrebbe allargato la carica d’angoscia dello spot. Si può aspettare tutto da un uso maligno e malefico del “fantasma di morte” in pubblicità.
Giorgia ama la natura e ama soprattutto vivere e vivere secondo passione. La casa in campagna di Giorgia condensa la sua sensibilità e la sua fattività. Giorgia è una donna che non si perde in chiacchiere, ma ama fare, curare se stessa e le sue cose. Il “giardino” è simbolo del rigoglio della “libido”, dell’energia vitale, dell’espansione psicofisica, degli investimenti esistenziali: il giardino è il piccolo Eden di Giorgia, “parvus sed aptus sibi”, “piccolo ma adatto a lei”, come diceva Orazio della sua casetta in Sabina.
Del resto, il viso lascia trasparire vita e vitalità, fascino e femminilità, suadenza e affabilità. Il “barbecue” ripropone il vecchio simbolo del focolare, della casa, della dimora, del cibo e degli affetti, soprattutto degli affetti diretti alle persone che si amano. Giorgia si offre appassionata e disponibile, volitiva e aperta verso gli altri, gli amici e gli ospiti.
Giorgia sa donarsi perché è ricca di “libido genitale”, di cultura e di accoglienza. Giorgia si ama e ha un forte “amor proprio”, una buona autostima e un apprezzabile “sapere di sé”. Si spiega in tal modo il “Tu” concluso con “ce l’hai fatta!” Tra le passioni che la rendono felice, rientra anche la bici, un oggetto che risulta ambiguo nello spot perché provoca la sua fine: la sua passione si è ritorta contro e l’ha uccisa. La “bicicletta” è un simbolo erotico e sensuale in linea con le fattezze femminili e con gli atteggiamenti di apertura di Giorgia. Anche la “bici” rientra nel benefico e irrisorio “ce l’hai fatta!” L’ultima passione è la “natura”, il simbolo di ciò che nasce e si evolve, il condensato della vita e della fusione emotiva e sentimentale, tutto l’opposto della morte e della perdita. Si ripropone il solito contrasto tra “Eros” e “Thanatos”, tra la pulsione a vivere e la pulsione a morire.
La beffa madornale resta il morire per colpa dell’oggetto d’amore, la bici: un tradimento mortale. Ecco anche spiegato il beffardo “ce l’hai fatta”. Al massimo della realizzazione personale e della felicità Giorgia commette un errore irreversibile, “non aver acceso quella sera le luci della bici.”
Il marchingegno psico-retorico dello spot è, come si accennava in precedenza, “l’antitesi”, la contrapposizione tra vita e morte, tra felicità e disperazione. Si tratta di un artificio crudele e perverso nella sua drastica ricerca di colpire la psiche dell’osservatore con la psicodinamica degli opposti, “Eros” e “Thanatos” come si diceva. L’eccesso sortisce l’effetto indesiderato di un netto rifiuto del messaggio pubblicitario. Procediamo con l’analisi dell’epilogo tragico di Giorgia. Si profila il dramma dopo il sorriso, lo sgomento dopo l’entusiasmo, l’angoscia della perdita dopo la realizzazione dei suoi desideri, la disperazione della solitudine dopo tanta affabilità.
Giorgia definisce eufemisticamente “rimpianto più grande” la dimenticanza che l’ha portata fuori dal tempo e dallo spazio, anche se in video appare viva e vegeta in ossequio al registro visivo tropologico del “paradossale assurdo”. La postura del viso si corruga, si corruccia, si smarrisce con il guardare a destra in basso esulando dall’obiettivo, quasi a cercare la consapevolezza e il pudore della sua morte. La consapevolezza di essere morta arriva con l’impossibilità di godere di se stessa, della bici, della natura, di non avercela fatta. Addio casa di campagna! Il barbecue è destinato ad arrugginirsi. Giorgia è morta all’improvviso e ancora non ha celebrato il suo funerale.
Questo è il commento dello spot di Giorgia.
Vediamo la psicodinamica dell’osservatore.
Giunge chiara e forte la tragica verità in atto: Giorgia è morta. Si desta uno stato di forte allerta con “non aver acceso quella sera le luci della bici.” Si ha piena coscienza che Giorgia è morta quando compare la famigerata scritta “Giorgia, 1974 - 2016”. A questo punto lo spot, che aveva destato simpatia e partecipazione per la presenza di una donna viva e vivace, scatena nell’osservatore un crudele “fantasma di morte” a cui consegue una forte emozione che non riesce a tralignare in angoscia per il netto rifiuto di considerare, tanto meno accettare, che Giorgia è morta e tanto meno per colpa della sua amata bici. La mancata angoscia scatena un senso d’impotenza e di rabbia verso lo spot e verso gli ideatori per l’elaborazione e la fattura di una simile storia, oltre che per la subdola provocazione emotiva.
Lo spot nella sua interezza viene immediatamente investito dai “meccanismi psichici di difesa dall’angoscia” e dal rifiuto di vivere l’angoscia legata alla morte di una donna così vitale e appassionata. Il messaggio è ingestibile dalla coscienza e viene immediatamente sbarrato dalle “funzioni difensive dell’Io” al punto che non viene ammesso neanche a una valutazione adeguata. Il lutto viene giudicato ingiusto e l’angoscia di morte viene soffocata sul nascere da parte dell’osservatore e fruitore.
- Lo spot viene “rimosso”, viene momentaneamente dimenticato per la sua drammatica carica d’angoscia.
- Lo spot viene “negato”, viene rifiutata l’angoscia legata alla morte della giovane donna, oltretutto nel massimo della sua realizzazione.
- Lo spot viene “isolato”, viene scissa l’emozione e il sentimento dall’informazione del messaggio pubblicitario.
- Lo spot viene “intellettualizzato” o “razionalizzato” ossia si cerca di “usare la ragione per farsene una ragione”.
- Lo spot viene “annullato”, viene convertita l’angoscia in un rituale nevrotico.
- Lo spot desta un “acting out”, induce ad agire commutando la vulnerabilità in forza e l’impotenza in potere, una reazione condensata in un’azione precisa intesa a non rivedere lo spot e a non vivere l’angoscia.
Queste sono le principali reazioni psichiche in base ai meccanismi di difesa deputati e chiamati in causa.
Nel peggiore dei casi lo spot viene “forcluso”, dimenticato del tutto, e diventa un pericoloso nucleo psicotico che può imprevedibilmente scoppiare.
La “catarsi” dell’angoscia è necessaria e involontaria, oltre che legata ai meccanismi di difesa usati elettivamente dall’organizzazione reattiva, il carattere, dell’osservatore. In ogni caso lo spot viene rifiutato in blocco per difesa e non si aprono le strade verso la “sfera psichica subliminale”, la dimensione psichica dove il messaggio pubblicitario cova e lavora. La psiche dell’’osservatore o del fruitore deve evitare la degenerazione nell’angoscia del complesso emotivo scatenato senza la sua diretta volontà e in maniera subdola, deve evitare che l’angoscia si converta in dolorose somatizzazioni. Lo “spot di Giorgia” incorre nel madornale gravissimo errore di evocare immediata angoscia a causa della sua diretta “tanatocrazia”.
La “prognosi” individuale e sociale impone l’eliminazione immediata dalla circolazione pubblica dello spot inquisito per manifesto danno psicofisico agli osservatori. Il messaggio voleva essere etico e morale, ma ha fatto ricorso a veicoli di diffusione non certo etici e morali: il “fantasma di morte” in visione diretta. Lo spot voleva comunicare buoni insegnamenti, ma è incorso in un salutare rifiuto perché elaborato da cattivi maestri. Lo spot contiene una carica “psicotica” che può ridestarsi nelle persone direttamente chiamate in causa, genitori, amici e uomini che hanno perso una figlia o una compagna o un’amica, una carica psicofisica che può esplodere in maniera pericolosa a traino di uno stimolo congruo che può occorrere vivendo. Inoltre, trattandosi di uno spot mortifero, è necessario, qualora lo si vuol divulgare, apporre la seguente iniziale avvertenza: “questo messaggio pubblicitario è particolarmente crudele, per cui nuoce gravemente alla salute psicofisica di tutti. Inoltre può provocare crisi d’angoscia con conversioni somatiche nelle persone più sensibili e può scatenare crisi psicotiche nelle persone coinvolte in esperienze luttuose simili. Se ne sconsiglia la visione a tutti gli adulti che si vogliono bene e specialmente ai bambini. Comunque ricordatevi di rendervi ben visibili quando di sera andate in bicicletta, perché oltre a essere un obbligo di legge, vi salva la vita.”
Dopo il “rischio psicopatologico” e la “prognosi”, a conferma che l’analisi dello “spot di Giorgia” è solamente costruttiva, adduco la semplice soluzione per bonificare il messaggio e renderlo praticabile ed efficace presso la “pubblica coscienza”. Bastava non inserire l’epitaffio con nome e anno di nascita e di morte e il messaggio sarebbe totalmente cambiato nella qualità e nella capacità diffusiva. Non sarebbe stato più direttamente tanatocratico e, anche se basato sul “fantasma di morte”, avrebbe lasciato all’osservatore la possibilità di elaborare il messaggio e soprattutto di deliberare sull’importanza di osservare il codice della strada. Inoltre, sarebbe sceso nella sfera psichica subliminale in maniera positiva ed efficace.
Altra soluzione: lasciare l’affascinante Giorgia in vita mettendole in bocca le giuste regole stradali dell’andare in bici di sera e lasciando supporre il rischio in cui è incorsa: una Giorgia pimpante mentre cucina le costicine di maiale sul suo barbecue con tanto di fumo e di supposto profumo. Questa è una “traslazione” efficace e gestibile del “fantasma di morte”. L’epitaffio, come al solito, è stato un eccesso in ogni senso e ha reso nullo l’effetto psichico pubblicitario nel suo essere diretto, violento e crudele. Lo spot viene rifiutato per difesa e con esso viene rigettato il contenuto etico. La gente rifiuta anche l’etica pubblicitaria implicita nel messaggio perché non ha rispettato la “pubblica sensibilità”. Inoltre, non essendo arrivato nella sfera subliminale, il messaggio non può lavorare nel suo luogo ideale e, se viene ricordato, è soltanto per l’effetto doloroso provocato e non certo per il dettame etico e giuridico.
A questo punto invito il mio paziente lettore a rivisitare lo “spot di Giorgia” per avere una migliore coscienza del fatto o del misfatto e per elaborare il suo giudizio.
Articolo a cura del dottor Salvatore Vallone
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