La mentalizzazione nel paziente borderline
Peter Fonagy e Anthony Bateman: il Trattamento basato sulla Mentalizzazione nel Disturbo Borderline di personalità.
Con il termine mentalizzazione si fa riferimento ad una attività mentale immaginativa, attraverso cui si interpreta il comportamento umano in termini di stati mentali come bisogni, desideri, emozioni, credenze, obiettivi, intenzioni e motivazioni.
Tale attività risulta particolarmente inficiata nei pazienti con Disturbo borderline di personalità, determinando problemi nella regolazione emotiva e difficoltà nella gestione dell’impulsività, soprattutto nelle interazioni interpersonali.
Il termine mentalizzazione si è sviluppato fuori dall’Ecole Psychosomtique de Paris ed è stato oparazionalizzato grazie al lavoro di quei ricercatori che studiano la teoria della mente.
È stato usato per la prima volta da Peter Fonagy nel 1989 ed è stato sviluppato al fine di comprendere diversi disturbi mentali.
La mentalizzazione è il processo mediante il quale connotiamo una situazione e noi stessi di un senso, sia implicitamente che esplicitamente.
Data la generalità di questa definizione, la maggior parte dei disturbi mentali può presentare alcune difficoltà con tale processo.
In realtà, si può supporre che in più disturbi mentali la mente vada incontro ad un fraintendimento della propria esperienza di sé, e quindi, in ultima analisi, a un disturbo della mentalizzazione.
Ciò che è fondamentale comprendere è se la disfunzione è centrale per il disturbo e quindi si presenti come un dominio appropriato per un intervento terapeutico.
Mentre la teoria della mentalizzazione può essere applicata a svariati disturbi mentali, come ad esempio, il disturbo post-traumatico da stress, disturbo del comportamento alimentare, depressione, o anche a contesti differenti, come ospedali, strutture ambulatoriali, e in diversi gruppi di pazienti come adolescenti, famiglie, tossicodipendenti, il trattamento basato sulla mentalizzazione si rivolge invece al paziente con disturbo borderline di personalità.
È infatti solo in questa specifica condizione che è presente un chiaro sostegno empirico di tale trattamento, attraverso trial clinici controllati randomizzati.
Nel Disturbo borderline di personalità, una fragile capacità di mentalizzazione rispetto alle interazioni sociali e interpersonali è considerata la caratteristica fondamentale del disturbo.
Il fallimento nell’elaborazione mentale del paziente borderline è stato riscontrato dalla maggior parte dei medici, ma nessuno aveva identificato la scarsa capacità di mentalizzare come difficoltà primaria derivante dalle esperienze infantili.
Il suggerimento di base offerto da Fonagy è che la rappresentazione di Sé e degli altri attraverso stati mentali come pensieri, credenze, desideri e così via non si è sviluppata nel soggetto borderline, in quanto mancante di una relazione di attaccamento sicuro nell’infanzia, tale per cui il bambino vive un’esperienza “anormale” del proprio Sé, in quanto non è presente un rispecchiamento contingente da parte della figura di accudimento
La teoria della mentalizzazione poggia le sue radici nella teoria dell’attaccamento di Bowlby e sulle successive elaborazioni da parte degli psicologi dello sviluppo, i quali prestano maggiore attenzione alle vulnerabilità costituzionali.
A partire da queste premesse sono state raccolte diverse prove che suggeriscono come il paziente borderline presente una storia di attaccamento disorganizzato che determina problemi nella regolazione degli affetti, l’attenzione e il controllo di sé.
L’ipotesi da cui partono Fonagy e Bateman è che questi problemi sono mediati dal mancato sviluppo di una solida capacità di mentalizzazione.
Sulla base delle evidenza accumulate sullo sviluppo di questa psicopatologia, la teoria della mentalizzazione del paziente borderline suggerisce che tali soggetti sono costituzionalmente vulnerabili e/o esposti a traumi psicologici; secondariamente che entrambi questi fattori possono minare lo sviluppo delle capacità sociali e cognitive necessarie per la mentalizzazione a causa di una relazione precoce di trascuratezza e soprattutto quando non vi è stata una sintonizzazione emozionale contingente tra madre e bambino.
Questo determina infatti un sistema di attaccamento ipersensibile all’interno dei rapporti interpersonali e indebolisce la capacità di rappresentare gli affetti così come la capacità del controllo attentivo.
I pazienti con disturbo borderline hanno una vulnerabilità maggiore nella regolazione delle risposte emozionali e generano efficaci strategie per controllare i loro pensieri e sentimenti, che sfidano la loro capacità di pensare le proprie azioni in termini di sottili interpretazioni dei lor pensieri e sentimenti.
Capire come queste osservazioni cliniche e comprensione degli stati sottostanti possono essere utilizzate e tradotte in un approccio terapeutico, ha portato gli autori a definire delle tecniche che possono essere usate in un contesto di terapia di gruppo o individuale e che è stato chiamato Trattamento basato sulla Mentalizzazione.
Verranno considerati e presentati i tre aspetti più importanti del trattamento: l’obiettivo degli interventi, l’atteggiamento terapeutico, e mentalizzazione del transfert.
Il compito iniziale del Trattamento basato sulla mentalizzazione è quello di stabilizzare l’espressione emozionale, perché senza un miglior controllo degli affetti non ci può essere alcuna seria considerazione circa le rappresentazioni interne.
L’affettività incontrollata determina un atteggiamento impulsivo nel paziente, e solo una volta che l’affetto viene controllato è possibile concentrarsi sulle rappresentazioni interne e rafforzare così il senso di Sé del paziente.
L’obiettivo principale di ogni intervento deve essere connesso al ripristinare la mentalizzazione in caso di smarrimento o aiutare il paziente a mantenerlo quando si sta perdendo.
In questo contesto, è importante essere consapevole che il terapeuta è costantemente a rischio di perdere la sua capacità di mentalizzare rispetto a una non mentalizzazione del paziente.
Pertanto, gli enactment occasionali del terapeuta vengono considerati come un’accettabile concomitante dell’alleanza terapeutica che, come per gli altri casi in cui vi sono interruzioni nella mentalizzazione, richiede che il processo sia “riavvolto e l’incidente esplorato”.
Rispetto all’interpretazione del transfert nel trattamento del paziente con disturbo borderline di personalità si avverte una certa cautela, in quanto questo presuppone un livello di mentalizzazione da parte del paziente che spesso non possiede.
Ciò ha determinato negli autori di tale teoria e trattamento l’astenersi dalle interpretazioni di transfert.
Sono stati pertanto descritte sei componenti essenziali del trattamento; il primo passo è la validazione del sentimento transferale, che è stabilito rispetto alla prospettiva adottata dal paziente.
Il secondo passo è l’esplorazione, in quanto gli eventi che hanno generato i sentimenti di transfert devono essere identificati.
I comportamenti cui sono annessi i pensieri o i sentimenti devono essere esplicitati, anche se a volte può risultare difficile e doloroso.
Il terzo passo è accettare l’enactment sul terapeuta; la maggior parte delle esperienza del paziente nel transfert possono essere basate sulla realtà, ma anche su una connessione molto parziale di essa.
Principalmente questo significa che il terapeuta è stato disegnato nel transfert e agito in un modo coerente con la percezione che il paziente ha di lui.
Potrebbe essere semplice attribuire questo al paziente, ma sarebbe un intervento inefficiente; al contrario, il terapeuta dovrebbe inizialmente ed esplicitamente riconoscere gli enactment parziali del transfert come azioni volontarie inspiegabili che lui accetta, piuttosto che identificarli come una distorsione del paziente.
La quarta fase è la collaborazione per giungere ad una interpretazione; questo aspetto deve subentrare nello stesso spirito di collaborazione di qualsiasi altra forma di mentalizzazione interpretativa.
La metafora utilizzata nella formazione è che il terapeuta deve immaginarsi seduto fianco a fianco con il paziente e non opposti.
Sedersi fianco a fianco consente di guardare i pensieri e i sentimenti del paziente, ove possibile, e adottare un atteggiamento curioso.
Il quinto passo è il presentare, da parte del terapeuta, una prospettiva alternativa e infine, l’ultimo step, è quello di monitorare attentamente la reazione del paziente.
Questi processi sono presentati in sequenza e gli autori specificano che hanno parlato di mentalizzazione del transfert per distinguerlo dal processi di interpretazione di transfert.
Mentalizzare il transfert è un termine scorciatoia per incoraggiare i pazienti a pensare la relazione che stanno vivendo in quel momento con il terapeuta, avente l’obiettivo di focalizzare la loro attenzione su un’altra mente, quella del terapeuta, e assisterli nel compito di contrastare la propria percezione di Sé con il modo in cui sono percepiti dagli altri, dal terapeuta o da un gruppo terapeutico.
L’obiettivo generale del trattamento è quindi quello di facilitare il recupero della mentalizzazione.
(a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)
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