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Riflessioni psicoanalitiche sull'autismo

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Secondo la prospettiva psicoanalitica l'autismo può essere inquadrato come il fallimento di quei processi evolutivi determinati da alcuni primi eventi nell'interazione madre-bambino che giocano un ruolo importante nella formazione delle strutture mentali necessarie allo sviluppo delle relazioni oggettuali.

Riflessioni psicoanalitiche sullautismoLa psicoterapia psicoanalitica dell'autismo come argomento ha una presenza minima nelle moderne discussioni teoriche e pratiche, cosa che è evidente anche nella revisione della letteratura contemporanea.

Questo stato è evidente nel fatto presentato da Louis Ruberman che i dibattiti scientifici e professionali contemporanei sulla psicoterapia psicoanalitica dell'autismo sono principalmente ridotti alla questione del suo ruolo storico nello sviluppo del trattamento dell'autismo.

Pertanto, oggi si può constatare che nell'ambiente scientifico e professionale la psicoterapia psicoanalitica è posta sullo sfondo degli approcci contemporanei alla terapia dell'autismo.

Questa posizione della psicoanalisi, in questo contesto specifico, può essere spiegata dalle moderne tendenze scientifiche dominate dalla neuroscienza e dalla genetica.

Queste tendenze sono riconosciute da Fonagy nella psichiatria americana contemporanea in cui è presenta la lotta per il potere ed il controllo tra la psichiatria biologica e quella psicoanalitica.

Attraverso questo conflitto all'interno del moderno ambiente scientifico e professionale che è stato influenzato dalle società farmacologiche, specialmente all'inizio del XXI° secolo, nel periodo del cosiddetto “decennio del cervello”, si sono verificati cambiamenti significativi nella comprensione delle cause della malattia mentale.

Così oggi, nella spiegazione dei disturbi mentali, si incontra un cambiamento della psicodinamica verso le teorie costituzionali dell'eziologia della malattia mentale.

Questo spostamento è ugualmente presente nell'approccio terapeutico, dalla precedente psicoterapia a lungo termine alla terapia farmacologica a breve e lungo termine, alla terapia cognitiva-comportamentale e così via.

Secondo queste osservazioni, nello spirito di questa nuova tendenza nell'ambiente scientifico e professionale, la definizione dell'autismo segue quello di disturbo organico.

Facendo riferimento al DSM-5, l’autismo, o meglio inquadrato nella categoria dei Disturbi dello spettro autistico, è un disturbo del neurosviluppo che coinvolge principalmente tre aree: linguaggio e comunicazione, interazione sociale, interessi ristretti e stereotipati.

Partendo da questa comprensione dell'autismo come conseguenza di danni cerebrali che sono importanti nel funzionamento psicosociale, vi è ben poco spazio per le attività psicoterapeutiche.

In tale ambiente scientifico e professionale, è abbastanza chiaro che l'approccio psicoanalitico e ogni altro approccio psicoterapeutico possono avere solo un significato e un'applicabilità limitati nel trattamento dell'autismo.

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In questo senso, è necessario affrontare il problema delle possibilità di approccio psicoanalitico o di qualsiasi altro approccio alla psicoterapia dell'autismo. Il problema di queste possibilità è strettamente connesso alla questione della possibilità di costruire un modello di genesi psichica dell'autismo.

Nel tentativo di presentare la psicoanalisi come approccio psicoterapeutico all'autismo, nel presente articolo verrà presentato il caso clinico di una bambina autistica, trattata dal Dottor Aldo Spelic, psicoanalista e docente presso la University of Juraj Dobrila in Pula, Croatia, con un'esperienza ventennale e consolidata nel settore.

All'inizio del suo lavoro psicoterapeutico con una ragazza autistica che prenderà il nome di Martina (nome di fantasia), si è trovato di fronte ad una 'visione' dell'autismo come una malattia organica.

Perciò, gli obiettivi psicoterapeutici sono stati molto limitati, e ampliati solo dopo il raggiungimento graduale degli stessi.

L'obiettivo iniziale era quello di aiutare la ragazza a superare le difficoltà nel suo adattamento ad alcune condizioni psicosociali. Tuttavia, gli obiettivi successivi sono stati ampliati in modo tale da superare alcuni sintomi autistici.

Il caso di Martina

Martina arriva in consultazione nel 1993, in seguito ad una diagnosi di disturbo autistico all'età di 3 anni. A quel tempo la bambina non aveva sviluppato la parola, sembrava affettivamente assente insieme alla presenza di molti comportamenti stereotipati e ritualistici.

Non mostrava alcun interesse per le altre persone intono a lei così come di stabilire una relazione. Nel periodo precedente all'arrivo in terapia, i suoi genitori non fecero nulla a causa delle informazioni ricevute da vari esperti i quali evidenziarono che la loro figlia aveva un grave danno organico che, in futuro, non le avrebbe permesso di sviluppare funzioni cognitive, come il linguaggio, e formare relazioni.

A sua madre fu detto che la figlia non sarebbe mai stata in grado di pronunciare la parola “mamma” né di sviluppare alcuna relazione sociale.

Come tale, la ragazza è stata inclusa in un asilo perché, a parte il ritiro affettivo, non mostrava stati eccessivi di ansia o aggressività.

I problemi iniziarono con l'ingresso nella scuola elementare quando iniziò a confrontarsi con un nuovo ambiente, manifestando un alto livello di ansia accompagnato da insolite forme di comportamento come urla, fuga dalla classe e tendenza a nascondersi.

In base al verificarsi di questi comportamenti, i professionisti della scuola avviarono una procedura di trasferimento della bambina in un'istituzione specializzata che ha spinto i genitori a chiedere aiuto. Secondo la dichiarazione della madre, la sua gravidanza, il parto e lo sviluppo psicomotorio della bambino nel primo anno di vita erano normali.

Tra le moltitudini di informazioni che la madre ha riportato, ha precisato il fatto che la ragazza alla fine del primo anno di vita fu ricoverata per dieci giorni in ospedale a seguito di uno sfortunato incidente in cui si bruciò a causa della negligenza del padre.

Fu questo elemento che attirò l'attenzione del Dottor Spelic, chiedendosi se questa esperienza avesse potuto produrre qualche ritardo e cambiamenti nel comportamento della bambina come apatia, ritiro e lentezza psicomotoria.

In una situazione in cui si decide di iniziare una psicoterapia con una bambina autistica, in cui l'autismo è concettualizzato come una malattia organica, è subentrato il dilemma se l'approccio psicoterapeutico potesse produrre qualche cambiamento positivo nella sua condizione.

Tale compito, quindi, appariva come una “missione o impresa impossibile” e quindi l'obiettivo psicoterapeutico fu molto limitato. Dopo aver stabilito un contatto visivo che man mano è aumentato nel tempo, il suo nuovo stato è stato seguito da cambiamenti positivi - considerando le sue difficoltà iniziali - nell'adattamento ad un nuovo ambiente scolastico.

Questi cambiamenti hanno portato il Dottor Spelic ad ampliare il compito terapeutico iniziale. Il fatto dell'esistenza di un trauma di separazione durante il suo primo sviluppo, gli ha fornito l'input di accettare la psicoterapia, cioè di porre i sintomi dell'autismo al centro dell'interesse terapeutico.

Il Dottor Spelic ha quindi iniziato a guardare l'autismo in accordo ai concetti di Melanie Klein, Margaret Mahler, John Bowlby, Rene Spitz, Donald Winnicott, in cui la presenza di traumi precoci ed esperienze di separazione durante lo sviluppo del bambino potevano aver alterato lo sviluppo delle relazioni oggettuali.

Avendo stabilito una buona relazione terapeutica con la ragazza autistica, i cambiamenti graduali seguirono in relazione alle sue condizioni autistiche iniziali. Così, si è assistito all'emergere delle prime forme di imitazione e successivamente interiorizzazione; questo nuovo stato fu seguito da uno sviluppo graduale di certe strutture mentali espresse dall'emergere della parola, l'interesse per l'ambiente sociale e la quasi scomparsa di comportamenti stereotipati.

A questi cambiamenti si affiancarono risultati positivi in termini di capacità cognitive e capacità di adozione di determinati contenuti scolastici.

La ragazza a cui inizialmente era stata diagnosticato un ritardo mentale, senza alcuna possibilità di formare uno sviluppo verbale e sociale, oggi a 27 anni ha un livello di funzionamento intellettivo leggermente sottosviluppato.

Oggi vive con i suoi genitori e viaggia ogni giorno per lavorare in un'altra città. Al lavoro, ha sviluppato buoni rapporti affettivi con altri dipendenti. Oltre ad essere coinvolta nella psicoterapia individuale una volta a settimana, frequenza sessioni di gruppoanalisi per giovani adulti. Questi risultati positivi con Martina hanno così incoraggiato il Dottor Spelic a includere gradualmente nella psicoterapia altri bambini autistici.

Riflessioni psicoanalitiche sull'autismo

Parlando di autismo oggi, è importante notare che, per quanto riguarda i sintomi inclusi nel disturbo dello spettro autistico, vi è almeno un accordo parziale, ma per quanto riguarda l'eziologia dell'autismo vi è un completo disaccordo tra gli autori.

In questo modo la questione dell'eziologia dell'autismo rappresenta il problema principale che lo psicoterapeuta incontra all'inizio di una terapia con bambini autistici.

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Questo problema era particolarmente presente all'inizio della psicoterapia con Martina. Bisogna tuttavia notare, con un certo rammarico, che l'essere collocati in un determinato ambiente scientifico e professionale in cui la medicalizzazione sembra essere divenuta primaria, rende difficile l'ipotesi stessa di sviluppare trattamenti psicoterapeutici ad hoc per questa popolazione di pazienti.

Ci si trova così di fronte a concetti poco chiari circa l'eziologia autistica e di conseguenza alla possibilità di un approccio psicoanalitico o di qualsiasi altro approccio psicoterapeutico all'autismo.

In conformità con questo, vi è un atteggiamento dominante negativo nei confronti di tale possibilità. Pertanto, è importante iniziare questa presentazione di nuove possibilità nella psicoterapia dell'autismo con un dibattito sulla sua eziologia come questione centrale riguardante le possibili applicazioni del trattamento psicoanalitico all'autismo.

Parlare oggi dell'eziologia dell'autismo significa districarsi tra due modelli teorici opposti, mutualmente esclusivi, seguiti da approcci terapeutici diversi.

Quindi, da una parte vi sono approcci “organici”, con l'accento sulle cause biochimiche - genetiche, immunitarie e metaboliche – e neurologiche-degenerative, seguite dalla farmacologia e dagli approcci terapeutici comportamentali.

D'altra parte, abbiamo approcci “psicologici”, prevalentemente psicoanalitici con l'accento sulle cause ambientali ed emotive, seguite dall'approccio psicoterapeutico al trattamento dei bambini autistici.

Questa condizione, è stata denominata “Problema della scissione” ad una conferenza in Slovenia; il problema della scissione riguardo alla questione dell'eziologia è esistito fin dall'inizio della creazione del concetto di autismo.

Kanner, nella sua presentazione del “primo autismo infantile” nell'opera “Autistic Disturbances of Affective Contact” (1943) diede un'importante osservazione sulla mancanza di calore emotivo nei genitori di bambini autistici.

Più avanti, nel problema della nosologia e della psicodinamica dell'autismo infantile, lo ha ampliato comprendendo l'impatto della “autentica mancanza di calore materno nell'emergenza dell'autismo, con particolare attenzione alla freddezza, all'ossessione e alla tipologia meccanica delle relazioni”.

In seguito, ha iniziato a sostenere l'idea che l'autismo è l'incapacità intrinseca dei bambini di formare un contatto emotivo comune e che i bambini autistici nascono con innate disabilità fisiche e intellettuali.

Un significato particolarmente negativo dello sviluppo delle teorie psicologiche dell'autismo deriva dalla concettualizzazione di Bettelheim espresso nell'opera “The Empty Fortress”.

A suo avviso, lo sviluppo emotivo dei bambini autistici nei loro ambienti familiari è stato visto come assimilabile all'esperienza emotiva dei prigionieri nei campi di concentramento.

Una connotazione particolarmente negativa è stata quella di asserire che i bambini autistici dovevano essere separati dalle loro famiglie.

Di conseguenza, con questo approccio i genitori si trovarono di fronte ad un senso di colpa per l'autismo dei loro figli che è stato l'ostacolo principale nell'accettare il concetto stesso di autismo.

L'atteggiamento di Bettelheim sulle “madri frigorifero” ha svolto un ruolo importante nel promuovere una visione negativa nei confronti dell'approccio psicoanalitico nella psicoterapia dell'autismo e anche nei confronti del modello di psicogenesi autistica.

Questa tendenza ha portato a sostituire la psicoanalisi con l'approccio comportamentale nel trattamento dell'autismo.

Le visioni professionali dell'autismo: autismo organico e autismo psichico

Il problema della scissione, riguardante la questione dell'eziologia dell'autismo, può essere collocata anche in ambito professionale.

Nel tentativo di avvicinarsi alla nomenclatura psichiatrica esistente, l'autismo è spesso definito come una psicosi spiegata da difficoltà autistiche nello stabilire relazioni con il mondo esterno e debolezze del proprio Io.

Tuttavia, il concetto di psicosi psicogenetica infantile, che include l'autismo, per la maggior parte degli psichiatri, come riconosciuto da Tustin, rappresenta un concetto controverso.

Nel tentativo di conformarsi alle tendenze scientifiche e di evitare la domanda sull'eziologia organica o psicologica dell'autismo, Tustin ha introdotto due tipi di autismo: primo, “autismo organico” inteso come conseguenza di danni cerebrali registrati o deficit sensoriali, ed il secondo, “autismo psicogeno”, inteso come conseguenze di traumi precoci di esperienze di separazione in bambini che non mostrano segni di patologia organica.

Tuttavia, è significativa l'osservazione di Tustin che, confrontando questi due gruppi di bambini autistici, ritenne quanto fosse difficile riconoscere le differenze tra loro, perché entrambi i gruppi nel processo terapeutico manifestano caratteristiche comportamentali simili, cioè non differiscono nell'uso di meccanismi psicologici.

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Pertanto, viene riconosciuta l'esistenza di meccanismi psicologici simili nei bambini autistici, indipendentemente dall'aspetto o meno dei segni organici.

È stato anche riconosciuto che un impatto terapeutico su questi stessi meccanismi ha portato cambiamenti terapeutici positivi in entrambi i gruppi. Tutte queste precedenti osservazione parlano a favore dell'esistenza di un processo unico che partecipa ad una formazione di sintomi autistici di base.

Pertanto, per superare questa dicotomia esistente tra i concetti eziologici di autismo organici e psichici, è importante concentrarsi sull'identificazione e sulla comprensione di tale processo unitario. Le possibilità di risolvere questo problema sono riscontrabili negli studi contemporanei sullo sviluppo infantile.

I contributi della psicoanalisi relazionale e/o intersoggettiva sono stati infatti riconosciuti da diversi autori. Ad esempio, Alvarez, parlando di “controversia sull'autismo”, ha indicato che gli approcci organici e psicologici che sono stati collacatii nelle posizioni divergenti, con il tempo si sono avvicinati.

Il creare questo nuovo ponte è stato possibile grazie al contributo di autori come Daniel Stern. Contributi speciali, provenienti dalla corrente relazionale, hanno posto l'interazione infantile precoce con la madre al centro delle indagini sullo sviluppo del bambino.

Nelle loro indagini hanno riconosciuto l'importanza del rapporto madre-bambino come esperienza chiave per lo sviluppo successivo delle loro abilità psicosociali. In questo modo, il successo dello sviluppo di tali abilità è associato alla specificità della relazione madre-bambino in cui si può riconoscere un processo specifico responsabile dello sviluppo delle caratteristiche sociali del bambino.

Nelle indagini su questa prima esperienza di comunicazione con le madri - di “corrispondenza con” – in cui i neonati possiedono già innate capacità di imitazione, questa è stata posta come base per lo sviluppo della loro intersoggettività primaria, cioè una base esperienziale per lo sviluppo successivo della capacità di relazionarsi socialmente.

Il fallimento di tale sviluppo, dal punto di vista degli psicoanalisti relazionali, è ascrivibile a problemi legati alle capacità di imitazione del bambino, caratteristica particolarmente rilevante nel contesto dell'autismo che, a differenze di altri bambini, non possiedono imitazioni spontanee ma solo meccaniche.

Un contributo particolarmente importante è stato fornito da Daniel Stern, il quale ha posto al centro delle sue indagini l'interazione madre-bambino. Se precedentemente, si riteneva che le capacità del bambino di imitare il viso della madre e altre forme di comportamento fosse una comunicazione unidirezionale, Stern ha dato importanza all'interazione madre-bambino come una comunicazione bidirezionale.

Con questo approccio, è stata data particolare importante al ruolo degli stati materni interni che entrano in relazione con il bambino, il cui focus è quindi legato allo stato affettivo della madre anziché al suo comportamento durante l'interazione con il figlio.

In tal senso, madre e figlio, automaticamente e senza consapevolezza, modificano i loro stati affettivi in modo tale che ciascuno di loro senta ciò che è vissuto nell'altro. Il concetto di Stern indica che attraverso l'imitazione reciproca e la riproduzione di espressioni facciali, movimenti e vocalizzazioni, madre e figlio si riproducono l'un l'altro in condizioni sensoriali, che sono la base per lo sviluppo del bambino dei “contorni vitali”.

Queste osservazioni hanno un significato speciale per comprendere la genesi dell'autismo. Sono queste esperienza di “sintonizzazione affettiva” che stabiliscono e mantengono i diversi livelli del Sè teorizzati da Stern (iniziale, centrale, intersoggettivo e verbale).

In questo modo, lo sviluppo infantile precoce è inteso come un processo a due direzioni in cui partecipano due attori, contrariamente alla comprensione di questo primo sviluppo come un processo diretto in cui solo il bambino imita più o meno con successo, cioè risponde agli stimoli materni.

Anche Hobson ha ampliato l'importanza delle esperienze delle reciproche interazioni madre-figlio per lo sviluppo del bambino, dalle abilità sociali a quelle cognitive. In questo modo, ci si è allontanati dalla visione generalmente accettata che lo sviluppo cognitivo è solo in funzione della maturazione del cervello.

È quest'ultima visione, generalmente accettata, che viene usata per dimostrare le basi organiche dell'autismo. Di conseguenza, molti autori hanno ritenuto che il livello cognitivo inferiore del bambino autistico fosse rappresentativo di una base organica.

Tuttavia, se così fosse, nel caso presentato di Martina, non sarebbe stato possibile ottenere cambiamenti significativi nel suo stato autistico generale e specialmente nella sua funzione cognitiva - da grave ritardo mentale a livello inferiore alla media.

Al contrario, i cambiamenti nella sua capacità di costruire relazioni reciproche con altri hanno portato gradualmente allo sviluppo di strutture mentali sempre più alte.

Rispetto a quanto esposto sin da ora, si potrebbe ipotizzare che l'autismo è un disordine pervasivo di sviluppo affettivo, sociale e cognitivo che è determinato dal fallimento della formazione delle strutture mentali primarie attraverso relazioni reciproche primarie stabilite e mantenute non sufficientemente buone con la madre.

Questo fallimento può essere intesto come una conseguenza: da un lato, delle limitazioni organiche e psichiche innate o successive del bambino, riconosciute nelle sue difficoltà nello stabilire e mantenere interazioni reciproche con la madre, nonché, d'altra parte, dalle limitazioni affettive materne nel partecipare a questo processo di mutua interazione a causa delle sue difficoltà nel confronto con i compiti dello sviluppo del bambino nell'affrontare questi compiti di sviluppo.

Conclusioni

I contributi psicoanalitici, teorici e pratici presentati, forniscono le basi per il riconoscimento dell'importanza della relazione precoce del bambino con la madre nel suo successo nello sviluppo delle abilità psicosociali.

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Con questo approccio si può quindi leggere l'autismo come il fallimento di quei processi evolutivi determinati da alcuni primi eventi nell'interazione madre-bambino che giocano un ruolo importante per la formazione delle strutture mentali necessarie allo sviluppo delle relazioni oggettuali.

Pertanto, la psicoterapia psicoanalitica dell'autismo meriterebbe una posizione migliore negli ambienti scientifici e professionali contemporanei; ad eccezione del suo importante ruolo nella storia della cura dell'autismo, dovrebbe svolgere un ruolo importante nelle teorie e pratiche contemporanee di tale psicopatologia.

 

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A cura della Dottoressa Giorgia Lauro

 

 


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Tags: autismo psicoanalisi interazione strutture mentali madre-bambino

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