Essere vittima di violenza psicologica nell’era digitale
Una breve analisi dei fenomeni psicologici e dei meccanismi emotivi che sostengono i comportamenti di abuso e di violenza psicologica e di revenge porn nel mondo digitale.
di Francesca Mangano
La nostra quotidianità si svolge su due mondi paralleli, uno è quello della vita reale, l’altro è quello della nostra esistenza nella realtà virtuale. Tutti noi viviamo la nostra identità online: mostriamo cosa facciamo, cosa mangiamo, dove e con chi siamo, creiamo persino relazioni intime online. E’ come se ci stessimo aprendo al mondo con un click e un like dopo l'altro.
Ampliando la nostra esperienza di vita reale con quella virtuale possiamo addirittura colpire qualcuno con un click. Stiamo assistendo alla trasposizione della violenza reale a quella virtuale. Peccato che le caratteristiche di intenzionalità, asimmetria, persistenza e sofferenza sono più che reali. Gli atti di violenza digitale sono in più soggetti all’anonimato e hanno una portata di diffusione tendenzialmente illimitata, possono raggiungere migliaia e migliaia di visualizzazioni in pochissimi secondi.
L’esposizione al web è totale.
In uno studio condotto da un gruppo di ricerca della Sapienza di Roma (Morelli et al., 2016) per indagare la relazione esistente tra sexting, disagio psicologico e comportamenti aggressivi sono emersi alcuni dati importanti e significativi. I risultati hanno evidenziato che il 78% dei partecipanti (15-35 anni di età) ha ricevuto almeno una volta nella vita foto o video che ritraevano altre persone in atteggiamenti intimi e provocatori, il 64% ha invece ammesso di averle condivise sotto il proprio consenso. Sempre nello stesso studio è emerso un altro dato, quello a mio avviso preoccupante: il 13% ha dichiarato di averlo condiviso sul web e in gruppi di messaggistica privata senza il consenso dell’altra persona. Questo dato rende alcuni dei lettori delle potenziali vittime e dei potenziali carnefici.
L’abuso psicologico ed emotivo, sia che esso venga agito nella vita reale o in quella virtuale, è una dinamica subdola di maltrattamento, invisibile e silenziosa, spesso non riconosciuta, se non addirittura negata. E’ un fenomeno esteso ma sommerso e per questo sottostimato. E’ presente in culture e contesti molto diversi tra loro e può riguardare donne e uomini di ogni età, etnia e status sociale. Ha molti volti: talvolta assume le sembianze di aggressioni verbali, atteggiamenti svalutanti, minacce implicite o esplicite; altre volte invece si cela dietro scherzi e derisioni. Riguardano comportamenti il cui fine principale è diretto a minare l’autostima e l’autonomia di un'altra persona e costituiscono uno strumento coercitivo e manipolatorio più potente di quanto possiamo immaginare.
La violenza psicologica non è una dinamica che si instaura dall’oggi al domani. E’ una trama che va a costruirsi nel tempo e in modo piuttosto graduale. Un fenomeno che ne spiega bene le tempistiche è il Gaslighting. Il termine deriva da un’opera teatrale del 1938 e dagli aggiustamenti cinematografici di Hitchcock nel film “Rebecca, la prima moglie” del 1940. La trama tratta di un marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando gradualmente piccoli elementi nell’ambiente, le luci a gas, subdolamente e gradualmente da lui affievolite. I cambiamenti vengono inizialmente notati dalla moglie, ma puntualmente negati dal marito, che riesce in questo modo a farle credere di essere frutto della sua immaginazione. Subdoli comportamenti manipolatori messi in atto gradualmente per destabilizzare, per fa sì che l’altra persona incominci a dubitare di sé, della propria identità e dei propri giudizi di realtà.
Sono forme di maltrattamento difficili da identificare perché non visibili all’occhio e perché chi le subisce raramente ne è consapevole. Al pari della violenza fisica hanno però conseguenze devastanti, perché erodono in profondità l’autostima, la fiducia in se stessi, nel prossimo e nelle relazioni sociali, lasciando inoltre grandi sensazione di vuoto e solitudine. Chi ne è vittima di spesso si sente dapprima incompresa, poi insufficiente e dipendente, fino ad arrivare a convincersi che quello che sta vivendo se lo sia in qualche modo meritato.
La vendetta porno (revenge porn) generalmente nasce da una relazione finita male, in cui un ex-fidanzato/a sentendosi respinto e rifiutato, non accetta di essere lasciato. Le sue armi sono cellulari, computer, foto, video, tutto postato online senza consenso. Nella maggioranza dei casi è agita dagli uomini sulle donne (e viceversa, sebbene in misura minore) e purtroppo tollerata anche da quella parte non violenta della società. E’ quest’ultima che legittima, giustifica e normalizza uomini, ma anche donne, ad assumere atteggiamenti finalizzati al potere e controllo. La stessa società che contemporaneamente colpevolizza e giudica chi invece ne è vittima.
La violenza psicologica del revenge porn si attua su due fronti. Il primo è quello relazionale che coinvolge direttamente i partner sessuali: uno dei due per controllo e vendetta minaccia di condividere, se non addirittura condivide, con amici e non, foto e video intimi. Il secondo è esterno, fuori dalle dinamiche caratterizzanti certe relazioni tossiche e lontano dalle relazioni sociali più prossimali di chi la subisce. E’ il giudizio pubblico, il senso di vergogna e l’umiliazione che si prova di fronte l’opinione di potenziali spettatori virtuali, che con poca consapevolezza e troppa fretta, condivide, guarda e posta scene intime che non gli appartengono. Ed è questo quello che succede ad una vittima di revenge porn, che oltre ad essere minacciata, ricattata e umiliata da un partner (di cui avrebbe evidentemente non dovuto fidarsi) viene anche pubblicamente umiliata dalla società, che con le sue norme, i suoi modelli socio culturali di riferimento e i suoi tabù ne amplifica come una cassa di risonanza l’effetto.
Il revenge porn è agito prevalentemente da persone che trovano in questa azione la realizzazione di una punizione. Il far morire dalla vergogna è lo scopo principale di colui che solitamente mette in rete il materiale e che, in seguito alla pubblicazione, segue con piacere l’assalto denigrante. E’ questo senso di vergogna che imprigiona silenziosamente chi subisce atti di revenge porn. Per ogni prigioniero silenzioso della vergogna: è la paura del giudizio che ti tiene ostaggio e il prezzo da pagare è la perdita dell'autostima.
Se l'eco dell'imbarazzo prima si estendeva alla famiglia, alla scuola o alla comunità, ora si estende alla comunità online. Milioni di persone anonime potenziali lanciatori di pietre virtuali. E’ vero che la crudeltà verso gli altri non è una novità, ma online la vergogna viene amplificata senza limiti e resa accessibile in modo permanente. La vergogna non è un’emozione primaria, innata e universale come invece lo è la paura, la rabbia o la gioia. E’ un’emozione complessa che apprendiamo durante il percorso di crescita e che sviluppiamo principalmente attraverso le interazioni con gli altri. E’ un’emozione sociale ed implica necessariamente la percezione di un giudizio dell’altro. Nasce da un’autovalutazione e dalla percezione di fallimento personale rispetto uno standard desiderato in accordo a regole, scopi e modelli di comportamento socialmente condivisi. In base al tipo di carattere della persona e della cultura di provenienza da cui derivano le norme di riferimento, alla vergogna si reagisce in due modi: arrabbiandosi o isolandosi.
Il mondo dei media e dei social network nel frattempo sfruttano indisturbati i meccanismi basilari del funzionamento fisiologico e cerebrale umano: sanno bene che gli stimoli sessuali catturano automaticamente l’attenzione. Come si fanno soldi? Con i click. Più vergogna, più click. Più click, più guadagni pubblicitari. Più clicchiamo più diventiamo insensibili nei confronti delle persone e più diventiamo insensibili, più facciamo click. Nel frattempo qualcuno fa soldi sulle spalle della sofferenza altrui. Con ogni clic facciamo una scelta. Prendiamo consapevolezza del fatto che più riempiamo la nostra cultura di vergogna pubblica, più questa diventa accettata. Più diventa accettata, più vedremo comportamenti come il cyberbullismo, il revenge porn e il body shaming. Questo comportamento è sintomo della cultura che abbiamo creato. Gli standard e le norme socioculturali di riferimento siamo noi, tutti quanti noi.
In questo articolo mi sono limitata ad un’analisi di alcuni dei più importanti aspetti alla base della violenza psicologica digitale. Per concludere però vorrei proporvi due spunti di riflessione: parliamo e sentiamo parlare tanto di diritto alla libertà di espressione, eppure credo che sia più opportuno parlare della nostra responsabilità nella libertà di espressione; parliamo del diritto ad avere rapporti etero ed omosessuali, eppure credo che sia altrettanto utile parlare della nostra responsabilità emotiva durante l’esplorazione dell’atto sessuale.
References
- Bates, S. (2017). Revenge porn and mental health: A qualitative analysis of the mental health effects of revenge porn on female survivors. Feminist Criminology, 12(1), 22-42.
- Bonura, M. L. (2018). Che genere di violenza: conoscere e affrontare la violenza contro le donne. Edizioni Centro Studi Erickson.
- Hitchcock A., (1940). Rebecca la prima moglie.
- Morelli, M., Bianchi, D., Baiocco, R., Pezzuti, L., & Chirumbolo, A. (2016). Sexting, psychological distress and dating violence among adolescents and young adults. Psicothema, 28(2), 137-142.
- Pina, A., Holland, J., & James, M. (2017). The malevolent side of revenge porn proclivity: Dark personality traits and sexist ideology. International Journal of Technoethics (IJT), 8(1), 30-43.
- Semenzin S., (2019). Intimità violata: revenge porn tra violenza, sessualità e tecnologia. Ciclo di seminari dell’università degli studi di Milano
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