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L’amore al tempo del Coronavirus

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on . Postato in Relazioni, Coppia, Famiglia | Letto 3821 volte

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In un periodo in cui ci si muove nella direzione della comunicazione telematica sui social e si preferisce persino conoscere le “amicizie” o il partner tramite dei siti appositi, il coronavirus sta sancendo la fine dei rapporti interpersonali “intimi”.

di Claudia Nissi

L'amore al tempo del Coronavirus“L'amore ai tempi del colera” è un romanzo dello scrittore Gabriel García Márquez, che parla del rapporto d’amore tra i due protagonisti, iniziato quando erano giovani, durato oltre mezzo secolo, attraverso scambi epistolari e sporadici incontri, e vissuto fisicamente solo quando avevano più di 60 anni.

Cito questo libro per spiegare il titolo che ho pensato di dare all’articolo, nel quale voglio parlare proprio delle relazioni affettive al tempo del Coronavirus.

Sembra passato tantissimo tempo da quando si girava sulla metro, sui treni e si viaggiava senza la paura dell’altro troppo vicino, senza l’ansia di essere fermato, di essere controllato, di essere messo in quarantena, o senza il disagio di starnutire, o di tossire, sapendo che qualcuno potrebbe guardarci male o con sospetto.

Sono queste le paure che condizionano la vita di molti italiani oggi, a parte di chi banalizza il problema sminuendo le misure precauzionali.

Non voglio entrare nel merito del virus, ma mi sembra lecito soffermarmi in qualità di professionista psicologa su quello che il Covid-19 ci sta togliendo in termini di relazioni umane e qualità della vita.

Non possiamo salutarci, darci convenzionalmente la mano, abbracciarci o darci un bacio di affetto per esprimere la felicità di vederci.

Il contagio attraverso il nuovo virus è abbastanza facile e può avvenire prima ancora che si sviluppino i sintomi: questo ci rende sospettosi di chi non conosciamo, ma purtroppo anche di chi conosciamo e ci impedisce di vivere le relazioni in maniera “sana” e naturale.

Mi viene in mente la teoria presentata dall’antropologo Hall, che partendo dallo studio del comportamento animale, rispetto alla difesa del territorio, ipotizza anche nell’uomo delle “bolle” di distanza dall’altro per contraddistinguere i vari rapporti.

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Anche l’uomo, infatti, ha un suo spazio, che se superato dall’altro, genera reazioni di difesa del territorio, di tipo aggressivo, o vissuti di imbarazzo, o di ansia.

Quando ad esempio ci troviamo all’interno di un ascensore pieno di persone che non conosciamo, guardiamo in basso o sul cellulare, per evitare di incrociare lo sguardo dell’altro in maniera ravvicinata e “intima”.

Una spiegazione di questi comportamenti ci è stata fornita da Hall attraverso lo studio della "prossemica", che considera l'uso dello spazio personale e sociale e la percezione che si ha di esso.

Gli studi di Hall hanno analizzato il comportamento prossemico distinguendo quattro diverse zone:

  • intima (0 - 45 cm), tipica delle relazioni di coppia o con i familiari;
  • personale (45 - 1 m/1,20 m), destinata agli amici;
  • sociale (fino a 3,5 m) usata tra conoscenti o a scuola (nel momento in cui l’insegnante spiega dietro la cattedra);
  • pubblica (oltre i 3,5 m) tipica dei comizi o dei concerti.

zone intimitàLa suddivisione in metri è utilizzata per facilitare la comprensione, ma di fatto tale distanza si differenzia da cultura a cultura e a seconda delle caratteristiche personali.

Quindi le nuove disposizioni per il coronavirus ci stanno dicendo di mantenere una distanza “sociale”, oltre il metro, che ė solitamente usata con le conoscenze, ma difficilmente si sposa con il partner, con i familiari o con gli amici, nonostante anche la vicinanza con loro potrebbe metterci a rischio di prendere il Covid-19 o contagiare.

La chiusura delle scuole era inevitabile se si pensa che lì il metro di distanza non è applicabile. La vicinanza non può essere gestita o controllata e tutto quello che ci viene consigliato come regola da seguire per evitare il contagio, mortifica l’essenza stessa dell’educazione e svilisce il rapporto tra bambino e adulto.

Proviamo a vedere a livello psicologico dove ci porta tutto questo.

Sicuramente facilita le persone “asociali” in un clima di isolamento, favorisce la paranoia rispetto all’altro, l’ipocondria per la paura del contagio, la claustrofobia negli spazi chiusi con tanta gente, l’ossessione per il virus e la compulsione a lavarsi spesso le mani, la depressione perché consigliano a tutti di evitare i contesti sociali e in particolare agli anziani di non vedere i nipoti, di stare per quanto possibile a casa ed evitare i luoghi affolati.

Se queste “norme”, disposizioni per contrastare il contagio, si presentassero come sintomi da parte di un paziente sarei propensa a leggere come professionista una grave incapacità del soggetto ad entrare in relazione. Mi troverei di fronte una persona che manifesta disagio tra la folla, che trascorre molto tempo a casa e se esce evita i luoghi affolati, riducendo al minimo i contatti sociali; che si copre la bocca per parlare, lava spesso le mani e si passa l’amuchina ad intervalli più o meno regolari.

Questo è quello che ci consigliano di fare.

Considerando tutto ciò di cui ci sta privando il coronavirus, speriamo almeno che questo sacrificio serva a qualcosa e a primavera quando il sole tornerà a splendere uccidendo probabilmente il virus, noi saremo “contagiati” dalla bellezza di poter stare nuovamente affianco all’altro in una modalità che ad oggi ci è stata tolta.

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Io mi auguro che quei gesti naturali (la formalità di una stretta di mano, l’abbraccio, un bacio...), che ora da “regolamento” è meglio evitare, siano riammessi nei rapporti interpersonali con un’intensità maggiore, ad esprimere quanto ci sono mancate queste forme di comunicazioni e quanto ci sia mancato l’altro.

In un periodo in cui ci si muove nella direzione della comunicazione telematica sui social piuttosto che quella di persona e si preferisce persino conoscere le “amicizie” o il partner tramite dei siti appositi, il coronavirus sta sancendo la fine dei rapporti interpersonali “intimi”.

Io spero che da questa situazione ne uscirà un’Italia più forte, più pulita, ri-contagiata dai vecchi valori e capace di riscoprire la grande bellezza della comunicazione viso a viso a meno di un metro di distanza.

 

(articolo della Dottoressa Claudia Nissi, Psicologa Psicoterapeuta Insegnante)

 

 

 

 


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