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P. V.

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  1. P. V.

    Ansia sociale

    Ciao Chiara, comprendo la tua situazione perché sono il compagno di una ragazza con il tuo stesso problema, e mi sembra di sentire la stessa identica storia, quella nostra. Quando l'ho conosciuta aveva una cerchia strettissima di amici che dopo aver conosciuto me (senza però che io glielo avessi mai chiesto o preteso) ha abbandonato completamente. Anche io sono il suo perfetto opposto e ho cercato di farle in tutti questi anni da spalla per cercare di "farla aprire". Dopo anni ho capito che il modo in cui lo volevo io era quello più sbagliato possibile, purtroppo viviamo nella convinzione che la fobia sociale sia semplice timidezza e ci illudiamo di poter risolvere il tutto dicendo "vai apriti, non essere timida". Ancora oggi convive con questo problema e dopo aver lasciato la danza sembra essere diventato ancora più marcato, ma qualcosa per risolverlo lo stiamo facendo. Ti do pochi consigli: trova un bravo psicologo, lui sà come trattare il tuo problema, non ti affidare esclusivamente ad internet e credimi se ti dico che per quanto chi è intorno a te ti voglia bene molto probabilmente non è attrezzato per aiutarti. Lascia che il tuo ragazzo sia il "bastone" su cui tenerti in piedi, ma questo percorso devi intraprenderlo per te stessa; Nella tua vita quotidiana c'è sempre qualcosa che ti fa sentire bene anche nel momento in cui sei con gli altri. Non lasciare quelle attività, datti questo piccolo obiettivo come per la mia ragazza lo era la danza e quella specifica scuola in cui si sentiva "a casa". Per il resto fatti consigliare dal tuo psicologo che troverà la terapia adatta. Ricordati che non esiste una "cura" universale, aiutati trovando un bravo professionista; Esci con il tuo ragazzo, incontra i suoi amici, magari cerca solo di gestire i tempi. La miglior palestra per non sprofondare è farlo finché ci riesci. Uno dei consigli più importanti che ci dava il "nostro" psicologo era quello di provarci finché reggeva, più stai in casa e più ci vuoi stare. Ancora, vai dallo psicologo che ti da gli strumenti adeguati per gestire il problema; Essere "diversa" non ti rende stupida Un abbraccio
  2. P. V.

    Ciao a tutti

    Non so perché mi trovo a scrivere in questo spazio, è un periodo della mia vita in cui apparentemente dovrei essere felice, sto iniziando a ricostruire la mia vita mattone per mattone dopo che due anni fà mi è stata spazzata via da un ciclone. Ho ricominciato l'università, se tutto va bene tra due anni avrò una laurea magistrale e potrò lavorare, per fare cosa ancora non lo so, tantissime idee anche molto concrete ma non so se quello che potrei fare è quello che in realtà voglio fare. Le mie iniziali le vedete tutti, sono un ragazzo di 25 anni, vengo da una famiglia della "classe media". Mio padre, imprenditore, ha chiuso bottega 6 anni fà, fortunatamente non mi ha fa mancare niente ma da allora ho dovuto rimboccarmi le maniche per provare a sviluppare il mio "talento". Un tempo ero visto come un ragazzo iperattivo, ultra-creativo, non riuscivo mai a stare fermo o senza imparare qualcosa, ma il mio percorso scolastico ha annichilito ogni briciola di stimolo alla creatività e all'amore per il nuovo che mi era rimasto. Suonavo ed ho appeso lo strumento al chiodo, quando lo riprendo non riesco a fare più niente, è come se avessi toccato "la palla di Space-jam" e qualcosa mi avesse risucchiato via ogni stimolo creativo, zero. E così è da qualche anno che, non senza molta tristezza, abbraccio il percorso del conformismo, faccio ciò che è meglio per garantire una vita senza stenti per me e per la mia famiglia, cerco di sbarcare il lunario così ma, per ora, ancora da incompiuto. Ho fatto tutti i lavori possibili e immaginabili, mi danno tutti un certo grado di soddisfazione, ma non riesco ad adeguarmi alla "visione di gruppo", all'accettazione che gli interessi dell'azienda siano gli stessi miei. Tutti seguono quella scia, o fanno buon viso a cattivo gioco, a me interessano solo i soldi PER ME e l'idea di confrontarmi con chi è veramente "diverso", non riesco a conformarmi alla visione di gruppo, e anche questo mi crea molta frustrazione perché la diversità oggi sembra essere una metastasi. Insomma, non voglio essere diverso, non mi interessa più ma non riesco a non provare nausea quando tra colleghi si parla di "figa, auto, botte" in certi ambienti e di "fatturare, fatturare, fatturare" in altri. L'unica cosa che mi rende uguale agli altri è l'amore per il calcio, che a volte diventa quasi ossessione, se non fosse per quello probabilmente mi sentirei un emarginato sociale. Ho ricominciato a fare palestra visto che un'altra cosa che mi rende infelice è che dopo i 18 anni ho messo 20 chili. Non ho proprio idea di come abbia fatto a cadere così in basso, ci sono caduto e basta. Ero un bellissimo ragazzo e mi sono ritrovato improvvisamente ciccione e senza forze. Mi fa stare bene l'idea che stia facendo qualcosa per me stesso, non mi piace come la vita in palestra con le nuove mode sia completamente cambiata. Ma tengo duro e rigo dritto, voglio riprendere in mano la mia vita, sentirmi almeno bene con me stesso. Una cosa che mi faceva stare bene è la mia ragazza. E' terribile da dire, mi faceVA. Eravamo un'autentica coppia modello, ci siamo messi insieme quando io avevo appena 17 anni, è stata la prima e unica ragazza con cui ho fatto l'amore, abbiamo resistito a mille e mille difficoltà, tra cui la sua famiglia che ultimamente mi ha fatto passare la voglia di avere fiducia nell'umanità. Sua mamma è affetta da disturbo bipolare, suo padre è un pezzo di merda/parassita e odioso. Lei ha avuto un'infanzia terribile, la madre tentò il suicidio e lei assistette al tentativo, il padre per motivi di lavoro e per incapacità a fare il padre non ha mai saputo gestirla. E' sempre stata una ragazza problematica, introversa, con una fobia sociale fortissima, ma insieme ce l'avevamo fatta. Era entrata in una compagnia di danza molto importante, lei che non è riuscita neanche a diplomarsi a scuola aveva ottenuto un ingaggio che forse avrebbe potuto significare vendicarsi contro tutto ciò che aveva subito. Poi all'improvviso, quando tutto andava per il meglio, è successo il disastro. Ha iniziato a ricordarsi di cose che non erano mai accadute, autentici deliri psicotici. Il terrore che potesse essere lo stesso problema della madre. Fortunatamente siamo stati veloci a reagire, ma i deliri si moltiplicavano, e con quelli le sue fobie. Abbiamo scoperto che fosse psicotica. Questo è l'unico momento in cui parlerò in prima persona plurale, perché quando lei delirava c'ero io, a comprarle le medicine io, io ed ancora io. Le ho pagato il miglior neuro-psichiatra della mia città pur di farla guarire da quel male che l'aveva colpita, e ancora oggi non riesco a perdonarmi di quello che l'è successo, non so neanche io perché. Il padre? Inesistente. La madre? Non è capace neanche di badare a sé stessa. Una volta il padre fu capace di chiedermi se c'era la possibilità di "ambire" a una pensione d'accompagnamento per lei. Mi viene lo schifo solo a pensarci. Dopo due anni possiamo dire con ottimismo che ha quasi vinto la guerra, è stata bravissima e non ha mai smesso di credere in me ed in sè stessa. Abbiamo fatto quasi un miracolo perché molte persone che sono cadute in questa malattia non ne sono mai più uscite fuori. Eppure non riesco a sentirmi ancora del tutto felice, perché la nostra vita non è comunque più normale. Lei ha ancora i postumi, non riesce o non vuole trovare lavoro, se usciamo con gli amici dopo un'ora si sente stanca, si sveglia ogni giorno alle 13. Ho riflettuto spesso sul concetto di cosa fosse "normale" e se la normalità è qualcosa che realmente voglio, spesso mi trovo a pensare che preferisco avere una vita di merda piuttosto che lasciarla in quella casa, spesso penso che ormai non posso fare più niente per lei, e qualche volta, come in questo momento, dico solo "xxxxxxxxxxx tutti, me ne vado e ricomincio da capo la mia vita". C'è solo una cosa che mi rende veramente "felice". Non mi fraintendete per il collegamento all'ultima frase, leggete fino in fondo... ho una zia che ha un cancro, e le voglio un bene che non si può immaginare. Per mesi non ho avuto il coraggio di vederla o sentirla, dopo aver saputo che lei c'era rimasta male ho preso coraggio, le ho chiesto scusa e sono andato a trovarla. Fisicamente è più fragile ovviamente, ma non ha perso ancora i capelli nonostante le chemio, ma dentro è completamente cambiata. Quando la andai a trovare la prima volta ci volle un pò per "sciogliere il ghiaccio". Le dissi, come qui sto dicendo a voi, che mi stavo riprendendo da un periodo molto brutto, ma che ora mi sentivo meglio. Da quel punto ha iniziato a parlare solo lei, per un'ora, e io non ho detto più una parola. Ha demolito ogni singola mia convinzione, non ha smesso neanche un secondo di farmi capire quanto i miei problemi fossero delle idiozie totali rispetto al momento in cui sai che la tua vita è ad un passo dal finire. In molte cose, nei limiti del possibile, mi ci ritrovavo. E' diventata nichilista, e sono diventato così anch'io da quando ho iniziato a lottare per la vita della mia ragazza. Ha imparato tutte le nozioni mediche riferite al suo problema a memoria, si confronta ed ha gruppi di sostegno, come ne ho beneficiato anche io come "Caregiver". Ma sostanzialmente mi ha fatto sentire minuscolo di fronte all'unica cosa importante nella vita: la vita stessa. Uscito da casa sua era come aver fatto una terapia d'urto, ho pianto, tantissimo, e mi sono sentito stupido. Mi ha fatto capire quale sia il valore da dare al dolore, che ti fa riscoprire giorno dopo giorno quanto sei fortunato. E' così, prima che alla mia ragazza venisse quel problema pensavo che lavorare per pagarsi gli studi fosse una cosa insostenibile, oggi è la norma. E ogni sofferenza nuova ti fa scoprire quanto sia importante la vita, e già il solo fatto di esserci è qualcosa di meraviglioso. La vado a trovare ogni due settimane fisso, anche solo l'idea che c'è da potare le piante e posso essere d'aiuto mi rende felice, ricevendo in cambio ogni volta insegnamenti su quanto sia importante la vita. Aiutare lei mi fa sentire bene, ad esempio. Ma non riesco a spegnere quella voce che mi dice che io dovrei vivere come gli altri, o che gli altri siano più fortunati o che stiano meglio. Che dovrei fuggire dalle mie responsabilità, provare a ripendere la mia vita in mano. E il tempo che non si può fermare, vorrei solo un pò di tempo per capire quale deve essere la mia strada, se esiste un modo per pensare a me stesso e contemporaneamente amare tutto ciò che faccio anche se mi procura dolore, un dolore che a volte è insopportabile. Spero che con un vostro confronto possa avere un aiuto a trovare la mia strada, vi ringrazio se avete avuto al pazienza di leggere fino alla fine.
  3. P. V.

    Ciao a tutti

    Non so perché mi trovo a scrivere in questo spazio, è un periodo della mia vita in cui apparentemente dovrei essere felice, sto iniziando a ricostruire la mia vita mattone per mattone dopo che due anni fà mi è stata spazzata via da un ciclone. Ho ricominciato l'università, se tutto va bene tra due anni avrò una laurea magistrale e potrò lavorare, per fare cosa ancora non lo so, tantissime idee anche molto concrete ma non so se quello che potrei fare è quello che in realtà voglio fare. Le mie iniziali le vedete tutti, sono un ragazzo di 25 anni, vengo da una famiglia della "classe media". Mio padre, imprenditore, ha chiuso bottega 6 anni fà, fortunatamente non mi ha fa mancare niente ma da allora ho dovuto rimboccarmi le maniche per provare a sviluppare il mio "talento". Un tempo ero visto come un ragazzo iperattivo, ultra-creativo, non riuscivo mai a stare fermo o senza imparare qualcosa, ma il mio percorso scolastico ha annichilito ogni briciola di stimolo alla creatività e all'amore per il nuovo che mi era rimasto. Suonavo ed ho appeso lo strumento al chiodo, quando lo riprendo non riesco a fare più niente, è come se avessi toccato "la palla di Space-jam" e qualcosa mi avesse risucchiato via ogni stimolo creativo, zero. E così è da qualche anno che, non senza molta tristezza, abbraccio il percorso del conformismo, faccio ciò che è meglio per garantire una vita senza stenti per me e per la mia famiglia, cerco di sbarcare il lunario così ma, per ora, ancora da incompiuto. Ho fatto tutti i lavori possibili e immaginabili, mi danno tutti un certo grado di soddisfazione, ma non riesco ad adeguarmi alla "visione di gruppo", all'accettazione che gli interessi dell'azienda siano gli stessi miei. Tutti seguono quella scia, o fanno buon viso a cattivo gioco, a me interessano solo i soldi PER ME e l'idea di confrontarmi con chi è veramente "diverso", non riesco a conformarmi alla visione di gruppo, e anche questo mi crea molta frustrazione perché la diversità oggi sembra essere una metastasi. Insomma, non voglio essere diverso, non mi interessa più ma non riesco a non provare nausea quando tra colleghi si parla di "figa, auto, botte" in certi ambienti e di "fatturare, fatturare, fatturare" in altri. L'unica cosa che mi rende uguale agli altri è l'amore per il calcio, che a volte diventa quasi ossessione, se non fosse per quello probabilmente mi sentirei un emarginato sociale. Ho ricominciato a fare palestra visto che un'altra cosa che mi rende infelice è che dopo i 18 anni ho messo 20 chili. Non ho proprio idea di come abbia fatto a cadere così in basso, ci sono caduto e basta. Ero un bellissimo ragazzo e mi sono ritrovato improvvisamente ciccione e senza forze. Mi fa stare bene l'idea che stia facendo qualcosa per me stesso, non mi piace come la vita in palestra con le nuove mode sia completamente cambiata. Ma tengo duro e rigo dritto, voglio riprendere in mano la mia vita, sentirmi almeno bene con me stesso. Una cosa che mi faceva stare bene è la mia ragazza. E' terribile da dire, mi faceVA. Eravamo un'autentica coppia modello, ci siamo messi insieme quando io avevo appena 17 anni, è stata la prima e unica ragazza con cui ho fatto l'amore, abbiamo resistito a mille e mille difficoltà, tra cui la sua famiglia che ultimamente mi ha fatto passare la voglia di avere fiducia nell'umanità. Sua mamma è affetta da disturbo bipolare, suo padre è un pezzo di merda/parassita e odioso. Lei ha avuto un'infanzia terribile, la madre tentò il suicidio e lei assistette al tentativo, il padre per motivi di lavoro e per incapacità a fare il padre non ha mai saputo gestirla. E' sempre stata una ragazza problematica, introversa, con una fobia sociale fortissima, ma insieme ce l'avevamo fatta. Era entrata in una compagnia di danza molto importante, lei che non è riuscita neanche a diplomarsi a scuola aveva ottenuto un ingaggio che forse avrebbe potuto significare vendicarsi contro tutto ciò che aveva subito. Poi all'improvviso, quando tutto andava per il meglio, è successo il disastro. Ha iniziato a ricordarsi di cose che non erano mai accadute, autentici deliri psicotici. Il terrore che potesse essere lo stesso problema della madre. Fortunatamente siamo stati veloci a reagire, ma i deliri si moltiplicavano, e con quelli le sue fobie. Abbiamo scoperto che fosse psicotica. Questo è l'unico momento in cui parlerò in prima persona plurale, perché quando lei delirava c'ero io, a comprarle le medicine io, io ed ancora io. Le ho pagato il miglior neuro-psichiatra della mia città pur di farla guarire da quel male che l'aveva colpita, e ancora oggi non riesco a perdonarmi di quello che l'è successo, non so neanche io perché. Il padre? Inesistente. La madre? Non è capace neanche di badare a sé stessa. Una volta il padre fu capace di chiedermi se c'era la possibilità di "ambire" a una pensione d'accompagnamento per lei. Mi viene lo schifo solo a pensarci. Dopo due anni possiamo dire con ottimismo che ha quasi vinto la guerra, è stata bravissima e non ha mai smesso di credere in me ed in sè stessa. Abbiamo fatto quasi un miracolo perché molte persone che sono cadute in questa malattia non ne sono mai più uscite fuori. Eppure non riesco a sentirmi ancora del tutto felice, perché la nostra vita non è comunque più normale. Lei ha ancora i postumi, non riesce o non vuole trovare lavoro, se usciamo con gli amici dopo un'ora si sente stanca, si sveglia ogni giorno alle 13. Ho riflettuto spesso sul concetto di cosa fosse "normale" e se la normalità è qualcosa che realmente voglio, spesso mi trovo a pensare che preferisco avere una vita di merda piuttosto che lasciarla in quella casa, spesso penso che ormai non posso fare più niente per lei, e qualche volta, come in questo momento, dico solo "xxxxxxxxxxx tutti, me ne vado e ricomincio da capo la mia vita". C'è solo una cosa che mi rende veramente "felice". Non mi fraintendete per il collegamento all'ultima frase, leggete fino in fondo... ho una zia che ha un cancro, e le voglio un bene che non si può immaginare. Per mesi non ho avuto il coraggio di vederla o sentirla, dopo aver saputo che lei c'era rimasta male ho preso coraggio, le ho chiesto scusa e sono andato a trovarla. Fisicamente è più fragile ovviamente, ma non ha perso ancora i capelli nonostante le chemio, ma dentro è completamente cambiata. Quando la andai a trovare la prima volta ci volle un pò per "sciogliere il ghiaccio". Le dissi, come qui sto dicendo a voi, che mi stavo riprendendo da un periodo molto brutto, ma che ora mi sentivo meglio. Da quel punto ha iniziato a parlare solo lei, per un'ora, e io non ho detto più una parola. Ha demolito ogni singola mia convinzione, non ha smesso neanche un secondo di farmi capire quanto i miei problemi fossero delle idiozie totali rispetto al momento in cui sai che la tua vita è ad un passo dal finire. In molte cose, nei limiti del possibile, mi ci ritrovavo. E' diventata nichilista, e sono diventato così anch'io da quando ho iniziato a lottare per la vita della mia ragazza. Ha imparato tutte le nozioni mediche riferite al suo problema a memoria, si confronta ed ha gruppi di sostegno, come ne ho beneficiato anche io come "Caregiver". Ma sostanzialmente mi ha fatto sentire minuscolo di fronte all'unica cosa importante nella vita: la vita stessa. Uscito da casa sua era come aver fatto una terapia d'urto, ho pianto, tantissimo, e mi sono sentito stupido. Mi ha fatto capire quale sia il valore da dare al dolore, che ti fa riscoprire giorno dopo giorno quanto sei fortunato. E' così, prima che alla mia ragazza venisse quel problema pensavo che lavorare per pagarsi gli studi fosse una cosa insostenibile, oggi è la norma. E ogni sofferenza nuova ti fa scoprire quanto sia importante la vita, e già il solo fatto di esserci è qualcosa di meraviglioso. La vado a trovare ogni due settimane fisso, anche solo l'idea che c'è da potare le piante e posso essere d'aiuto mi rende felice, ricevendo in cambio ogni volta insegnamenti su quanto sia importante la vita. Aiutare lei mi fa sentire bene, ad esempio. Ma non riesco a spegnere quella voce che mi dice che io dovrei vivere come gli altri, o che gli altri siano più fortunati o che stiano meglio. Che dovrei fuggire dalle mie responsabilità, provare a ripendere la mia vita in mano. E il tempo che non si può fermare, vorrei solo un pò di tempo per capire quale deve essere la mia strada, se esiste un modo per pensare a me stesso e contemporaneamente amare tutto ciò che faccio anche se mi procura dolore, un dolore che a volte è insopportabile. Spero che con un vostro confronto possa avere un aiuto a trovare la mia strada, vi ringrazio se avete avuto al pazienza di leggere fino alla fine.
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