Vai al contenuto

ilaria

Membri
  • Numero di messaggi

    2363
  • Registrato dal

  • Ultima visita

Contenuti inseriti da ilaria

  1. fonte "Da giovane mi sentivo il brutto anatroccolo, né bella, né intelligente, né spiritosa. Pensavo di non valere niente e mi dicevo che la vita mi apriva dinanzi delle pagine bianche sulle quali non sarei mai riuscita a scrivere nulla. Solo lentamente - prosegue - sono riuscita a liberarmi da questo senso di inferiorità, dovuto a temperamento e situazioni esterne, mai trasformatosi però in un senso di superiorità rispetto agli altri. Semmai ero in 'pareggio." "La fine logicamente sarà prossima - dice la scienziata - ma gli anni non contano e, soprattutto, non bisogna temere i momenti difficili, perché è da quelli che viene il meglio. Io ad esempio - prosegue - dovrei ringraziare Mussolini e Hitler per avermi dichiarato 'razza inferiore'; questo mi ha spinto a lavorare e impegnarmi ancora di più" "Non conta il giorno della morte - dice - ma come siamo vissuti e quello che lasciamo dopo di noi". Ancora un sorriso ed un'ultima battuta prima di congedarsi: Muore il corpo, non quello che ciascuno di noi ha fatto".
  2. Vi riporto una roba che ho letto di recente che a me sembra interessante soprattutto per chi come Elli ed Euridice ritiene il proprio rapporto con l'analista una cosa da 50 minuti o altra rispetto alla sua vita. Jung sostiene che l'analista sia in analisi insieme al paziente; le sue personali ferite, quelle che lo hanno motivato alla professione di analista, sono in gioco nella relazione con il paziente tanto quanto le ferite di quest'ultimo: forse è questo incontro di sofferenze che rende unica la relazione, la rende così intima e importante. E dà un senso alla corrente affettiva che si stabilisce. "Le ferite aperte dell'analista hanno un continuo bisogno di essere alimentate, e questa trasfusione di sangue può avvenire solo nel rapporto con il paziente.E' questo il motivo per cui un analista può lavorare tanto, perchè ha un continuo bisogno di ricevere e di dare e solo così si può sentire veramente significativo" "Cosa fare degli affetti che vengono attivati? E' una delle questioni più scabrose della moderna psicoanalisi: vanno vissuti o vanno interpretati? La soluzione più semplice escontata è l'interpretazione, vale a dire si restituisce al apziente il proprio vissuto ricollocandolo nel suo legittimo pssato.Tuttavia esistono altre possibilità. [...]Nell'istante in si accetta un paziente in analisi si attua una scelta positiva nei suoi confronti, fornendo sin dall'inizio un sentimento gratificante. Ciò che fa di un'analisi una buona analisi non è l'intelligenza o la "buona volontà" del paziente, ma l'investimento che l'analista riesce ad attuare nei suoi confronti.Investire significa dirigere un fascio di energia psichica verso un oggetto.[..] Senza un intenso investimento emotivo non può instaurarsi un adeguato rapporto terapeutico; e perchè un analista possa investire la propria energia psichica su una certa persona bisogna che questa relazione sia gratificante: è necessario che l'analista investa affettivamente il proprio paziente, ossia entri in rapporto con lui non per un senso del dovere professionale o perchè ne riceve compensi, bensì perchè quella persona lo gratifica per qualche aspetto.La professione dell'analista ha significato in quanto si fonda su particolari motivazioni endogene. [..] Il comportamento umano è motivato ma esistono motivazioni autentiche e motivazioni di copertura.Affermare che si lavora per il bene degli altri è in genere una menzogna.Più relistcamente bisogna ammettere che le motivazioni vere sono meno idealistiche e più personali e rispondono a esigenze interne profondissime." Aldo Carotenuto, La nostalgia della memoria
  3. non c'è niente di anomalo soprattuto a considerare che per alcune persone in certi periodi la frequenza settimanale delle sedute è davvero insufficiente..
  4. News dalla sala d'aspetto della mia analista. Oggi vado mi chiudo e aspetto.Dopo poco esce la pz precedente (non era la "preferita" ma un'altra) e suona inopinatamente il campanello ..entra un vocione da idraulico che la mia analista conduce nel bagno adiacente alla saletta d'aspetto e con il quale si mette a disquisire di un guasto al wc dovuto a certe cartacce che qualcuno c'ha buttato dentro. Mi sono sentita così sollevata e protetta dalla mia corazza difensiva che oltre a impedirmi di levarmi il cappotto e di chiedere di andare in bagno mi ha resa d'un botto,in un momento critico,la "paziente al di sopra di ogni sospetto". Eheheh ...care le mie incontinenti, capito che rischi correte? Comunque la seduta è stata bella e un po' più lunga del solito... e congedandomi mi ha detto "s'è fatto tardi anche se io avrei continuato ancora"..e per me frasi come questa sono come pane per gli affamati. Tutto è ruotato attorno a un sogno nel quale io mi trovavo a dover scendere una scala bianca che portava giù giù verso un mare limpido verde di una tonalità che andava scurendosi verso il centro dove maggiore era la profondità; avevo timore di precipitare dall'altezza della scala ma una volta preso a scendere gradino dopo gradino mi rendevo conto che era più facile di quanto immaginassi.. scendere in profondità dentro di sè mi fa paura a considerarlo da una certa distanza ma poi si potrebbe rivelare più facile di quel che sembra...da qui un' ora e mezzo di seduta con quella dottoressina partecipe e vibrante..a sabato la prossima.
  5. zì, ci sono affezionata e non la cambierei per niente al mondo...
  6. La mia analista continua ad andare in analisi da quello che lei chiama "il suo maestro".. e, ovviamente, si è sottoposta per anni a quello che lei chiama (!) il "torchio" dell'analisi. Ne ho l'impressione di una persona "profonda" , semplice, è scarruffata, distratta, è tutt'altro che perfettina: dice le parolacce, è sprezzante dei conformismi, non se la tira nemmeno un po', si abbandona a grasse risate, posso trovarla con gli occhi gonfi per la seduta precedente.. e a me piace tanto così com'è.. Mi ha detto che nonostante gli anni di lavoro su di sè , a scalare la montagna si arriva sempre a vedere qualcosa che prima non si era visto, di cui nemmeno si sospettava l'esistenza, dice che le scoperte che si fanno su di sè sono infinite e sembra quasi di essere sempre all'inizio ..
  7. è così che succede.. leggendoti pensavo che forse tutti abbiamo "un sogno nel cassetto", qualcosa che simboleggia la realizzazione di sè, l'appagamento dei desideri..per me era una cosa, per te un'altra.. io pure vivo la frustrazione di non aver conseguito gli obiettivi che mi ero prefissata e a lungo ho ritenuto una "parentesi" la vita reale che mi trovo a vivere, come se io ci fossi dentro di passaggio, momentaneamente...in attesa che quella vera si concretizzi, e allora i conti torneranno e io mi sentirò realmente me stessa. Poi succede che la vita vera mette a dura prova e non consente distrazioni, anzi butta in faccia spietatamente tutte le difficoltà personali irrisolte...io sono arrivata a pensare di non essere riuscita a realizzare i miei progetti perchè volevo prendere una scorciatoia, volevo glissare quelle difficoltà e puntare subito al risultato finale. Invece occorre che io mi sporchi le mani, faccia i conti con queste melme che frenano ,..solo poi,forse, avrò energie a disposizione per cambiare scenario...ma magari, allora, avrò altri investimenti da fare. Inzomma quello che mi senbto di dirti è che se non ti sei laureata invece di stare lì a massacrarti, come dice priscilla, "perdonati", accogli questo dato e comprendi che vuole dirti..senso di inadeguatezza, paura del fallimento, motivazione, sopravvalutazione delle difficoltà ecc.... e poi, abbi tenerezza per quell'aspetto fragile di te invece di farlo nero un abbraccio!!
  8. credo di aver capito e trovo che tu abbia ragione, poi del resto è questo il tuo bisogno...
  9. Sì, è vero quello che dici. Io lo sento che c'è qualche cosa "di nostro" tra me e la mia analista. Ma io ho timore di me stessa e, per come è andata l'analisi finora, ho ragione d'averne: se non si abbassano le resistenze e le difese non si dà accesso nè a se stessi nè all'analista rispetto al proprio mondo interno e questo comporta il rischio di affossare l'analisi. Poi c'è il fatto che gli psi son pur sempre umani e noi umani funzioniamo meglio e ci motiviamo di più se riceviamo uno straccio di riconoscimento e di gratificazione dalle cose che facciamo. Quanto all' "indice di come funziono"...anche questo è vero.. Euridice, io credo che tu possa diventare una brava psicoanalista: stai qui tra noi paziente al 100%, non te la tiri a quella che studia psi per dispensare pillole di sapienza.. poi Woody Allen docet...a esser bravi si può tirar su una fortuna dalle nostre nevrosi
  10. Ma tu non hai cose della vita quotidiana di cui senti la necessità di parlare con lui? Delle difficoltà che non riesci a gestire e che hai bisogno di capire? Io ne ho molte, soprattutto di lavoro, ahimè...anzi di questo me ne sono fatta molto un cruccio ma lei ritiene che sono cose importanti e ci insiste parecchio: per me a volte sono pressanti, a volte meno e vorrei virare verso altro.. Oltre alla vita quotidiana,poi, ci sono i sogni.
  11. ho tolto le festività comandate dal mio calendario...è stata dura ma si può fare! più che la Pasqua odio la migrazione di massa del lunedì: me ne andrei volentieri al mare ma c'è il mondo, e sembrerebbe di essere al mercato nell'ora di punta...
  12. sì, di queste cose bisognerebbe discuterne con l'analista...dico bisognerebbe perchè non sempre è facile. nel caso specifico non mi va di entrare in merito alle sue emozioni verso un'altra paziente, sono fattacci suoi, loro...mi sembrerebbe di essere davvero intrusiva ed invadente.. mi sembrerebbe di avanzare una richiesta, ma è impossibile chiedere quando si tratta di emozioni, di sentimenti.. il pensiero immediato che ho avuto quando ho sentito quel saluto affettuoso, "sentito" tra la mia analista e la paziente è stato: quella è una relazione veramente curativa, lì si guarisce... io ho invidiato l'affidarsi reciproco, l'abbandonarsi in un affetto che contiene e che protegge grazie al quale è possibile dire tutto, affrontare tutto, seriamente; la fiducia della paziente di poter confidarsi e di ricevere "le cure " la serenità dell'analista di sapere che il proprio intervento "lavora" sulla sua paziente grazie a quella fiducia. In definitiva quello che a me è balzato subito agli occhi è l'efficacia terapeutica di una relazione basata su una partecipazione così sentita delle due parti in causa.. tempo fa si è parlato del transfert come condizione ottimale per il funzionamento dell'analisi discutendo della sua necessità o meno; bene ora mi pare di capire meglio qual è la posta in gioco, penso di aver sperimentato tutte le conseguenze del transfert negativo. Dico che la cosa mi ha fatto male ma non malissimo perchè ho presente la parte giocata con me dall'analista e questo m'infonde una speranza di andare oltre il punto nel quale sto. Ho ripensato in questi giorni alle sedute e ho riletto delle cose su di lei e tra i discorsi ho rintracciato un filo: bene io sono partita diffidente, ho cercato conferme alla mia diffidenza, ho nutrito risentimento e avversione senza mai esplicitarli, l'ho messa in discussione, una volta, criticando un intero anno d'analisi come inutile...certo non solo questo e non sempre questo...ma scorre anche questa venatura aspra insieme al resto.Che posso pretendere? Però è comunque utile essere consapevoli di questo, per questo dico che quella conversazione "rubata" è un ottimo spunto, non tanto per struggere d'invidia, quanto per "relativizzare" la mia relazione con lei, e riconoscere che se è diversa è perchè io ci metto dentro temi miei, anche bruttacchiotti parecchio: questo mi fa anche pensare a come siano poco attendibili le descrizioni che noi facciamo dei nostri psi,e come uno stesso psi che un pz svilisce come incompetente, non professionale, per esempio, possa essere il non plus ultra per un' altro pz. E comunque in qualche modo sta faccenda la devo affrontare con lei, come dici tu judi, perchè altrimenti cristallizzo l'abitudine a non dire, tacere, omettere, falsificando il rapporto che lei, poi, siccome non è fessa, riconduce alla genuinità ma senza la mia spontanea attiva collaborazione.
  13. non lo so, ma non credo: io sono due anni e mezzo che vado.. a riguardo della noia, gliel'ho proprio detto: " mi dispiace 'doverla intrattenere con queste amenità'" ..e lei ha detto, spicciando il discorso rapidamente che erano cose importanti per il lavoro che si fa lì...
  14. Già, è Pasqua: auguri a tutti!!!
  15. Io credo che ogni emozione abbia la sua dignità di essere sentita, accolta con umiltà, da chi la prova, per quello che è e per il contributo di senso che può dare rispetto alla propria storia.
  16. in ogni caso ogni terapeuta non è che ha 100 pazienti, sì e no ne ha 8/9 ..credo di aver letto così da qualche parte...
  17. Nel mio caso io credo che la dottoressa rispetti la mia distanza, lei sta molto attenta a non essere intrusiva, invadente, sta dove la metto io...ciò non toglie che dei tentativi di avvicinamento li abbia comunque fatti ....
  18. Anch'io penso che ogni rapporto sia unico, ma penso anche che il coinvolgimento la partecipazione emotiva può essere, a seconda dei casi, maggiore o minore..Quali scorte d'affetto avrebbero, altrimenti, sti psi?
  19. Grazie se riesco a mettere a fuoco poi cerco di dire meglio perchè ci sono rimasta male ma non ci sono rimasta malissimo...anzi è stata un po' una bomba che ha fatto esplodere i sentimenti reali che io provo verso di lei e che la collera rancorosa che mi opprime come il gelo dell'argomento preminente dei nostri incontri (il lavoro ) hanno seppellito...
  20. Guarda è difficile da raccontare, io poi a raccontare le emozioni sono un disastro. Io l'ho presa male ma non malissimo, ecco. Però lei mi sta venendo incontro, per quello che io lo consento...le fa quel che può ...ha parlato di transfert, mi ha riproposto la doppia seduta ( che io ho acchiappato al volo)...certo si muove verso di me dal punto nel quale io l'ho messa...e forse altri "accorciano le distanze" con maggiore facilità.. so che mi devo decidere, o abbasso la corazza e bando alle timidezze decido di aprirle un varco o sennò è un po' stupido che io rimanga asserragliata dentro me stessa, ingrugnita, implorando aperture e affetto.. è che non so come fare i conti con il fatto di essere in un posto x di un'ipotetica graduatoria la cui vetta è occupata da altri.. certo è che, come dici tu, è difficile parlarne, anche se sarebbe forse utile a me per elaborare la mia sindrome da esclusione, a lei per darsi una regolata con la "pulizia del setting"..anche se, in definitiva, è meglio conoscere la verità.. è che quando si pensa al rapporto analista-paziente, quando se ne legge e se ne parla, si tende sempre a mettere se stessi al centro di una relazione duale UNICA, a pensarsi uniti con il proprio analista da un legame iripetibile, invece il loro è un affetto prodotto in serie graduate per intensità... forse non ci sono rimasta malissimo perchè nutro la speranza, o forse perchè mi sono difesa mica a caso!!
  21. io nessun balsamo..ahimè racconto della mia gelosia..."analitica": in un periodo un po' bruttarello durante il quale le sedute stentavano a decollare perchè i silenzi iniziali erano lunghissimi vado alla seduta, mi siedo sulla poltroncina e scorgo in bella mostra due tazze: si gozzovigliava con il paziente precedente prima che calasse l'austerity col mio arrivo.... ho sgamato la paziente preferita, che ovviamente non sono io: l'ho sgamata perchè, nella saletta d'aspetto, dentro la quale io mi chiudo per non essere indiscreta, giungono comunque i rumori del corridoio.E sento i toni di voce, quando non addirittura le parole che si scambiano l'analista e il pz mentre si congedano . Con una in particolare la mia analista è affettuosa, le dà il tu, le fa i complimenti e le dà il bacino di saluto; si sente dal tono della voce e dal trasporto che è toccata nel profondo del cuore da quella ragazza. L'ultima volta ho sentito proprio tutto l'affetto di uno scambio veloce di saluti e di auguri. E quell'affetto lei per me non ce l'ha ed è fuori dubbio. Io coi miei cappotti abbottonati, coi miei silenzi, con il mio eterno risentimento verso il mondo faccio assai meno tenerezza.. Antiche fantasie di esclusione riaffiorano..però non l'ho presa malissimo, tuttosommato...è pur sempre uno spunto...
  22. Ho sul comodino due libri sul rapporto tra l'uomo e il cane: John Fante, Il mio cane stupido, in A ovest di Roma "Era più vicino a Dio di quanto io non sarei mai stato, non sapeva leggere nè scrivere, ma andava bene anche così.Era un disadattato e io ero un disadattato.Io avevo combattuto e avevo perso, lui avrebbe combattuto e vinto" Sono Henri Molise e Stupido - uno scrittore e un cane - i protagoniosti de "Il mio cane Stupido" che , assieme, al racconto "L'orgia", fanno di "A ovest di Roma" uno dei capolavori di John Fante e uno dei suoi libri più amati. Una frase: "Se uscivo la notte con la mia pipa e spostavo il mio sguardo da Stupido alle stelle, vedevo una connessione. Quel cane mi piaceva. " Asor Rosa, Storie di animali e altri viventi dal risvolto di copertina: "Il cane, il gatto, io e te. Questa che ci racconta Asor Rosa è un'arca di Noè in formato domestico. Un quartiere di voci che si fondono armoncamente senza solisti.Quattro vite che si compenetrano nei piccoli gesti quotidiani e nelle più complesse strategie relazionali. Perchè un gatto più un uomo più una donna pù un cane femmina non fanno solo quattro persone intelligenti e affettivamente predisposte. Fanno un gruppo straordinario,un'entità in grado di intuire qualche briciola di realtà profonda, di condividere ritmi e cicli dell'universo."
×
×
  • Crea nuovo/a...

Informazione importante

Navigando questo sito accetti le nostre politiche di Politica sulla Privacy.