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muchachaenlaventana

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  1. Ciao Ilaria, volevo ringraziarti per la calma con cui hai espresso il tuo dissenso. Qualcuno avrebbe anche potuto mandarmi a quel paese :-) Buona giornata

  2. Ciao Trixy, volevo ricambiare la tua buonanotte ma la risposta è finita nel mio profilo. Beata imbranataggine...

    Allora buona giornata a te :-)

  3. Sì Ilaria, hai ragione e mi scuso con tutti per la mia veemenza, solo che... se tu sapessi il male che fanno gli incoraggiamenti alla forza d'animo. E che, uno mica lo fa apposta a soffrire Ti giuro, uno apprezza le buone intenzioni ma finisce col sentirsi un'emerita <...>, che spero non sia il caso del nostro Sassofonista. E come cadono nel vuoto le parole positive Ti giuro, sono stata male tutta la notte a pensare a Sax, a come in fondo sia incompreso il suo malessere e a come mi sia sentita sola io alla sua età o giù di lì. Un abbraccio a tutti e un grazie a nome della "categoria"
  4. Buona notte Sassofonista. Spero di non essere stata troppo dura con te, ma credimi, so di cosa parli. Un abbraccio

  5. Non devi andartene: tanti ti hanno risposto e accolto positivamente. Ma sicuramente fai bene a chiedere consiglio allo psicologo. Fallo per tutti quelli che ti hanno dedicato del tempo, vuoi?
  6. Appunto. È tipico del depresso rifiutare qualsiasi soluzione. Cosa c'è che possa deprimerti ancora di più? Puoi parlare con i tuoi genitori di questo tuo disagio? Hai un medico di famiglia che possa indirizzarti a uno specialista? Prevedo risposte negative. Caro Sax, sei giovane e hai una vita davanti. Se solo potessi immaginare quanto siano reali le prospettive di guarire. Guarda, non è difficile: l'unico sforzo di volontà che ti è richiesto è affidarti alle cure di un medico, al resto penserà lui.
  7. Ilaria, sono d'accordo con te che più o meno tutti qua dentro soffrano di qualche malessere. Ma malessere non è depressione. La depressione è _Depressione_: è una malattia ben precisa con cause neurobiologiche accertate, e non è un dibattito aperto, è scienza. Certo che lui si è affacciato qui alla ricerca di un aiuto: non sa che la sua condizione è una patologia. Ma non siamo le persone adatte ad aiutarlo, e fargli credere in buona fede che con un po' di buona volontà si possa risolvere tutto può soltanto peggiorare la sua situazione. Forse per qualcuno funziona, ma se è per questo c'è anche chi sostiene di essere guarito dal cancro grazie alla fede e alla forza di volontà: buon per loro. Sassofonista: ti senti meglio dopo tutte le risposte che hai ricevuto?
  8. se può consolarti, prima della Grande Crisi anch'io mi sono sempre sentita un po' inadeguata nei rapporti con gli altri. Verdetto dello psichiatra: insicurezza da depressione latente. Ad ogni modo anche "non avere amici come tutti quelli della tua età" può essere un valido motivo per rivolgersi quanto meno a uno psicologo e chiederli il perché, non credi? Non ho consigli da darti perché, se sei depresso, so che nessuna proposta ti sembrerà accettabile, e se sei depresso lo sai anche tu. Ti dico anche questo: alla gente "normale" non piacciono i depressi perché sono considerati lamentosi e colpevoli della propria condizione ("Fatti coraggio, mettici un po' di forza di volontà": non ti sembra implicitamente un'accusa?) Se sei stanco di cadere, prima di fare del male a te stesso e a chi ti vuole bene, prova a consultare una persona competente: che ti costa?
  9. muchachaenlaventana

    Su Sassofonista

    Ragazzi, scusate, capisco la buona volontà di tutti nel cercare di tirare su il morale a questo ragazzo, ma se davvero sta così male come dice è depresso. Qualcuno di voi ha un'esperienza diretta di depressione? Sulla propria pelle? Parlo di Depressione, non di generica malinconia. La depressione è una brutta bestia perché chi non l'ha provata non ne capisce l'entità, non ne capisce le motivazioni, semplicemente non la capisce. È una brutta bestia perché è subdola, uccide la forza di volontà e la voglia di vivere. È una brutta bestia perché chi ne soffre non sa di avere una malattia curabile, e in ogni caso non ha alcun desiderio di curarsi. È terribile perché tutti cercano di tirarti su il morale, ti incitano a farti forza, a dedicarti a un hobby, a uscire e farti degli amici, facendoti sentire ancora più inadeguato e disperato. Ma non si è depressi perché si è soli: si è soli perché si è depressi. Un depresso non cerca di uccidersi nella fase acuta della malattia ma nel momento in cui sente di stare appena un po' meglio, perché solo allora recupera quel minimo di forza di volontà che serve per porre fine alla sofferenza. È per questo che una terapia farmacologica deve essere prescritta da uno psichiatra e non da un medico generico, e che nella fase iniziale della cura il depresso viene tenuto costantemente sotto controllo. Perché è la fase più delicata della terapia. La depressione non si cura con le parole: si cura con i farmaci. Poi può seguire una psicoterapia che corregge i problemi comportamentali innescati inevitabilmente dalla depressione soprattutto se insorta in età precoce. Quindi è inutile, e può essere addirittura controproducente, parlargli e dargli consigli. Non chiedetegli cos'è che lo fa stare così male: non lo sa, semplicemente perché il suo malessere non dipende da cause contingenti ma biochimiche. E se non sei uno psichiatra non puoi saperlo. Lo dico con il cuore in mano: se volete dargli un consiglio, invitatelo a rivolgersi a uno psichiatra. È l'unico che possa aiutarlo. A me nessuno l'ha consigliato. Quando l'ho capito avevo già sprecato 20 anni di vita.
  10. Davvero ci hai provato? Di solito, chi viene salvato da un tentativo di suicidio viene portato in ospedale per le cure del caso. Una volta curate le ferite del corpo ti trasferiscono direttamente nel reparto di psichiatria, dove ti prescrivono una bella cura farmacologica ed eventualmente una psicoterapia. E da lì si rinasce. Vuoi sapere come lo so?
  11. E ti pare poco? È il primo passo per qualsiasi altro progetto di vita.
  12. Non credere a chi ti dice di farti forza, che con la volontà si può cambiare. Quello di cui soffri si chiama depressione: è una malattia riconosciuta e una cura adeguata fa miracoli, quindi "farla finita" sarebbe come uccidersi perché si ha il raffreddore. Ne vale la pena?
  13. Brava, così prendi due piccioni con una fava: parli con i tuoi genitori del problema e, al tempo stesso, con due persone del settore. Facci sapere. Se due psichiatri sconsigliano alla propria figlia di assumere psicofarmaci perché è robaccia, allora posso anche spararmi
  14. Confermo tutto, dalla definizione di toscanaccia alla difficoltà a parlare con lo/la psycho. Anch'io faccio uscire determinati aspetti con alcune persone e altri con altre: quello che mi aspetto dalla terapia è di diventare più versatile, più o meno come lo sono i nostri terapisti, in grado di trattare un po' con tutti senza grossi problemi, che per ora è un obiettivo che vedo solo col cannocchiale. È vero che la personalità del terapeuta in qualche modo ci influenza nella scelta degli argomenti da trattare, ma da qualche parte si deve cominciare e da qualche parte si arriverà. Del resto il rapporto con il terapeuta riflette le dinamiche delle nostre relazioni con gli altri, quindi dei diverbi, discordanze del sentire, malcontenti, devono per forza venir fuori. L'importante è non attribuire al terapeuta la colpa di un aspetto che non ti piace, ma cercare di capire perché _tu_ non sei in grado di gestire quell'aspetto con equilibrio. Parlarne... beh, purtroppo il mezzo è quello
  15. Vedi, la tua fiducia vacilla, quindi l'alleanza terapeutica è andata al creatore. Non mi intendo di disturbi alimentari se non dei miei che erano una conseguenza della depressione. Non sono in grado di dirti se costituiscano la soluzione per il tuo problema, so solo che potrebbero aiutare se il tuo problema ha altre cause scatenanti. Gli psicofarmaci moderni non sono più quelle martellate di un tempo che, per lenire un sintomo, ottundevano tutte le facoltà mentali e davano sonnolenza. A me non hanno neanche dato dipendenza, tanto che spesso mi dimentico di prenderli e l'obiettivo è comunque di smettere appena possibile. Mi dico comunque che, se anche dovessi prenderli a vita, poco importa perché finalmente sto bene. Un malato di diabete ha bisogno dell'insulina, c'è poco da fare: sarà una seccatura, ma è l'unico mezzo per condurre una vita normale. L'unica cosa che puoi fare è chiedere a una persona competente (non a noi che conosciamo solo le nostre esperienze specifiche), dopodiché la scelta resta solo tua, sempre che rappresentino una soluzione e io non mi sia presa un abbaglio. Nessuno ti obbligherà mai a prendere farmaci se non li vuoi. Ma informarti costa solo la parcella dello psichiatra, e potresti anche pentirti di non averci pensato prima
  16. Non dispiacerti, Trixy: la discussione è nata perché l'argomento interessa e ciascuno ha la sua visione del problema. Io penso questo: anche un terapeuta è un essere umano con le proprie debolezze. Neanche per loro è facile ammettere un insuccesso. E nel caso vostro, la sua terapia non ha avuto il successo sperato né lui è in grado di aiutarti _come vorresti tu_. Per quanto lo riguarda, sei pronta = puoi andare. Dove, sta a te deciderlo. Lui non può dirtelo perché per lui non hai bisogno d'altro se non di cambiare stile di vita. A mio modesto parere il capitolo con il tuo attuale terapeuta è concluso. Tocca a te decidere se mettere in pratica il suo consiglio oppure rivolgerti a qualcun altro. Vai stellina, prendi il coraggio a due mani e vedi un po' cosa puoi fare, ma non contare più su di lui.
  17. O ancora "con gli strumenti che Trixy ha adesso a disposizione _secondo me_ può fare ciò che le serve per superare la difficoltà". Ma un terapeuta non è onnipotente né una terapia è altrettanto valida per tutti. È qui il punto. Trixy si è staccata per un po' ed è riuscita a muoversi con le proprie gambe, in altri termini: la volontà ce l'ha messa, ma evidentemente non è stato sufficiente. Se Trixy sente di aver bisogno di lui e lui non è in grado di aiutarla, è chiaro che deve rivolgersi a qualcun altro. Se io voglio comprare uno scooter è inutile che mi rivolga a un biciclettaio: lui può darmi le ruote ma il motore devo cercarlo da un'altra parte, e a nulla serve che lui mi dica che posso benissimo pedalare, no? Se lei non si sente pronta - e ricordo a costo di essere pedante che in passato si è sentita pronta ed è stata capace di spiccare il volo - può voler dire solo una cosa: non è pronta. Se il problema è di dipendenza, e se è un problema tale da impedirle il distacco, va affrontato anche quello ma la sola volontà non basta.
  18. Allora mi arrendo Ma mi riprendo subito Se dici che non parli con i tuoi genitori, per lo più qualificati, di questo tuo problema che certo non è da sottovalutare, significa che non hai un rapporto molto aperto con loro e che probabilmente non ti fidi pienamente di loro e di conseguenza dei loro metodi. Lungi da me l'idea di convincerti a fare qualcosa che non desideri, mi limito a raccontarti la mia esperienza. Soffro - o forse devo dire "soffrivo - di depressione più o meno dall'età dell'adolescenza, con tutti i problemi che ciò ha comportato sul mio carattere. Per ignoranza prima, per resistenze e pregiudizi poi, ci ho messo quasi 20 anni a rivolgermi a un bravo psichiatra che, con i soli psicofarmaci, mi ha letteralmente rimessa al mondo: e nota bene, avevo un fidanzato, un appartamento dove vivevo sola e poi con la mia dolce metà, e un lavoro che mi piaceva. Ma non era vita. Sono stata ottimamente per qualche anno, mi sono sposata e ho avuto due bambini. Per vari motivi ho avuto una ricaduta e ho sono passata a un nuovo psichiatra che non sapevo fosse anche psicoterapeuta (non avevo fiducia nella psicoterapia e non prevedevo di sottopormici). Insieme abbiamo intrapreso questo tentativo che mi sta dando tante soddisfazioni, concordando però di proseguire la terapia farmacologica, perché in attesa del cambiamento profondo dovevo pur vivere. Pur con i tanti grattacapi del transfert, non finirò mai di ringraziarlo per quello che sta facendo per me. Morale: per quel poco che ho capito, e almeno per il caso che mi riguarda, i farmaci da soli servono a curare i sintomi immediati. Da soli costituiscono solo un palliativo e un pretesto per non affrontare il problema. La psicoterapia da sola (e ripeto: almeno nel mio caso) sarebbe stata un lavoro troppo lungo che mi avrebbe solo sfiduciato aumentando il problema. Farmaci + psicoterapia = intervento completo. C'è chi ce la fa con i soli farmaci, chi supera i problemi con la sola psicoterapia. Io so solo che purtroppo ho sprecato 20 anni - praticamente la mia gioventù - e non rimpiangerò mai abbastanza il tempo perduto. Se pensi che il tuo attuale terapeuta non sia più in grado di aiutarti, il mio consiglio è: rivolgiti a uno psichiatra qualificato come psicoterapeuta e senti cosa ti propone, esponendogli eventualmente i tuoi dubbi rispetto ai farmaci. Un bacio
  19. Ciao Trixy, ho ripensato al tuo post nel frattempo e mi è rimasta impressa la frase che ho citato: per me, tradotto in altre parole, significa "Con gli strumenti a mia disposizione non posso fare altro per te." A suo modo, anche se poteva essere più esplicito, è stato onesto.
  20. Trixy, ti rispondo e poi chiudo altrimenti mi cacciano dal forum per appropriazione illecita di spazi altrui La mia storia personale mi porta a diffidare della sola psicoterapia senza un supporto farmacologico. So che parlare di terapie farmacologiche in un forum di psicologia è un po' come sventolare una bandiera rossa in un'arena (o in una sede di Forza Italia ) ma credo fermamente che in alcuni casi occorra qualche farmaco che lenisca i sintomi nell'immediato e consenta di poter lavorare con calma per ottenere risultati concreti nel lungo termine. Immagino che tu non sia seguita anche da un neurologo o psichiatra, e che il tuo terapeuta non sia qualificato in tal senso, o sbaglio? Io ci penserei perché con i disturbi alimentari non si scherza. Cercherei uno psichiatra/psicoterapeuta e valuterei un percorso diverso. Naturalmente dopo aver discusso anche di questo con il tuo attuale terapeuta, per non buttare all'aria il lavoro svolto finora.
  21. Perfettamente d'accordo, ma nel momento in cui nutri piena fiducia in una persona qualificata - e chi va in terapia spesso si trova a nutrire fiducia per la prima volta - passa anche attraverso una fase di dipendenza, credo, mi sembra naturale. Un po' come un bambino che dipende dalla propria madre perché di lei si fida e non dispone di strumenti per essere autonomo. La dipendenza diventa un problema se nel lungo periodo non la si supera.
  22. Sì, lapina, anch'io mi sono "autoanalizzata" per anni prima di approdare in terapia. Ma a volte occorre una visione diversa, altrimenti si corre il rischio di incartarsi da soli. Mi pare di capire che tu non vai in terapia, giusto? Come left, anch'io penso che la psicanalisi freudiana (almeno secondo la mia esperienza tutto sommato limitata) equivalga a un lavoro condotto in solitudine: io a un certo punto mi sono trovata a brancolare nel buio, e senza una torcia avrei continuato a sbattere la testa come una mosca contro la finestra chiusa
  23. Lapina, apprezzo molto la tua risposta che dà molto da pensare anche a me. Io mi sarei limitata a suggerire a Trixy di discutere di questo con il terapeuta, che è poi il suggerimento più frequente tra quelli che ho letto e dato finora, e quindi forse un po' banale. Tu no, sei uscita dal gregge e mi chiedo, senza intenzioni polemiche: ma la dipendenza non è una fase praticamente inevitabile di una terapia, in attesa di conquistare un'autonomia emotiva? E in questa attesa e durante il lavoro (duro) che si svolge in seduta non è naturale cercare sostegno nel terapeuta? Forse il problema di Trixy non è tanto la dipendenza e la sua necessità di supporto, quanto il non riuscire a trovare un punto di contatto con il terapeuta: lei non riesce a spiegargli le sue esigenze effettive, lui non le comprende. Risponderle che modificare alcune questioni pratiche della sua vita la farà sentire meglio mi sembra un po' sbrigativo e non molto professionale. Se le avesse dato la tua risposta ipotizzando un problema di dipendenza, avrebbe proposto uno spunto di riflessione costruttivo. Al contrario, la sua soluzione ("Cercati un lavoro") mi sembra un tagliare corto che non offre grandi possibilità di replica.
  24. Ciao, vedo che siamo conterranee Capisco cosa intendi. Anch'io do sempre addosso al mio per un motivo o per l'altro: se del freudiano lamentavo l'assenza, di questo mi sembra di sapere troppo, di non riuscire ad essere spontanea con lui ecc. ecc. (poveraccio). Però almeno questo c'è e mi suscita delle reazioni che esaminiamo insieme, mentre l'altro mi lasciava letteralmente impietrita. Quindi anche nel tuo caso, l'importante è riflettere sulla relazione che si è stabilita e sulle eventuali resistenze che ti suscita. Un transfert può anche essere negativo, l'importante è che ti offra spunti di riflessione per far procedere il discorso.
  25. Io condivido l'esperienza di leftfield. Ho avuto una breve esperienza di psicanalisi freudiana, sdraiata su un lettuccio che pareva il tavolo di un obitorio, con alle spalle questo signore di mezz'età, calvo e con barbetta (un clone di Freud) che non diceva nulla, e io mi figuravo che durante la seduta sbadigliasse, si limasse le unghie, leggesse il giornale... Empatia zero. Durante le sedute non è mai venuto fuori niente, e dico niente, che già non sapessi. Morale a terra e senso di inadeguatezza alle stelle. C'è voluto un decennio perché trovassi il coraggio di riprovarci, e in realtà non si tratta nemmeno di coraggio ma di puro caso: l'attuale terapeuta, credevo fosse semplicemente uno psichiatra e da lui cercavo un'adeguata terapia farmacologica. Lui non ha capito, a me ha ispirato simpatia ed eccoci qua. Non è freudiano ma forse la scintilla sarebbe scattata ugualmente, a prescindere dalla sua corrente.
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