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Salve, sono una giovane collega in terapia da 8 anni. Chiedo a voi delucidazioni su delle questioni. Mi sono accorta da un po’ di tempo che il mio terapeuta mi ritaglia 10/15 minuti dalle sedute. Non lo fa sempre ma ci sono dei periodi in cui lo fa e lui non è un lacaniano. Lui mi fa entrare in ritardo e non recuperiamo il tempo. Tempo fa gli ho fatto presente la questione. All’inizio dopo la mia osservazione, è tornato a fare sedute di 45 minuti, e mi ha giustificato la cosa dicendomi che chiude prima la terapia se vede che il processo è chiuso, ma dopo un tot di tempo tornava a farmi durare le sedute 30/35 minuti. Gli ho rifatto presente la questione e lui si è arrabbiato dicendomi che devo imparare a tollerare la frustrazione. Cosa ne pensate di questo comportamento? L’altra questione riguarda il fatto che da poco faccio anche supervisione di gruppo con lui (mi ha proposto la supervisione perché da poco lavoro lì nel suo studio, seguo un paziente inviatomi da lui; ho già concluso la scuola di specializzazione l’anno scorso) e mi sta venendo difficilissimo sul piano emotivo vedere il mio terapeuta in un contesto diverso dalla stanza di terapia. In particolare mi destabilizza emotivamente vedere il mio terapeuta in gruppo che ride alle battute sarcastiche che una collega fa sui pazienti. Sentire da questa collega del gruppo dare della “poco di buono”(versione educata) ad una paziente borderline promiscua o dire puntualmente ad ogni occasione che lei non sopporta i pazienti manipolativi e che lei li manda a quel paese (versione sempre educata rispetto a come si è espressa in supervisione) quando ne becca uno, mi fa stare male. E mi fa stare ancora più male vedere che il mio terapeuta non la confronta in supervisione su questa cosa ma anzi la stima e la elogia. Io ho dovuto lavorare tanto sugli aspetti miei di manipolazione ma non ho scelto io di avere questi sintomi e da paziente mi sento stigmatizzata. Io ho fatto presente queste cose della supervisione al mio terapeuta ma lui mi dice che sono io che cerco i difetti e che devo trovare un pretesto per stare male a tutti i costi. Proprio nella seduta in cui mi ha detto questa cosa mi ha ritagliato 15 min di terapia. Sento di perdere la fiducia nei suoi riguardi, ad ogni supervisione ho sintomi ansiosi e depressivi molto forti che si scatenano prima e dopo ogni supervisione, durante la supervisione invece vado in dissociazione. Sto arrivando al punto di considerare di voler lasciare la terapia e la supervisione ma ho un sacco di paura perché mi sono molto legata al mio terapeuta, ho paura di perderlo e nonostante provo tantissima rabbia nei suoi riguardi gli voglio bene. Temo che se lascio la terapia e la supervisione mi sto perdendo l’occasione per lavorare su delle questioni mie irrisolte o che non riuscirò a reggere la mancanza del mio terapeuta. Lui dice che altri suoi pazienti che lavorano e fanno supervisione da lui non hanno i problemi di destabilizzazione che sto riscontrando io . Mi chiedo se queste emozioni e sintomi che sento e sperimento sono dettate dal fatto che c’è un doppio livello(cioè terapia personale e supervisione con il mio terapeuta) e quindi sono normali oppure se è qualcosa di mio su cui devo lavorare. Lui mi dice solo che è un problema della nostra relazione. Vi chiedo un opinione . Grazie mille!
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terapia La figura dello psicologo nella sanità pubblica
Pandaemonio ha inserito una discussione in Parliamo di Psicologia
Ciao! Sono Pandaemonio, invalido al 75% ho 41 anni e soffro di tante cose tra cui ben due disturbi della personalità in comorbidità. Mi ritrovo purtroppo a dover discutere e dibattere fortemente, almeno una volta a settimana, con il personale della mia ASL di riferimento, primario compreso. Evito di raccontare i miei problemi e arrivo subito al punto: Chiedere uno psicologo in ASL è una barzelletta. Le mie patologie mi hanno portato a lasciar perdere la sanità pubblica che stava aggravando tutto e puntare su sostegno e supporto privato. Il problema è nato quando mi sono reso conto che in ASL non erano presenti psicologi ma solo psichiatri e questi gestivano gli "utenti" come pacchi postali, da smistare nel centro diurno o agli assistenti sociali. Purtroppo mi ci sono ritrovato in mezzo, ho chiesto più volte sostegno e supporto ottenendo solo un posto in un centro diurno del tutto deleterio per me, un luogo del tutto incompatibile con una persona che soffre di disturbi della personalità che la rendono estremamente asociale. Una sorta di terapia d'urto forzata, che ha solo peggiorato le cose. Nel privato, cercando costantemente psicologi e professionisti che riuscissero a capire la mia condizione mentale, ho trovato dei veri esperti sull'argomento e soprattutto ho trovato persone AGGIORNATE. Ho cominciato percorsi annuali, ho cercato poi riscontri con altri specialisti per confermare quanto mi è stato poi diagnosticato. Dopo un lungo percorso psicoterapeutico e tanti soldi spesi ho finalmente dato dei nomi alle mie patologie, peccato che tutto questo non viene riconosciuto dall'INPS e neanche dalla ASL. Ho chiesto quindi alla mia psichiatra in ASL più volte di ascoltarmi, di fare terapia, cosa che mi è stata negata e che mi ha portato ad una diagnosi di "Disturbo della personalità N.A.S." (non altrimenti specificato) e pur avendo io diagnosi esterne in privato, vengono del tutto ignorate. Ho dovuto quindi chiedere un cambio medico, negato dalla psichiatra che quando gli ho detto che non andavano d'accordo mi ha riso in faccia. Sono dovuto andare quindi dagli assistenti sociali, scrivere email direttamente al primario e fare in modo che tutto questo orrore finisse. Purtroppo anche discutendo con il primario che amichevolmente mi ha preso in carico, resta comunque uno psichiatra. In ASL ignorano del tutto la figura dello psicologo, è come una gerarchia e per loro lo psicologo è una sorta di galoppino. Nel mio caso gli psichiatri si sono rivelati solo spacciatori di farmaci e certificati, non ascoltano psicologi e figure esterne e danno per scontato che la loro parole è legge. Ho fatto e faccio ancora adesso immensa fatica a far capire che i disturbi della personalità vanno curati con psicoterapia, non basta una cura farmacologica e a volte non è neanche necessaria. Nulla, mi scontro contro un muro di ignoranza che non solo nega l'utilità di una professione ma mette in mostra una totale ignoranza proprio nel campo della salute mentale. Sinceramente io non posso spendere tutti questi soldi per tutta la mia vita, senza contare che trovo profondamente ingiusto che la diagnosi valida per l'INPS sia quella di chi non fa terapia con me, non conosce approfonditamente la mia situazione e soprattutto non ha idea di come trattare le mie patologie.- 6 risposte
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invalidità Un saluto da un narcisista nascosto!
Pandaemonio ha inserito una discussione in Ciao, io sono ....
Ciao! Sono Pandaemonio, ho 41 e scrivo da Napoli. Mi fa piacere entrare in questa comunità e spero di riuscire a trovare un confronto utile e costruttivo raccontando la mia storia. Sono in terapia da metà della mia vita in pratica, non in modo continuativo purtroppo. Poco dopo i vent'anni mi hanno diagnosticato una grave forma di agorafobia, vivevo con la mia famiglia ma come un recluso, chiuso nella mia stanza. Sono stato tre anni in totale isolamento vivendo solo di notte e dormendo durante il giorno, mangiavo roba surgelata e vedevo gli altri membri della mia famiglia molto raramente. Un bel giorno decisi di fare il "turno lungo" e tirando avanti da sveglio fino a mattina, aprendo la finestra vidi il sole. Non lo vedevo da ... anni probabilmente, svenni sul colpo. È iniziato tutto così. Grazie ad internet e l'online sono comunque riuscito ad avere una sorta di vita, amicizie e anche a fidanzarmi poi "attirando" tramite dei blog dove scrivevo racconti e poesie. Le mie relazioni erano praticamente vissute in quattro mura e obiettivamente non erano sane, sempre sature di co-dipendenza e tossicità. Disperata una mia compagna decise di portarmi davanti alla commissione dell'INPS sperando che potessero aiutarmi, indirizzarmi in qualche struttura dove poter essere aiutato. Sono finito nella ASL della mia zona, dove non c'è mai stato uno psicologo ma solo psichiatri. Mi hanno imbottito di farmaci e ho ottenuto il 75% di invalidità. Con il tempo le diagnosi sono cambiate e io non mi sono mai curato di leggerle, mi sono sempre fidato ciecamente dei medici facendo tutto quello che mi dicevano fino a quando ho cominciato a stare peggio. Non voglio annoiarvi, posso solo dire che purtroppo il percorso fatto in ASL e quindi con la sanità pubblica mi ha portato ad entrare da loro con una diagnosi di IBS (sindrome del colon irritabile), agorafobia e disturbo ciclotimico, e ne sto uscendo attualmente con più del doppio delle patologie. L'approccio pubblico è stato quello di catapultarmi in un centro diurno dove le mie patologie sono sfociate rendendo l'agorafobia l'ultimo dei problemi. Ad un certo punto la stessa psichiatra ha cambiato diagnosi scrivendo "Disturbo della personalità N.A.S." (non altrimenti specificato). Da quel momento, presa visione che neanche loro sapevano io cosa avessi, sono andato nel privato. Negli anni ho fatto tanta terapia, spendendo tanti soldi. Prima è arrivata la diagnosi di disturbo della personalità evitante. Perché effettivamente io non avevo paura di uscire, evitavo semplicemente ogni tipo di interazione e relazione con gli esseri umani. Diagnosi arrivata a quanto pare troppo tardi, visto che la mia reazione ad una situazione di totale isolamento in una casa satura di malessere, litigi, urla, violente vessazioni da parte dei miei, mi ha portato a reagire in qualche modo a questa necessità e bisogno di isolamento tossico. La reazione è stata di pura rabbia perché non tolleravo e non accettavo la totale mancanza di attenzione nei miei confronti, sia dalla mia famiglia che dal personale della ASL che mi aveva in carico. Non voglio scrivere un poema, ma l'anno dopo il disturbo evitante mi è stato diagnosticato in comorbidità anche il disturbo narcisistico di tipo covert. Scherzandoci sopra, come mi è stato detto in passato: Per chi ha sentito di questo disturbo, ebbene a quanto pare sono uno dei pochi narcisisti che è in terapia. Ovviamente mi ci sono ritrovato, non è dunque stato un problema andarci. Per chi invece come me pensava che i narcisisti fossero quei bastardi manipolatori che fanno soffrire le proprie compagne con manipolazioni, dipendenze affettive, love bombing ecc. Mi spiace, evidentemente non è così. Anzi, sono quasi sempre io quello che soffre dopo una rottura. Quello che mi è stato diagnosticato è il tipo covert e quindi "nascosto" che in pratica mi fa sembrare l'esatto opposto del più classico Overt. Non mi piace stare al centro dell'attenzione, non mi nutro di complimenti e di attenzioni e non vado in giro a dispensare "abuso narcisistico". Tendenzialmente il problema che ho io, quindi il mio narcisismo è una totale carenza di empatia, forte egocentrismo che si trasformano in arroganza e menefreghismo. Sono una persona molto sensibile ed educata e questo mi fa essere "nascosto" ma quando poi mi esprimo, a quanto pare, si nota che sono interessato principalmente ai miei bisogni e poi dopo ... a chi amo? Forse, e sì i narcisisti si innamorano. Non siamo robot. Sul narcisismo ce ne sarebbe tanto da dire, a causa di social come TikTok mi son ritrovato insultato e sentenziato manco fossi un criminale, per colpe di gente che poi non solo non conosco e con me non ha nulla a che vedere, ma che di fatto sono state diagnosticate come narcisiste da chi non ha una laurea e urla solo la propria incapacità di volersi bene e staccarsi da una relazione tossica. Spero di potermi raccontare meglio e di non ricevere i soliti insulti, vi ricordo che se sostenete la teoria del narcisista infame, cattivo e bastardo, allora dovreste tenere conto che anche insultarlo alimenta il suo ego no? Grazie!- 2 risposte
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- pandaemonio
- disturbi della personalità
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Qualcuno potrebbe spiegarmi il ruolo di un psicoterapeuta durante un colloquio e quale dovrebbe essere il suo obbiettivo è i benefici che dovrebbe trarne il paziente oppure condividere con me ciò che si aspetterebbe di ricevere/ottenere da una psicoterapia o qualsiasi cosa viene in mente... Grazie a tutti
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Quando ho chiesto al terapeuta di passare da due sedute mensili ad una seduta mensile, la richiesta è stata d'iniziativa mia: gli orari, gli impegni, l'arrivo della bella stagione e la latente consapevolezza di non aver parlato di niente di che negli ultimi tre mesi nelle sedute. Nel giro di un paio di sedute sto concludendo la terapia. Avevo chiesto di fare una seduta al mese, non di terminare la terapia. Comunque, sono contento di finire le sedute
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Ho sempre avuto, per quanto mi ricordo, le mie particolarità nel comunicare e nel relazionarmi. A parte che con gli amici fidati, la ragazza e i famigliari, con le altre persone ho un comportamento formale e distaccato, fintanto che non ci si conosce un po, e tutto cio questo viene recepito in modo negativo. E questo non mi porta vantaggi specie nel lavoro dove devo essere in contatto con gente di tutti i tipi e con i colleghi. Le scene mute che colleziono sono innumerevoli e non riesco facilmente ad afferrare l'occasione per fare una battuta e a volte anche per tirare avanti una chiacchierata, per non parlare di iniziarne una. La situazione mi causa disagio e le esperienze per me dolorose si moltiplicano e sto pensando seriamemte a una psicoterapia.Sarebbe in questo caso una soluzione?
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Buon giorno, sono nuovo di questo forum e questo è il mio primo post; grazie di avermi accettato innanzitutto, vorrei esporre un problema che stò vivendo ormai da un pò di tempo con la mia terapeuta dal quale onestamente non sò bene cosa fare e come comportarmi. Il problema è essenzialmente di comunicazione perchè poi di fatto spesso il problema è riuscire a tirar fuori quello che ho dentro. E' un piccolo cruccio che ho ovviamente non pretendo assolutamente che nessuno mi dia la soluzione è più che altro uno sfogo perchè la scorsa notte nemmeno sono riuscito a dormire bene tra l'altro... è un pò di tempo che mi stò sottoponendo (per esigenze legate al percorso di counseling che stò seguendo)a un percorso di psicoterapia in questo caso psicoterapia corporea. Intraprendendo questo viaggio ,ho l'impressione di non sentirmi in sintonia in empatia con il terapeuta, la percezione di non essere compreso e quello che sento non venga recepito adeguatamente e dentro resta un malessere irrisolto di un transfert e controtrasfert che secondo me non stanno andando proprio bene. Fermo restando che la terapeuta è competente per carità non dico assolutamente il contrario , forse il problema è il mio forse devo rivolgermi altrove o forse è solo una mia proiezione negativa?Fatto stà che a me il fatto di sdraiarmi sul lettino non mi và proprio giù e non mi permette di tirar fuori al meglio quello che ho dentro questa cosa mi pregiudica parecchio e sento che è parecchio discriminante io l'ho fatto presente alla terapeuta ma lei dice che è meglio così. Voi altri psicoterapeuti anche psicoanalisti utilizzate lo stesso metodo?Se una persona ve lo facesse presente voi lo fareste comunque mettere sdraiato?Può questa cosa compromettere il rapporto? A prescindere da questo molte cose non riesco a tirarle fuori perchè parto con il presupposto di non essere capito specialmente per quanto concerne la sfera affettiva e relazionale...ma allo stesso tempo il pensiero di dover ricominciare e trovare un altro terapeuta mi destabilizza... Che dire?Scusate lo sfogo ma questa mattina avevo proprio bisogno anche perchè non sò se quello che stò facendo ha realmente un senso o no molto spesso mi sembra che non ce l'abbia. A volte mi sento giudicato o ignorato e comunque mi resta dentro una forte frustrazione , il fatto è che paradossalmente temo di esprimere ciò che sento perchè ho paura di creare un conflitto anche con lei. Forse stò proiettando troppo, forse stò sfuggendo a quello che veramente dovrei dire ma ripeto può sembrare una scemenza ma la posizione sdraiata a me non aiuta mi sembra che venga fatto apposta per non farmi entrare dentro quello che vorrei dire...forse è una mia cosa paranoidale ma questo è quello che sento.. Grazie a tutti voi e buona giornata scusate le molteplici paturnie ....
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Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale ad indirizzo Clinico Giuridico
AlessandraD ha inserito una discussione in Studenti di psicologia
Salve a tutti, vorrei pubblicizzare la Scuola Quadriennale di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale "AcaBs-Academy of Behavioural Sciences" con sede centrale a Reggio Emilia e sede periferica a Brescia. Il modello di formazione della Scuola di specializzazione in Psicoterapia dello sviluppo e adolescenza proposto dalla Academy of Behavioral Sciences, gestita da Science & Method Associazione professionale di Reggio Emilia, fa riferimento all’indirizzo scientifico-culturale cognitivo comportamentale. La definizione degli interventi terapeutici, le modalità tecniche, la valutazione dell’operato sono riprese dalla teoria generale e dalla teoria della clinica che affondano le loro basi all’interno di una cultura cognitivo comportamentale, orientata ad un contesto che vede nella evidence based interventions (EBI) un suo principio di controllo imprescindibile. Le lezioni si svolgono in un week end al mese (venerdì, sabato e domenica dalle ore 9:00 alle ore 18:00) Per ogni informazione, potete visitare il sito www.acabs.org oppure telefonare allo 0522/430053 oppure scrivere a scuoladipsicoterapia@scienceandmethod.org (o chiedere a me se vi è più comodo)-
- psicoterapia
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Riflessioni su un bambino dotato e una terapia andata male
Evapsiche80 ha inserito una discussione in Parliamo di Psicologia
Apro questo topic da paziente e mi piacerebbe confrontarmi con chi ha fatto una terapia ma anche con chi studia psicologia, tirocinanti e/o terapeuti se presenti nel forum. Forse non posso porvi domande specifiche riferite a me stessa, su quella che è la mia situazione nel dettaglio , ma ho questo urgenza interiore, di capire , anche solo in termini generali, cosa fa si che una persona che inizia un percorso terapeutico con molto zelo e ottimismo, fiducia assoluta, combattività e determinazione, ad un certo punto, quando prende coscienza dei suoi veri problemi, qualcosa va storto e molla. Si ricrede e rimane insabbiato e intrappolato in quel percorso che credeva che l'avrebbe redento a una vita migliore e che invece lo condanna a una sofferenza sorda e immutabile. Durante un percorso di terapia, si apprende , e si viene anche lusingati e incoraggiati , che si è dei bambini dotati, come direbbe ila grande A. Miller,che ci si è ammalati proprio per quella sensibilità particolare che ci rendeva diversi e "vedenti" in una ambiente famigliare malsano, non in sintonia con il nostro vero io, con la visione della nostra esistenza, dei nostri sogni e delle nostre potenzialità. Mi chiedo incessantemente perché quel bambino dotato, ora che è adulto e che ne ha la possibilità, invece di afferrare al volo l'opportunità di salvarsi, di" guarire", di diventare felice, si rifiuta? Che fine ha fatto quel bambino dotato? Era dotato ma non era davvero coraggioso? Le domande che sorgono sono tante. -
Riflessioni su un bambino dotato e una terapia andata male
Evapsiche80 ha inserito una discussione in Parliamo di Psicologia
Apro questo topic da paziente e mi piacerebbe confrontarmi con chi ha fatto una terapia ma anche con chi studia psicologia, tirocinanti e/o terapeuti se presenti nel forum. Forse non posso porvi domande specifiche riferite a me stessa, su quella che è la mia situazione nel dettaglio , ma ho questo urgenza interiore, di capire , anche solo in termini generali, cosa fa si che una persona che inizia un percorso terapeutico con molto zelo e ottimismo, fiducia assoluta, combattività e determinazione, ad un certo punto, quando prende coscienza dei suoi veri problemi, qualcosa va storto e molla. Si ricrede e rimane insabbiato e intrappolato in quel percorso che credeva che l'avrebbe redento a una vita migliore e che invece lo condanna a una sofferenza sorda e immutabile. Durante un percorso di terapia, si apprende , e si vine anche lusingati e incoraggiati , che si è dei bambini dotati, come direbbe ila grande A. Miller,che ci si è ammalati proprio per quella sensibilità particolare che ci rendeva diversi e "vedenti" in una ambiente famigliare malsano, non in sintonia con il nostro vero io, con la visione della nostra esistenza, dei nostri sogni e delle nistre potenzialità. Mi chiedo incessantemente perché quel bambino dotato, ora che è adulto e che ne ha la possibilità, invece di afferrare al volo l'opportunità di salvarsi, di" guarire", di diventare felice, si rifiuta?Che fine ha fatto quel bambino dotato? Era dotato ma non era davvero coraggioso?