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Morto Cancemi, fu il primo pentito

della «cupola»di Cosa Nostra

È deceduto per un ictus, viveva in una località protetta

Entrò in contrasto con Provenzano, si costituì nel 1993

Una vecchia immagine di Cancemi

PALERMO - È morto il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, uno dei più importanti pentiti della storia della mafia palermitana: fu, infatti, primo componente della «Commissione» di Cosa Nostra a rompere i legami con le cosche. Cancemi, ex capomafia di Porta Nuova, è deceduto per un ictus il 14 gennaio scorso - ma la notizia si è appresa solo ora - nella località protetta in cui viveva da quando scelse di passare dalla parte dello Stato.

SMASCHERO' SCARANTINO, IL FALSO PENTITO - Latitante per anni, a luglio del 1993 si costituì ai carabinieri, temendo per la sua vita. Entrato in contrasto con il boss Bernardo Provenzano, preferì il carcere alla condanna a morte della mafia: in realtà resto in cella solo poche ore, vista la sua intenzione di rompere con Cosa Nostra . Il suo pentimento, che proprio per il ruolo fondamentale ricoperto nella Commissione ha dato un contributo importantissimo a decine di indagini, ebbe un incipit travagliato: gli inquirenti scoprirono, grazie ad altri collaboratori, che aveva omesso di confessare alcuni omicidi e diversi reati. Teste in processi come quello Andreotti e quello Dell’Utri, fu accanito sostenitore della inattendibilità di Vincenzo Scarantino, poi rivelatosi falso pentito della strage di via D’Amelio, Cancemi aveva 69 anni.

«NON È UNA PASSEGGIATA» - Fu il primo membro della «cupola» a pentirsi: la mattina del 20 luglio 1993 si presentò alla caserma di Carini e consegnò ai carabinieri un bigliettino ricevuto da Carlo Greco, con il quale gli si comunicava un appuntamento per la sera di quello stesso giorno con Bernardo Provenzano. Passò anni in una caserma in compagnia sempre dello stesso maresciallo dei Ros. «La mia collaborazione - dichiarò una volta - non è stata una passeggiata». Tommaso Buscetta aveva di lui una grande considerazione: «Quello che dice Cancemi è oro colato, deve solo imparare ad avere più fiducia nello Stato».

LE «SUE VERITA'» - Considerava Totò Riina e Bernardo Provenzano come delle vere e proprie «belve». E ricordò quando, in una riunione della Commissione, «zio Totuccio» aveva «dato ordine che si dovevano distruggere tutti i parenti dei pentiti fino al ventesimo grado di parentela, incominciando da quando hanno 6 anni a salire». Nel 1996, Cancemi dichiarò che Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri erano in diretto contatto con Riina. Dopo due anni di investigazione, i magistrati chiusero l'inchiesta senza spese processuali. Salvatore Cancemi disse che dirigenti della Fininvest, attraverso Marcello dell'Utri e Vittorio Mangano, avevano pagato a Cosa Nostra annualmente 200 milioni di lire di allora. Dichiarò inoltre che «Riina aveva ricevuto precise garanzie in favore dell'organizzazione nonostante l'effettuazione di due eclatanti attentati (strage di Capaci e di via D'Amelio) da parte di persone importanti». Persone che lui indicò «nei dottori Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi». Ma le sue parole non furono considerate, su questo punto attendibili e l'inchiesta si arenò.

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