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L’utilizzo del Social Dreaming nell’ambito dei contesti formativi.


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Tiziana Liccardo, Francesco Tortono, Mattia Tortono

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Il Social Dreaming è una tecnica che valorizza il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione della realtà sociale ed istituzionale in cui “i sognatori” vivono. I sogni vengono condivisi in un gruppo di persone che si riunisce per questo motivo. Durante gli incontri, i partecipanti presentano sogni che sono offerti alla matrice in modo che sia possibile stabilire legami e connessioni (Armstrong, 1998; Lawrence, 1998a). Nell’ambito di tale tecnica di lavoro di gruppo viene utilizzato “il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione non del mondo interno dei sognatori, ma della realtà sociale ed istituzionale in cui vivono” (Neri, 2001). Gordon Lawrence (1998b), che ha ideato questa tecnica, afferma che i sogni contengono informazioni fondamentali sulla situazione in cui le persone stanno vivendo nel momento in cui sognano.

Il “Social Dreaming” non vuole sfidare il grande valore dell’approccio ai sogni della psicoanalisi classica, ma mette in rilievo la loro dimensione sociale. Tale tecnica è nata agli inizi degli anni ’80 ad opera di Gordon Lawrence, psicoanalista inglese che faceva parte dello staff scientifico del Tavistock Institute of Human Relations. “Il modello Tavistock considera le organizzazioni umane come suscettibili di andare incontro a processi di sofferenza, certamente diversi da quelli degli individui ma tali da danneggiare e far soffrir sia le persone che lavorano al loro interno sia soprattutto il compito primario dell’organizzazione” (Miller e Rice, 1967 cit. in Perini, 2003). A partire dai vissuti soggettivi per l’analisi delle organizzazioni e pensando a queste ultime come luoghi in cui si sviluppa un inconscio collettivo nutrito dalla storia comune e condivisa del contesto istituzionale, il contributo operativo estremamente suggestivo di Gordon Lawrence si aggiunge all’inizio degli anni ’80, con la nascita del modello di intervento socioanalitico proposto nel primo Progetto di Social Dreaming e creatività. L’intervento di Social Dreaming si realizzata in una serie di incontri, della durata di un’ora e mezza ciascuno, coordinati da uno o più “conduttori” che vengono definiti “host”, cioè coloro i quali materialmente attivano e facilitano la matrice. Il setting di tale tipologia di lavoro è abbastanza peculiare, le sedie vengono disposte dagli “host” a spirale o a fiocco di neve, lasciando nella parte centrale della spirale uno spazio vuoto e libero per ospitare idealmente i sogni, le immagini e i vissuti, favorendo in questo modo lo sviluppo della matrice di Social Dreaming. La consegna iniziale consiste nell’invitare i partecipanti ad offrire il proprio sogno, che partendo dal presupposto che non sarà considerato nella sua dimensione personale, ma funge da “attivatore” associativo messo a disposizione del gruppo per esprimere, attraverso la tecnica delle libere associazioni, le immagini, le fantasie e i vissuti conosciuti e non pensati che derivano e si connettono alla realtà esperienziale condivisa con gli altri a livello sociale e nelle organizzazioni.

L’analisi collettiva dei sogni, intesi come patrimonio del gruppo offerto al suo interno, consente di avvicinarsi all’organizzazione come luogo in cui “anche” si sogna e come entità che è spesso sognata (Neri, 2001), con modalità che gli ambiti di consulenza organizzativa e sviluppo professionale spesso disattendono e ignorano. Tra le istruzioni fornite all’inizio della matrice, particolarmente significativa risulta essere quella relativa a produrre associazioni ai sogni; l’ “host” può sottolineare che, almeno inizialmente, è opportuno che i partecipanti non offrano associazioni rispetto ai propri sogni, ma che associno sui sogni raccontati dalle altre persone presenti. Un sogno può essere raccontato come associazione al sogno di un altro partecipante, e così via. Questa è un’istruzione particolarmente rilevante perchè ribadisce che i sogni non devono essere considerati come una proprietà privata del sognatore, ma piuttosto qualcosa che è offerto perchè sia condiviso nel gruppo. (Hahn, 1998) Perché ci siano i presupposti che un incontro di social dreaming si riveli fruttuoso, è opportuno evitare che i singoli partecipanti parlino per un lasso di tempo che non superi i 10 minuti, bisogna inoltre evitare di rispondere a domande poste in maniera diretta così come bisogna evitare che un numero ristretto di partecipanti si “blocchi” in una discussione ostacolando il fluire dei pensieri. Queste semplici regole hanno lo scopo di consentire una discussione che dia a tutti l’opportunità di partecipare alla discussione, piuttosto che andare verso un discorso centrato tra due persone. Durante l’incontro di Social Dreaming i sogni vengono sviluppati attraverso le libere associazioni ed è importante che ci sia il contributo di tutti i partecipanti, i quali saranno disponibili a: collegare tra loro immagini, sogni e fantasie ad evidenziare la sequenza dei sogni che sono stati raccontati; a mettere in evidenza come sogni diversi possano avere elementi in comune; a comprendere se i sogni e le associazioni forniscono elementi utili per comprendere alcuni aspetti dell’ambiente sociale e/o dell’organizzazione a cui appartengono i partecipanti; evidenziare gli elementi sociali dei sogni raccontati. Attraverso questo lavoro, ogni sogno rivela di avere non un solo significato, ma molti significati che sono collegati tra loro. Il lavoro negli incontri di “Social Dreaming” implica l’identificazione d’alcuni pattern, piuttosto che l’interpretazione di contenuti dei singoli sogni. Nell’ambito della formazione si evidenzia spesso la tendenza ad utilizzare tecniche e metodi di esplorazione della realtà organizzativa, di lavoro e professionale, centrati sui comportamenti e sulla loro analisi. La consulenza e la formazione, intese come attività volte a produrre e attuare cambiamenti necessari, vengono utilizzate in ottica terapeutica sulle organizzazioni secondo modelli sistemico- relazionali.

Attraverso l’uso del social dreaming abbiamo voluto proporre una modalità di lavoro che ci consentisse di porci di fronte all’organizzazione partendo dalla sua risorsa primaria, il gruppo. Ci siamo così chiesti se tutto ciò che abbiamo di fronte possa essere ricondotto a qualcosa di pensato, ovvero di percepito in termini consci dai soggetti e dall’organizzazione nel suo insieme. Una proposta che ci è...

http://www.psiconline.it/article.php?sid=6274

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