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I temi dell’adozione e dell’affidamento nel cinema


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Ho trovato un bel sito (qui) dedicato a un "Progetto CAMeRA" rivolto all'archiviazione di film italiani e stranieri significativi nella rappresentazione della condizione dell'infanzia e dell'adolescenza. E cercando "affido e adozione" è sbucato questo:

È davvero difficile rendere spettacolari, o per lo meno interessanti sotto il profilo drammatico, una serie di problematiche sottoposte a normative molto severe, dal complesso iter burocratico (variabile da nazione a nazione), soprattutto di recente acquisizione e in continua evoluzione, e per questo difficili da cogliere con esattezza perché prive di quei contrasti forti che ben si prestano a trasformarsi in film di finzione. Proprio perché si pone come tentativo di costruire ex novo una situazione di normalità (intorno al minore), l’adozione risulta poco attraente per il cinema che, per sua natura, è basato su una narrazione dinamica, interessata ai processi di disgregazione, alla contrapposizione dell’individuo alla società, più che alla creazione di un rapporto tra realtà distanti (una famiglia che accoglie un bambino sconosciuto) all’interno di un contesto che vede la stessa società favorire quel processo di integrazione.

Probabilmente è per questi motivi che sono quasi assenti da una filmografia sul tema dell’adozione non solo film di denuncia (così come ne esistono sui temi dell’infanzia abbandonata, del disagio giovanile, del lavoro minorile), ma anche film che trattano questa tematica mettendone in luce le caratteristiche più specifiche, senza puntare direttamente agli aspetti sensazionalistici e più lacrimevoli.

Tale tendenza verso il patetico oltre a essere insita nella natura stessa del mezzo cinematografico costituisce anche il lascito della tradizione del romanzo ottocentesco, ereditata prima dal cinema e successivamente dalla fiction televisiva (nel formato dello sceneggiato, della soap-opera, del film per la Tv) per un pubblico essenzialmente a carattere familiare, sensibile a una serie di tematiche di facile presa sociale.Di fatto, così com’è difficile “abbinare” un orfano e la famiglia che l’adotterà nel mondo reale, altrettanto arduo è farli incontrare sul grande schermo, creare intorno a queste due realtà delle strutture narrative forti che, al tempo stesso, affrontino seriamente gli aspetti più profondi del problema dell’adozione. L’orfano, cioè, affascina finché deve affrontare sofferenze e privazioni, ma quando riesce a trovare una famiglia che lo adotti diviene un bambino come gli altri. Per questo le storie che hanno per protagonisti gli orfani sono avventure nel senso letterale del termine.

Spesso, al di là del carattere avventuroso della narrazione, ad animare i romanzi era un sincero spirito di denuncia (frutto, nel caso particolare di Dickens, di un’attenta osservazione della realtà degradata del suo tempo) verso una piaga sociale di fronte alla quale gli strati più abbienti della popolazione e coloro che avevano in mano le leve del potere – proprio coloro cui i racconti erano diretti – si mostravano indifferenti. La questione dell’infanzia abbandonata (insieme a quella del lavoro minorile) si impose nel dibattito dell’opinione pubblica della Gran Bretagna, che sperimentava per prima le contraddizioni portate dallo sviluppo industriale, anche grazie alle avventure dei piccoli orfani.

In questo breve e, per forza di cose, incompleto excursus sul rapporto tra cinema e tematiche legate all’adozione, si cercherà di tracciare un parallelo tra l’adozione in quanto riflesso dei cambiamenti occorsi nella società e nella mentalità occidentale dal XIX secolo a oggi e le forme narrative che il cinema ha utilizzato per rappresentarla.

continua

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