Vai al contenuto

Messaggi consigliati

ROBERT LOUIS STEVENSON

CHIRURGO CELESTE

Se ho mancato più o meno

Nel mio grande compito di felicità;

Se ho camminato tra la mia stirpe

Senza mostrare un chiaro volto mattutino;

Se lo splendore di felici occhi umani

Non m'ha commosso; se i cieli mattutini,

I libri, e il mio cibo, e la pioggia d'estate

Hanno battuto invano al mio cuore aggrondato:

Signore, prendi il tuo più intenso piacere

E pugnala il mio spirito ancora ben desto;

Oppure, Signore, s'io tuttavia m'ostini oltre il segno,

Scegli tu allora, prima che lo spirito muoia,

Un dolore lancinante, un peccato che uccida,

E trafiggi con essi il mio cuore già morto.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Pubblicità


  • Risposte 233
  • Created
  • Ultima risposta

Top Posters In This Topic

ROBERT LOUIS STEVENSON

Dopo aver letto "Antonio e Cleopatra"

Come quando la caccia nei boschi e nei campi

incalza nella lotta e nei suoni di corno,

cosi' una fame di cose senza speranza bracca

i nostri spiriti per tutta la vita.

Il boato del mare ci pervade addolorati, pieni

di desiderio senza oggetto,

il boato del mare e il raggio di luna bianco

e il rosseggiare del fuoco.

Chi mi parla di ragione, adesso?

Sarebbe stata una gioia piu' grande

essere morti nelle braccia di Cleopatra

che essere vivi, stanotte.

Trad.R.Mussapi

Autore: R.L.Stevenson (Edimburgo, 1850 - Upolu,

isole Samoa, 1894)

Note: Uno dei piu' grandi scrittori di ogni tempo: tra le

sue opere celeberrime ricordiamo, "L'isola del tesoro" (1883),

"Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hide" (1886).(1886).

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Jack Kerouac

Autostoppista

"Vorrei tanto arrivare a vedere il sole californiano" - -

Bum. Forse è quest'orrendo impermeabile

che mi fa assomigliare tanto ad un perdente im-

maginario gangster suicida, ad un idiota in un

soprabito pietoso, come fa la gente a capire

i miei zaini umidi - i miei zaini infangati -

"Guarda, Joh, un autostoppista"

"Ha l'aria di nascondere una pistola sotto

quel soprabito della Sant'Antonio"

"Guarda, Fred, quel tale sul ciglio della strada"

"E' un assatanato la cui foto è stata pubblicata

su un numero di Tutto Sesso del 1938" - -

"Sei stato tu a trovare il suo cadavere blu in una

edizione sottobanco, con macchie d'ascia"

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Dortmunder di Samuel Beckett

Nella magica penombra omerica

oltre la guglia rossa di santuario

io nullo lei scafo regale

di fretta verso la luce viola verso l'esile musica K'in della mezzana.

Lei mi è davanti nel padiglione illuminato

a reggere le schegge di giada

lo sfregiato segnacolo della calma dei puri

gli occhi gli occhi neri finché l'oriente plagale

non risolverà la lunga frase della notte.

Poi, come un rotolo, piegata,

e la gloria della sua dissoluzione ingrandita

in me, Abacúc, feccia dei peccatori.

Schopenhauer è morto, la mezzana

mette da parte il suo liuto.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
 

Grazie Gavja

le ho sole lette a suo tempo e le trovo sempre interessanti e comunicanti per questo le ho quotate.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Vieni, Notte antichissima e identica,

Notte Regina nata detronizzata,

Notte internamente uguale al silenzio, Notte

con le stelle, lustrini rapidi

sul tuo vestito frangiato di Infinito.

Vieni vagamente,

vieni lievemente,

vieni sola, solenne, con le mani cadute

lungo i fianchi, vieni

e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,

fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,

fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,

cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,

tutte le strade che la salgono,

tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,

tutte le case bianche che fumano fra gli alberi

e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora,

nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,

nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

Nostra Signora

delle cose impossibili che cerchiamo invano,

dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,

dei propositi che ci accarezzano

sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,

al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,

e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.

Vieni e cullaci,

vieni e consolaci,

baciaci silenziosamente sulla fronte,

cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati

se non per una differenza nell'anima

e un vago singulto che parte misericordiosamente

dall'antichissimo di noi

laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia

i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,

perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può

essere nella vita.

Vieni solennissima,

solennissima e colma

di una nascosta voglia di singhiozzare,

forse perché grande è l'anima e piccola è la vita,

e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,

e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio

e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.

Vieni, dolorosa,

Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,

Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,

fresca mano sulla fronte-febbricitante degli Umili,

sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.

Vieni, dal fondo

dell'orizzonte livido,

vieni e strappami

dal suolo dell'angustia in cui io vegeto,

dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni

dal quale naturalmente sono spuntato.

Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,

e fra erbe alte margherita ombreggiata,

petalo per petalo leggi in me non so quale destino

e sfogliami per il tuo piacere,

per il tuo piacere silenzioso e fresco.

Un petalo di me lancialo verso il Nord,

dove sorgono le città di 0ggi il cui rumore ho amato come un corpo.

Un altro petalo di me lancialo verso il Sud

dove sono i mari e le avventure che si sognano.

Un altro petalo verso Occidente,

dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,

e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi

dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.

E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali

- oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! -

affidali all'Oriente,

l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,

l'Oriente pomposo e fanatico e caldo,

l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai,

l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista,

l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,

tutto quanto noi non siamo,

l'Oriente dove - chissà - forse ancor oggi vive Cristo,

dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto..

Vieni sopra i mari,

sopra i mari maggiori,

sopra il mare dagli orizzonti incerti,

vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,

e calmalo misteriosamente,

o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!

Vieni, premurosa,

vieni, materna,

in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti

al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,

e che vedesti nascere Geova e Giove,

e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,

e il grande Spazio Misterioso al di la di essi.. Vieni, Notte silenziosa ed estatica,

avvolgi nel tuo mantello leggero

il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta,

tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,

con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),

polvere di oro sui tuoi capelli neri,

e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.

Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi

Quando tu entri ogni voce si abbassa

Nessuno ti vede entrare

Nessuno si accorge di quando sei entrata,

se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,

che tutto perde i contorni e i colori,

e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,

già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

(Ode alla notte - Fernando Pessoa)

Link al commento
Condividi su altri siti

 

PREVERT

Questo amore

così violento

così fragile

così tenero

così disperato

Questo amore

Bello come il giorno

E cattivo come il tempo

Quando il tempo è cattivo

Questo amore così vero

Questo amore così bello

Così felice

Così gaio

E così beffardo

Tremante di paura come un bambino al buio

E così sicuro di sé

Come un uomo tranquillo nel cuore della notte

Questo amore che faceva paura agli altri

Che li faceva parlare

Che li faceva impallidire

Questo amore spiato

Perché noi lo spiavamo

Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato

Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato

Questo amore tutto intero

Ancora così vivo

E tutto risplendente

E' il tuo

E' il mio

Colui che è stato

Questa cosa sempre nuova

E che non è mai cambiata

Così vera come una pianta

Così tremante come un uccello

Così calda e così viva come l'estate

Noi possiamo tutti e due

Andare e ritornare

Noi possiamo dimenticare

E poi riaddormentarci

Risvegliarci soffrire invecchiare

Addormentarci ancora

Sognare la morte

Svegliarci sorridere e ridere

E ringiovanire

Il nostro amore è là

Testardo come un asino

Vivo come il desiderio

Crudele come la memoria

Sciocco come i rimpianti

Tenero come il ricordo

Freddo come il marmo

Bello come il giorno

Fragile come un bambino

Ci guarda sorridendo

E ci parla senza dir niente

E io l'ascolto tremante

E grido

Grido per te

Grido per me

Ti supplico

Per te per me per tutti quelli che si amano

E che si sono amati

Sì io gli grido

Per te per me e per tutti gli altri

Che non conosco

Fermati là

Là dove sei

Là dove sei stato altre volte

Fermati

Non muoverti

Non andartene

Noi che siamo amati

Noi ti abbiamo dimenticato

Tu non dimenticarci

Non avevamo che te sulla terra

Non lasciarci diventare gelidi

Anche se molto lontano sempre

E non importa dove

Dacci un segno di vita

Molto più tardi ai margini di un bosco

Nella foresta della memoria

Alzati subito

Tendici la mano

E salvaci.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
 

Ora vi riporto la più bella poesia che abbia studiato a memoria alle scuole medie :

Umberto Saba

Gol

Il portiere caduto alla difesa

ultima vana, contro terra cela

la faccia, a non vedere l'amara luce.

Il compagno in ginocchio che l'induce,

con parole e con mano, a rilevarsi,

scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla - unita ebbrezza - par trabocchi nel campo.

Intorno al vincitore stanno, al suo collo si gettano i fratelli.

Pochi momenti come questi belli,

a quanti l'odio consuma e l'amore,

è dato, sotto il cielo di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere

- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,

con la persona vi è rimasta sola.

La sua gioia si fa una capriola,

si fa baci che manda da lontano.

Della festa - egli dice - anch'io son parte.

(U.Saba,poesie scelte,a cura di G. Giudici,

Mondadori, Milano, 1976)

L'autore: Umberto Saba

Forma metrica:3 strofe di 6 endecasillabe ciascuna

Il testo è tratto da: Canzoniere

Genere letterario: lirica

Epoca: 1933-1934

Link al commento
Condividi su altri siti

 
 

La poesia è un frammento

un emozione pregnante che ti coglie nel profondo del cuore

la poesia è una difesa estrema della sensibilità interiore

La poesia è quella di Aldo Rossi dei miei 19 anni

La poesia è quella dei Libri che li leggi come reliquie

la poesia è quella che la domenica ti aiuta a vivere con luce la giornata

La poesia è il sentimento interiore dell'autocommiserazione emotiva

La poesia è la serotonina dell'anima

La poesia è un coccio rotto di bottiglia

la poesia è il disamore

La poesia è il nulla amato

La poesia è comunicazione emotività ellenismo interiore.

La poesia è scrivere con coerenza comunicativa.

La poesia oltre la soglia della veridicità morfologica delle espressioni.

Cosa sarebbe la parola senza poesia

Cosa sarebbero i colori senza i pittori?

Cosa sarebbe Rafael senza cromatismo.

PALIO DEI BORGHI 1978

Contro la spinta

la luce

accecante

dei riflessi

accecata la vista

buttato il testimone

contro la linea del traguardo

di menzogna fatica

il corpo parlava all'anima

di trascorsa speranza

avvilita la gioia

corsi agli abbracci i compagni

fendevo l'aria nel Broletto serale.

NERONI N.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
Cos'è la vita senza la poesia?

Spesso per me la poesia è la bocca che parla quando non ci sono parole.

È il tramite per sentire e comunicare, il mezzo per piangere o sorridere, per amare, per percepire, per unirsi o isolarsi.

Cosa sarebbe la vita senza poesia?... cosa sarebbe la vita senza Arte...non sarebbe vita perchè dentro alla vita vive e si esprime l’Arte. Questo naturalmente per me.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
 

Giosuè Carducci

Plebiscito

VI PREGO LEGGETE QUESTA POESIA E' STUPENDA

Leva le tende, e stimola

La fuga de i cavalli;

Torna a le pigre valli

Che il verno scolorò!

Via! su le torri italiche

L'antico astro s'accende:

Leva, o stranier, le tende!

Il regno tuo cessò.

Amor de' nostri martiri,

De i savi e de' poeti,

Da i santi sepolcreti

La nuova Italia uscì:

Uscì fiera viragine

De le battaglie al suono,

E la procella e 'l tuono

Su 'l capo a lei ruggì.

Levò lo sguardo; e splendida

Su 'l combattuto lido

Mandò a' suoi figli un grido

Tra l'alpe infida le 'l mar:

E di ridesti popoli

Fremon le valli e i monti,

E su l'erette lfronti

Un sangue e un' alma appar.

Già più non grava i liberi

Viltà di cor le ciglia:

Siam l'itala famiglia

Cui Roma il segno diè.

La forte Emilia abbracciasi

A la gentil Toscana:

Legnano e Gavinana

Sola una patria or è.

L'ombre de' padri sorgono

Raggianti in su gli avelli;

Il sangue de' fratelli

Da' campi al ciel fumò.

Già sotto il piede austriaco

Bolle lampeggia e splende:

Leva, o stranier, le tende:

Il regno tuo cessò.

Piena di fati lun'aura

Da i roman colli move;

La terra e il ciel commove

Le tombe e le città.

In ogni zolla, o barbaro,

A te una pugna attesta

L'antica età ridesta

Con la novella età.

Vedi: Crescenzio i tumuli

Schiude nel suol latino:

Levato in piè Arduino

Incalza il nuovo Otton.

T'incalza il sasso ligure,

La siciliana squilla;

E Procida le Balilla

Accende la tenzon.

Ecco: Ferruccio l'impeto

Ed il furor prepara:

Lo stuol di Montanara

Intorno a lui si tien.

Ne i dolor lunghi pallido

Ecco il sabaudo Alberto:

Gittato ha il manto e 'l serto,

Sol con la spada ei vien

A' varchi infidi cacciano

I tuoi destrieri aneli

Poerio con Mameli,

Manara e Rosarol.

Nero vestiti affrontano

Te del Carroccio i forti.

Tornano i nostri morti,

Tornano a' rai del sol.

De i vecchi e nuovi martiri

La voce si diffonde,

E un grido sol risponde

L'Arno la Dora il Po.

Sola una mente e un'anima

Tutta l'Italia accende:

Leva, o stranier, le tende!

Il regno tuo cessò.

E tu, signor de' liberi,

Re de l'Italia armato,

Ne i voti del senato,

Ne 'l grido popolar,

Sorgi, Vittorio: a l'ultima

Gloria de' regi ascendi;

Al popolo distendi

La mano, ed a l'acciar.

T'accomandiamo i pubblici

Diritti e le fortune,

I talami e le cune,

Le tombe de' maggior:

Vieni, invocato gaudio

A i tardi occhi de' padri,

Speranza de le madri,

De' baldi figli amor.

Vieni: anche i nostri parvoli

A fausti dì crescenti

Te con i dubbi laccenti

Chiaman d'Italia re.

Assai splendesti folgore

Ne' sanguinosi campi,

E de la pugna i lampi

Arsero intorno a te.

Vieni, guerriero e principe,

Tra 'l popolar desio:

Teco è l'Italia e Dio:

Chi contro te starà?

Dio pose te segnacolo

D'una fatal vendetta:

Teco l'Italia affretta

A la promessa età.

Straniero, a le tue vergini

Gran lutto allor sovrasta:

Gitta la spada e l'asta;

Dio gli oppressor fiaccò.

De la vendetta il fulmine

Già l'ale infiamma, e scende.

Leva, o stranier, le tende!

Il regno tuo cessò.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

“Il poeta è un uomo mortale

che vive con tutta la sua morte

e con tutta la sua vita,

nel tempo,

e in sé si consuma e si sveglia,

negli altri si popola e si chiama,

e nulla possiede

che non abbia già amato e perduto.”

Alfonso Gatto

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Smunte nella tenèbra

entro a sudari, pallide stelle

le loro torce agitano.

Fatue luci dai più remoti cieli schiaran fioche,

archi su archi svettanti,

la navata della notte nera di peccato.

Serafini,

le osti perdute si svegliano

a servire sino a che

in illune tenèbra ognuna ricade, smorta,

levato che abbia e agitato

il suo turibolo.

E a lungo e alto,

per la notturna navata che si estolle

bàttito di stelle rintocca,

mentre squallido incenso gonfia, nube su nube,

ai vuoti spazi dall'adorante

deserto d'anime.

(Notturno - James Joyce)

Link al commento
Condividi su altri siti

 

La poesia è la serotonina dell'anima

il corpo parlava all'anima

di trascorsa speranza

avvilita la gioia

cito per la coincidenza con una mia visione della psicoterapia, che prevede tra l'altro l'abolizione degli psicofarmaci.

Coincidenza da intendersi in un senso molto ampio, lato.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Caro aioblu

mi fa piacere che hai citato le strofe di una mia poesia!

Ciao.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
  • 1 month later...

Ma io, sempre estraneo

-Fernando Pessoa

Ma io, sempre estraneo, sempre penetrando

il più intimo essere della mia vita,

vado dentro di me cercando l’ombra.

Link al commento
Condividi su altri siti

 
Ma io, sempre estraneo

-Fernando Pessoa

Ma io, sempre estraneo, sempre penetrando  

il più intimo essere della mia vita,  

vado dentro di me cercando l’ombra.

Bella... mi piace molto Pessoa, le sue parole mi toccano sempre nel profondo

....grazie Ilaria :wink:

Link al commento
Condividi su altri siti

 
Ma io, sempre estraneo

-Fernando Pessoa

Ma io, sempre estraneo, sempre penetrando  

il più intimo essere della mia vita,  

vado dentro di me cercando l’ombra.

Bella... mi piace molto Pessoa, le sue parole mi toccano sempre nel profondo

....grazie Ilaria :wink:

ANCHE A ME ' XELA ED ILARIA!!! :oops: :oops: :oops:

Link al commento
Condividi su altri siti

 

LA POESIA CHE AMO DI PIU' :

Autore : CESARE PAVESE

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

o un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina

quando su te sola ti pieghi

nello specchio. O cara speranza,

quel giorno sapremo anche noi

che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Sarà come smettere un vizio,

come vedere nello specchio

riemergere un viso morto,

come ascoltare un labbro chiuso.

Scenderemo nel gorgo muti.

22 marzo 1950

Link al commento
Condividi su altri siti

 

CESARE PAVESE

Poesie tratte da: Antenati

I mari del Sud

(a Monti)

Camminiamo una sera sul fianco di un colle,

in silenzio. Nell'ombra del tardo crepuscolo

mio cugino è un gigante vestito di bianco,

che si muove pacato, abbronzato nel volto,

taciturno. Tacere è la nostra virtù.

Qualche nostro antenato dev'essere stato ben solo

&endash; un grand'uomo tra idioti o un povero folle &endash;

per insegnare ai suoi tanto silenzio.

Mio cugino ha parlato stasera.

Mi ha chiesto

se salivo con lui: dalla vetta si scorge

nelle notti serene il riflesso del faro

lontano, di Torino. "Tu che abiti a Torino…"

mi ha detto "…ma hai ragione.

La vita va vissuta

lontano dal paese: si profitta e si gode

e poi, quando si torna, come me a quarant'anni,

si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono".

Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,

ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre

di questo stesso colle, è scabro tanto

che vent'anni di idiomi e di oceani diversi

non gliel'hanno scalfito. E cammina per l'erta

con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,

usare ai contadini un poco stanchi.

Vent'anni è stato in giro per il mondo.

Se n'andò ch'io ero ancora un bambino portato da donne

e lo dissero morto. Sentii poi parlarne

da donne, come in favola, talvolta;

ma gli uomini, giù gravi, lo scordarono.

Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncino

con un gran francobollo verdastro di navi in un porto

e augurî di buona vendemmia. Fu un grande stupore,

ma il bambino cresciuto spiegò avidamente

che il biglietto veniva da un'isola detta Tasmania

circondata da un mare più azzurro, feroce di squali,

nel Pacifico, a sud dell'Australia. E aggiunse che certo

il cugino pescava le perle. E staccò il francobollo.

Tutti diedero un loro parere, ma tutti conclusero

che, se non era morto, morirebbe.

Poi scordarono tutti e passò molto tempo.

Oh da quando ho giocato ai pirati malesi,

quanto tempo è trascorso. E dall'ultima volta

che son sceso a bagnarmi in un punto mortale

e ho inseguito un compagno di giochi su un albero

spaccandone i bei rami e ho rotta la testa

a un rivale e son stato picchiato,

quanta vita è trascorsa. Altri giorni, altri giochi,

altri squassi del sangue dinanzi a rivali

più elusivi: i pensieri ed i sogni.

La città mi ha insegnato infinite paure:

una folla, una strada mi han fatto tremare,

un pensiero talvolta, spiato su un viso.

Sento ancora negli occhi la luce beffarda

dai lampioni a migliaia sul gran scalpiccío.

Mio cugino è tornato, finita la guerra,

gigantesco, tra i pochi. E aveva denaro.

I parenti dicevano piano: "Fra un anno, a dir molto,

se li è mangiati tutti e torna in giro.

I disperati muoiono così".

Mio cugino ha una faccia recisa.

Comprò un pianterreno

nel paese e ci fece riuscire un garage di cemento

con dinanzi fiammante la pila per dar la benzina

e sul ponte ben grossa alla curva una targa-réclame.

Poi ci mise un meccanico dentro a ricevere i soldi

e lui girò tutte le Langhe fumando.

S'era intanto sposato, in paese. Pigliò una ragazza

esile e bionda come le straniere

che aveva certo un giorno incontrato nel mondo.

Ma uscí ancora da solo. Vestito di bianco,

con le mani alla schiena e il volto abbronzato,

al mattino batteva le fiere e con aria sorniona

contattava i cavalli. Spiegò poi a me,

quando fallí il disegno, che il suo piano

era stato di togliere tutte le bestie alla valle

e obbligare la gente a comprargli i motori.

"Ma la bestia" diceva "più grossa di tutte,

sono stato io a pensarlo. Dovevo sapere

che qui buoi e persone son tutta una razza".

Camminiamo da più di mezz'ora. La vetta è vicina,

sempre aumenta d'intorno il frusciare e il fischiare del vento.

Mio cugino si ferma d'un tratto e si volge: "Quest'anno

scrivo sul manifesto: &endash; Santo Stefano

è sempre stato il primo nelle feste

della valle del Belbo &endash; e che la dicano

quei di Canelli". Poi riprende l'erta.

Un profumo di terra e vento ci avvolge nel buio,

qualche lume in distanza: cascine, automobili

che si sentono appena; e io penso alla forza

che mi ha reso quest'uomo, strappandolo al mare,

alle terre lontane, al silenzio che dura.

Mio cugino non parla dei viaggi compiuti.

Dice asciutto che è stato in quel lungo e in quell'altro

e pensa ai suoi motori.

Solo un sogno

gli è rimasto nel sangue: ha incrociato una volta,

da fuochista su un legno olandese da pesca, il cetaceo,

e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole,

ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue

e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia.

Me ne accenna talvolta.

Ma quando gli dico

ch'egli è tra i fortunati che han visto l'aurora

sulle isole più belle della terra,

al ricordo sorride e risponde che il sole

si levava che il giorno era vecchio per loro.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

CESARE PAVESE

Tratta da: Città di Campagna

Paternità

Fantasia della donna che balla, e del vecchio

che è suo padre e una volta l'aveva nel sangue

e l'ha fatta una notte, godendo in un letto, bel nudo.

Lei s'affretta per giungere in tempo a svestirsi,

e ci sono altri vecchi che attendono. Tutti

le divorano, quando lei salta a ballare, la forza

delle gambe con gli occhi, ma i vecchi ci tremano.

Quasi nuda è la giovane. E i giovani guardano

con sorrisi, e qualcuno vorrebbe esser nudo.

Sembran tutti suo padre i vecchiotti entusiasti

e son tutti, malfermi, un avanzo di corpo

che ha goduto altri corpi. Anche i giovani un giorno

saran padri, e la donna è per tutti una sola.

È accaduto in silenzio. Una gioia profonda

prende il buio davanti alla giovane viva.

Tutti i corpi non sono che un corpo, uno solo

che si muove inchiodando gli sguardi di tutti.

Questo sangue, che scorre le membra diritte

della giovane, è il sangue che gela nei vecchi;

e suo padre che fuma in silenzio, a scaldarsi,

lui non salta, ma ha fatto la figlia che balla.

C'è un sentore e uno scatto nel corpo di lei

che è lo stesso nel vecchio, e nei vecchi. In silenzio

fuma il padre e l'attende che ritorni, vestita.

Tutti attendono, giovani e vecchi, e la fissano;

e ciascuno, bevendo da solo, ripenserà a lei.

Link al commento
Condividi su altri siti

 

Unisciti alla conversazione

Adesso puoi postare e registrarti più tardi. Se hai un account, registrati adesso per inserire messaggi con il tuo account.

Ospite
Rispondi

×   Incolla come testo formattato.   Incolla invece come testo normale

  Sono permesse un massimo di 75 faccine.

×   Il tuo link è stato inserito automaticamente.   Visualizza invece come link

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato.   Editor trasparente

×   Non puoi incollare le immagini direttamente. Carica o inserisci immagini dall'URL.

  • Navigazione recente   0 utenti

    • Non ci sono utenti registrati da visualizzare in questa pagina.



×
×
  • Crea nuovo/a...

Informazione importante

Navigando questo sito accetti le nostre politiche di Politica sulla Privacy.