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Cambiare lavoro a 39 anni.


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No...non è il titolo di un libro di fantascienza...ma una domanda seria. Attualmente lavoro (si fà per dire) come ragioniera da ben 17 anni nella solita azienda. In tutti questi anni ho avuto due figli e rientrando dall'ultima maternità, circa 1 mese fa, il mio lavoro non c'era più!!!

I miei comprensivi capi hanno pensato bene di lasciare il sostituto al mio posto e di relegarmi al ruolo fantasma di tuttofare.....!!!!

Sorvolando sul mio stato d'animo....ho deciso di lasciare le cose così come stanno, per ragioni personali.

Il problema è questo. Dove posso ricominciare alla mia età, cercando di rifarmi una vita lavorativa? Dove vado a sbattere la testa? Esistono centri che si occupano del reinserimento nel lavoro di donne della mia età? E' possibile cambiare totalmente settore lavorativo e ricominciare magari anche nel sociale?

Dove posso informarmi?

Chi può aiutarmi? Giuro che se vado avanti così divento pazza.

Alely

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Io però un salto ai sindacati per farmi tutelare ce lo farei...

Voi assunti a tempo indeterminato avete la possibilità di difendervi: fatelo! Pensa alle precarie...

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Una visita in un bel centro di orientamento (di quelli seri, e possibilimente della Regione), dove ti fanno test, formazione orientativa, bilancio di competenze e contatti informativi con realtà a te utili non sarebbe una cattiva idea...

Una visitina presso i sindacati e associazioni ad hoc (e presso un avvocato specialista) come dice Juditta, neppure guasta, giusto a prevenire un pò di mobbing, e a precostituire le prove per una causa di lavoro.

Un bel chiarimento franco su ciò che provi, con i tuoi capi, neppure sarebbe male, prima che tu ti ammali sul serio.

Se qualcuno sbaglia con te una volta, è colpa sua. Se sbaglia con te la seconda volta è sempre colpa sua, può capitare. Se sbaglia con te la terza volta, è colpa tua.

Auguri!

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Se qualcuno sbaglia con te una volta, è colpa sua. Se sbaglia con te la seconda volta è sempre colpa sua, può capitare. Se sbaglia con te la terza volta, è colpa tua.

...

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Basta fare lo stesso sbaglio almeno tre volte nei confronti della stessa persona e si è salvi. Poi son cavoli suoi.

Non diciamo sciocchezze, Oscar. Non sono rapporti tra morosetti, questi, sono rapporti di lavoro, intrinsecamente asimmetrici,

e dove già spostare la cosa sul piano della "colpa" è un errore che s'aggiunge all'errore (se di errore si tratta).

Psicologi...

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Tariamo i termini, senza accusare nessuno, però. So quanto stia a cuore il tema mobbing, e pertanto è bene prenderlo con le molle.

Per colpa intendo quello che tu percepisci come torto. Se te lo tieni senza dire niente di niente, sulle prime sembra premiare, ma mandi comunque un messaggio che alla lunga ti danneggia. Vale pure con i capi. Non occorre accusare loro di colpe, ma è meglio dire cosa si prova a seguito di provvedimenti effettuati e subiti. Meglio chiarire le cose subito, e se da ciò non cavi un ragno dal buco allora è meglio cambiare strategia. Consapevoli o di dover affrontare una guerra, (se la tua salute emotiva te lo consente) o di dovertene andare via subito.

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Si, meglio essere chiari. Quel concetto dell'"alla terza volta", se non è ben chiarito, può essere molto pericoloso.

Non penso però che sia opportuno dire cosa si prova: c'è il rischio, nel caso in cui si sia di fronte ad una strategia

volutamente finalizzata all'eliminazione per calcolo di convenienza, che dall'altra parte sia proprio ciò che ci si aspetta,

e che il messaggio venga preso come una conferma dell'efficacia della strategia. Inoltre consiste nello spostare il

contrasto su un piano emotivo, dove non è molto facile difendere le proprie ragioni, se se ne hanno.

Anche andare via, nell'immediato può sembrare una buona soluzione che preserva la salute psicofisica, ma alla lunga

può implicare il dover affrontare una guerra.

Il problema, ora come ora, è l'incudine.

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Non penso però che sia opportuno dire cosa si prova: c'è il rischio, nel caso in cui si sia di fronte ad una strategia volutamente finalizzata all'eliminazione per calcolo di convenienza, che dall'altra parte sia proprio ciò che ci si aspetta, e che il messaggio venga preso come una conferma dell'efficacia della strategia.

Continuare a giocare il gioco dei "non detti", danneggia alla lunga proprio la parte che ha meno potere contrattuale, ovvero il dipendente singolo non organizzato. Far credere di non aver subito torti, dimostrando forza che non si ha, è utile solo a chi quella forza ce l'ha davvero, potendo esercitarla all'occorrenza.

E' un'illusione percettiva anche abbastanza studiata, quella di celare le debolezze credendo ciò avvantaggi in fase di negoziazione. Sparigliare il gioco e non giocare, conviene invece proprio al più debole.

Inoltre consiste nello spostare il contrasto su un piano emotivo, dove non è molto facile difendere le proprie ragioni, se se ne hanno.

Se si ha la forza emotiva di sostenere soprusi a lungo, allora che lo si facesse pure, come dici. Ma tutto ciò ha un prezzo difficilmente percebilie e misurabile.

Ricordo che Ilaria, di fronte all'ennesimo tentativo di sopraffazione della propria dirigente scolastica o di una collega, finì un suo post dicendo più o meno: - vorrei non dover sprecare il mio tempo a dover rimarcare regole e far rispettare i miei diritti - Lei questa forsa ce l'ha, e fa bene a tirarla fuori, soprattutto in una scuola dove le tutele dei lavoratori sono ben codificate.

Anche andare via, nell'immediato può sembrare una buona soluzione che preserva la salute psicofisica, ma alla lunga può implicare il dover affrontare una guerra.

In che senso guerra? Ti trovi un altro lavoro dove sei apprezzata. A volte le dinamiche di mobbing partono pure da precise scelte strategiche, e non solo da nepotismi o accordi sottobanco in alte (o altre, se orizzontale) sfere.

Se per guerra intendi quella della ricerca di lavoro, occorre valutare quale delle due guerre per la singola persona ha un prezzo più alto per sè: quella interna all'azienda mobizzante o quella della ricerca di lavoro.

Forse ancora non abbiamo capito che il rispetto per l'uomo in quanto tale, in un'azienda è poco, salvo rari casi fortunati. L'uomo vale solo come fattore della produzione, e se il titolare preserva la salute psicofisica dei dipendenti, lo fa per convenienza produttiva, non per umanità, che spesso quando c'è, è un paravento-contentino per tener buoni i lavoratori.

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Sì, certo avete ragione tutti voi, è che nella mia piccola città, una vertenza significa non trovare più lavoro....garantito.....e poi ho proprio necessità di cambiare aria, per la mia salute intendo.

Il piccolo problema è che come tutti, anch'io non posso rinunciare allo stipendio, e al momento il pensiero di non avere prospettive mi affoga.

Non riesco a credere di non avere vie di fuga....è allucinante, come questo ufficio....

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Se l'orientamento è quello di andar via, è utile sapere che la prescrizione per le cause di lavoro è 7 anni, e non 5, come molti credono. Intentare cause come dici, non conviene subito. C'è tutto il tempo di rifarsi una carriera (e non solo un lavoro), ma prima di far tutto, è opportuno prepararsi il terreno precostituendo più prove possibili. Nel farlo, fatti aiutare da qualcuno dell'INAIL e da un avvocato. Non bastano le promesse di testimonianze che il più delle volte ritrattano quanto detto. La gente che lavora ha paura di compromettersi e pertanto occorrono riscontri oggettivi che non dipendano da esseri umani. La causa la farai fra qualche anno, con calma.

Non farti nemmeno incastrare da accordi stragiudiziali, dove ti si chiederà la rinuncia ad ogni pretesa.

Prenditi qualche ora di permesso per parlare con questi professionisti, orientamento compreso.

Auguri!

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Continuare a giocare il gioco dei "non detti", danneggia alla lunga proprio la parte che ha meno potere contrattuale, ovvero il dipendente singolo non organizzato. Far credere di non aver subito torti, dimostrando forza che non si ha, è utile solo a chi quella forza ce l'ha davvero, potendo esercitarla all'occorrenza.

E' un'illusione percettiva anche abbastanza studiata, quella di celare le debolezze credendo ciò avvantaggi in fase di negoziazione. Sparigliare il gioco e non giocare, conviene invece proprio al più debole.

Ma il datore di lavoro non è uno psicologo e nemmeno un prete. Non parlare "di ciò che si prova" non è

sinonimo di "gioco del non detto". Infilarsi nel piano emotivo è come entrare in un ginepraio, dove si può

sostenere tutto e il contrario di tutto. Infatti i prevaricatori a mezzo abuso di posizione adorano, di fronte

ad una critica o una protesta, spostare il discorso sulla "rabbia" dell'interlocutore, e cose così.

E' un piano paludoso.

Si può invece parlare di ciò che sta accadendo, mettere in discussione le decisioni riguardanti se stessi,

chiedendo chiarimenti, sottolineare (dopo averle verificate), eventuali inadempienze legate alle decisioni

(che non implicano necessariamente "colpa"), evidenziare le possibili ricadute delle decisioni su chi le fa.

Sono tutte cose alle quali un datore di lavoro è tenuto a rispondere.

Certo, con il clima che c'è ora può non farlo e chiudersi in un omertoso riserbo (atteggiamento tipico), ma

non è il contratto a dargli questa forza. E' l'incudine.

Sulla guerra nel caso di scelta di andarsene... beh... anche guerra con se stessi, e con il proprio ambiente

extra-lavorativo. E' un argomento che mi annoia, però, non ho tanta voglia di entrarci. Volevo solo indicare che

quello di non dimettersi a meno che non si abbia già un'alternativa valida e pronta, cioè dopo aver trovato un

altro lavoro soddisfacente, è un consiglio sul quale insistono molto le linee guida su come affrontare il mobbing,

ed è un consiglio che di solito è argomentato.

Certo... se l'alternativa c'è... via! Senza pensarci troppo.

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Ma il datore di lavoro non è uno psicologo e nemmeno un prete. Non parlare "di ciò che si prova" non è

sinonimo di "gioco del non detto". Infilarsi nel piano emotivo è come entrare in un ginepraio, dove si può

sostenere tutto e il contrario di tutto. Infatti i prevaricatori a mezzo abuso di posizione adorano, di fronte ad una critica o una protesta, spostare il discorso sulla "rabbia" dell'interlocutore, e cose così.

Serve per dimostrare proprio quello che proponi anche tu: le ricadute, con la tua minore produttività, rispetto ad una risorsa umana forse più produttiva o che "serve" forse anche per altri motivi. Il datore di lavoro "vero" sa quanto contino le emozioni, e si lederebbe da sè se ripartisse il lavoro trascurando questo aspetto. Spesso si creano e si ripartiscono coppie di lavoro basandosi solo su feeling emotivi, oltre che tecnici.

Se invece c'è mala fede (e nel mobbing c'è) è utile almeno per la tua salute emotiva (ti sei almeno scaricata pur senza accusare nessuno, parlando solo di cosa provi), per il poco che ti rimane da stare lì. Il mostrare le proprie difficoltà (anche emotive) serve al datore di lavoro accorto, che potrebbe adottare soluzioni per mantenere la propria risorsa umana efficiente. Il capo che invece ha già deciso di licenziarti troverebbe scuse, una pacca sulla spalla e via.

quello di non dimettersi a meno che non si abbia già un'alternativa valida e pronta, cioè dopo aver trovato un altro lavoro soddisfacente, è un consiglio sul quale insistono molto le linee guida su come affrontare il mobbing, ed è un consiglio che di solito è argomentato.

Certo, se il tuo piano emotivo ti consente la lunga guerra. Con l'alternativa pronta è meglio scappare subito, come se si fosse stati licenziati senza troppe falsità. - Abbiamo trovato una che ci piace di più (per vari motivi). Ti sostituiamo come un bullone vecchio. Addio -

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Serve per dimostrare proprio quello che proponi anche tu: le ricadute, con la tua minore produttività, rispetto ad una risorsa umana forse più produttiva o che "serve" forse anche per altri motivi. Il datore di lavoro "vero" sa quanto contino le emozioni, e si lederebbe da sè se ripartisse il lavoro trascurando questo aspetto. Spesso si creano e si ripartiscono coppie di lavoro basandosi solo su feeling emotivi, oltre che tecnici.

Se invece c'è mala fede (e nel mobbing c'è) è utile almeno per la tua salute emotiva (ti sei almeno scaricata pur senza accusare nessuno, parlando solo di cosa provi), per il poco che ti rimane da stare lì. Il mostrare le proprie difficoltà (anche emotive) serve al datore di lavoro accorto, che potrebbe adottare soluzioni per mantenere la propria risorsa umana efficiente. Il capo che invece ha già deciso di licenziarti troverebbe scuse, una pacca sulla spalla e via.

Tanto, dimostri, dicendo ciò che provi. Sostieni, forse. Poi però inizia a dimostrarlo, che la tua produttività cade perché sei emotivamente

provato/a e che ciò è dovuto alle decisioni prese da chi hai di fronte (che è un'accusa, anche se la metti giù carina e coccolosa). Hai voglia...

Stai male? Sei tu che sei disadattato/a.

Comunque non è automatico che nel mobbing ci sia malafede. Soprattutto se è mobbing propriamente detto, dove il protagonista è il branco e

il mobbing è frutto di dinamiche di gruppo e organizzative non gestite o gestite male, e di un eccesso di arbitrarietà nei comportamenti collettivi

ed individuali. E' facile confondere cause ed effetti, carnefici e vittime, in mezzo alla confusione condita da altre cose tipiche degli ambienti dove

c'è gerarchia e interesse. Anche un consiglio di andartene "per il tuo bene", che è di fatto un invito a cedere all'esito ultimo del mobbing, può essere

scambiato per un gesto gentile (spesso da parte di chi lo dà, ma, paradossalmente, a volte anche da parte di chi lo riceve...).

E non è del tutto vero che un capo licenzia così allegramente, con una pacca sulle spalle e via. L'immagine è importante per un capo, e l'etichetta

di mobber non è una cosa che rende la vita molto facile. Una volta che te l'hanno stampata in fronte, poi son tutti carini e coccolosi, ma...

Certo, se il tuo piano emotivo ti consente la lunga guerra. Con l'alternativa pronta è meglio scappare subito, come se si fosse stati licenziati senza troppe falsità. - Abbiamo trovato una che ci piace di più (per vari motivi). Ti sostituiamo come un bullone vecchio. Addio -

Se invece l'alternativa non c'è, la lunga guerra la fai comunque, con la disoccupazione e tutte le sue conseguenze economiche e sociali, e con il

precariato, idem. Che il tuo piano emotivo lo consenta o meno. Tanto vale farla senza arretrare e con lo stipendio.

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Tanto, dimostri, dicendo ciò che provi. Sostieni, forse. Poi però inizia a dimostrarlo, che la tua produttività cade perché sei emotivamente provato/a e che ciò è dovuto alle decisioni prese da chi hai di fronte (che è un'accusa, anche se la metti giù carina e coccolosa). Hai voglia...

Stai male? Sei tu che sei disadattato/a.

Questo è il caso della mala fede. Il vantaggio risiede nel tuo scarico emotivo. Si negozia in due, e se vuoi negoziare solo tu, è chiaro che sei il debole e non conviene nè "giocare" nè negoziare. Prepararsi la fuga e via.

Comunque non è automatico che nel mobbing ci sia malafede. Soprattutto se è mobbing propriamente detto, dove il protagonista è il branco e il mobbing è frutto di dinamiche di gruppo e organizzative non gestite o gestite male, e di un eccesso di arbitrarietà nei comportamenti collettivi ed individuali. E' facile confondere cause ed effetti, carnefici e vittime, in mezzo alla confusione condita da altre cose tipiche degli ambienti dove c'è gerarchia e interesse.

Se questo accade (meno spesso ma accade) allora c'è un certo margine per la negoziazione, e far pensare ciò che non si è, è l'illusione percettiva di cui prima. Una delle difficoltà è l'interlocutore spesso multiplo, e la negoziazione diventa complessa e faticosa. Conviene farlo se lo si può sostenere emotivamente.

Anche un consiglio di andartene "per il tuo bene", che è di fatto un invito a cedere all'esito ultimo del mobbing, può essere scambiato per un gesto gentile (spesso da parte di chi lo dà, ma, paradossalmente, a volte anche da parte di chi lo riceve...).

E infatti qui sta la falsità. Ti licenzio, ti inganno e ti faccio credere pure di aiutarti. Puàh... :LMAO:

E non è del tutto vero che un capo licenzia così allegramente, con una pacca sulle spalle e via. L'immagine è importante per un capo, e l'etichetta di mobber non è una cosa che rende la vita molto facile.

Per questo si mobizza...

Se invece l'alternativa non c'è, la lunga guerra la fai comunque, con la disoccupazione e tutte le sue conseguenze economiche e sociali, e con il precariato, idem. Che il tuo piano emotivo lo consenta o meno. Tanto vale farla senza arretrare e con lo stipendio.

[inizio OT]Questo è un aspetto tristissimo di chi non ha potere contrattuale tra le parti... Se potesse dire - ciao, chisenefrega, tanto trovo subito un altro datore di lavoro meglio di te - sarebbe forte...

Ma qui la soluzione sta al di fuori delle "due" parti... e si aprirebbe un discorso di tutele e di organizzazione sociale assai complesso. Trattare il lavoro come una qualsiasi merce o fattore della produzione comporta vantaggi competitivi per le aziende, ma disgregazione umana e sociale, se non si bilanciano le degenerazioni. Diventeremo come tanti schiavi moderni, come i cinesi, che vivono in fabbrica 24 ore al giorno? Noooo dicono i falsi protettori dei nostri interessi, salvo poi non far nulla con ispezioni e pene contro chi aggira le norme, in nome del fatto che si da lavoro alla gente, danneggiando gli imprenditori onesti.[fine OT]

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Questo è il caso della mala fede.

Non è detto. I concetti della psicologia sono applicabili anche a chi compie abusi, non solo a chi li subisce.

Proiezione, negazione, rimozione, resistenze... con tutto questo corredo che tutti abbiamo a disposizione,

ci vuole un nulla a ricostruirsi la situazione in modo da proteggere la propria integrità, e convincersene.

E magari a percepire come "attacco personale" ogni argomentazione contraria.

Soprattutto se si ricopre un ruolo per il quale non si hanno maturato le capacità e le competenze necessarie

(cfr. topic sul leggere...), e anche la tempra, che serve pure quella.

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Non è detto. I concetti della psicologia sono applicabili anche a chi compie abusi, non solo a chi li subisce.Proiezione, negazione, rimozione, resistenze... con tutto questo corredo che tutti abbiamo a disposizione, ci vuole un nulla a ricostruirsi la situazione in modo da proteggere la propria integrità, e convincersene. E magari a percepire come "attacco personale" ogni argomentazione contraria.

Certo! Pur di autogiustificarsi ci si inventa le assurdità più fantasiose. Per questo conviene parlare ai capi di "come ci si sente" e non in termini di "la responsabilità è vostra se mi sento così" (anche se di fatto lo è).

Soprattutto se si ricopre un ruolo per il quale non si hanno maturato le capacità e le competenze necessarie (cfr. topic sul leggere...), e anche la tempra, che serve pure quella.

capi incapaci... arrivano fin dove possono mostrare i loro limiti. Se solo li si potesse bloccare prima... :LMAO:

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capi incapaci... arrivano fin dove possono mostrare i loro limiti. Se solo li si potesse bloccare prima... :flowers2:

Eh.... vista la tua vasta cultura probabilmente conosci il principio di Peter... viene spesso enunciato

come spiritosata... ma secondo me è una cosa tremendamente seria!

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Eh.... vista la tua vasta cultura probabilmente conosci il principio di Peter... viene spesso enunciato

come spiritosata... ma secondo me è una cosa tremendamente seria!

cavolo ste... mi hai sgamato! :flowers2: :LOL:

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Certo! Pur di autogiustificarsi ci si inventa le assurdità più fantasiose. Per questo conviene parlare ai capi di "come ci si sente" e non in termini di "la responsabilità è vostra se mi sento così" (anche se di fatto lo è).

Ci sarebbe tanto da dire sul principio di Peter... ma torniamo qui, che magari se Alely legge ancora... può interessarle di più!

Ora, se si dice "come ci si sente", lo si fa (immagino) con il fine di far prendere atto della correlazione che c'è tra le decisioni gestionali

e le loro conseguenze, e con la speranza che una volta raggiunta la contezza ( :Whistle: ) di ciò, l'interlocutore riveda le sue decisioni.

Se passa il messaggio della correlazione tra scelte e conseguenze, anche l'altro messaggio più a rischio di scontro, cioè "la responsabilità

è vostra eccetera..." è comunque un messaggio che passa, normalmente. Se di fronte si ha qualcuno in atteggiamento difensivo, nel caso

in cui venga detto esplicitamente può essere preso come accusa, se invece passa implicitamente può essere preso come insinuazione, con

reazioni analoghe. Non penso che ci sia una regola generale per scegliere cos'è meglio, ma probabilmente caso per caso si può valutarlo...

Il messaggio importante, però, se di fronte c'è qualcuno aperto o apribile ad un cambiamento decisionale, è quello della correlazione tra

decisioni sue e conseguenze. Ancora... questa è meglio sottolinearla in modo esplicito o dire solo come ci si sente e sperare che dall'altra

parte si raccolgano anche gli altri puntini e li si uniscano?

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Grazie a tutti per le vostre risposte, è solo che mi sto perdendo nei vostri ragionamenti per me un pò troppo da libro stampato. Perdonatemi veramente, ma io sono una persona semplice e faccio fatica a seguirvi. Vorrei sottolineare che mobbing a parte la mia intenzione è quella di uscire al più presto ed in maniera indolore da questa situazione. Mi chiedevo se secondo voi esistono percorsi alternaitvi da poter intraprendere e/o suggerimenti per chi come me vuole ricominciare da capo.

Di fatto, non so come cominciare a muovermi.

Saluti a tutti.

Alely

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Grazie a tutti per le vostre risposte, è solo che mi sto perdendo nei vostri ragionamenti per me un pò troppo da libro stampato. Perdonatemi veramente, ma io sono una persona semplice e faccio fatica a seguirvi. Vorrei sottolineare che mobbing a parte la mia intenzione è quella di uscire al più presto ed in maniera indolore da questa situazione. Mi chiedevo se secondo voi esistono percorsi alternaitvi da poter intraprendere e/o suggerimenti per chi come me vuole ricominciare da capo.

Di fatto, non so come cominciare a muovermi.

Saluti a tutti.

Alely

Ci sono i call center, il mercato della somministrazione di lavoro ...

Non son tempi, Alely. Tienti stretta il tuo lavoro, finché puoi.

PS: Hai provato a con qualche altro studio di ragioneria o con qualche cliente? In 17 anni qualche contatto ci sarà pur stato.

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Alely, tra le nostre "stampe" c'e' stata anche quello che chiedi. Avvocato del lavoro, sindacati, associazioni antimobbing, consulenti INAIL, e infine "forse" qualcuno di loro, se lo riterrà opportuno, ti potrebbe anche consigliare uno psicologo, a scopo preventivo e di stima sul grado "sopportabilità" che tu puoi o meno avere nell'intraprendere un'azione di difesa o di ricerca di nuovo lavoro.

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Se passa il messaggio .... invece passa implicitamente può essere preso come insinuazione, con reazioni analoghe. ....

Il messaggio importante, però, se di fronte c'è qualcuno aperto o apribile ad un cambiamento decisionale, è quello della correlazione tra decisioni sue e conseguenze. Ancora... questa è meglio sottolinearla in modo esplicito o dire solo come ci si sente e sperare che dall'altra parte si raccolgano anche gli altri puntini e li si uniscano?

Se il tatto ha un senso e un vantaggio ad essere usato, rispetto al buttare crudamente in faccia la verità, il motivo è proprio il modo e l'efficacia del suo uso. In altre parole "conviene" usarlo. L'opinione e la deduzione sui comportamenti altrui, seppur corretta offende, il fatto molto meno. Nel nostro caso, il fatto è il "disagio provato" dalla nuova condizione. Il collegamento causa-effetto è bene lasciarlo fare agli altri, perchè se sbattuto preconfezionato direttamente addosso agli altri, si "aumenta" solo la resistenza e l'altrui reazione "contro". Un conto è dire "è colpa tua se sono triste", un altro è dire "mi sento triste". Anche se il provocatore sa che è colpevole, si scatena una reazione molto più tranquilla non accusandolo direttamente.

Se il provocatore-generatore della tristezza (pure la dirigenza di un'azienda) vuole negoziare con noi, ha senso dirglielo, altrimenti avrà avuto solo valore di sfogo.

Dicendolo indirettamente invece, si concede di salvare la faccia all'interlocutore, si concede più tempo per elaborare soluzioni, se almeno c'è la voglia di farlo, dicendo nel contempo sempre cose vere, senza celare nulla. Tatto, in una parola.

Lo schema della "negoziazione esperta" è fatto da una sequenza precisa dove, prima di giungere all'analisi delle cause e alla "richiesta-proposta" si passa proprio da una serie di passaggi intermedi. Se si salta qualche passaggio (si vomitano prima addosso le negatività), si provocano conseguenze nefaste con maggiore facilità. A volte ci si può accorgere che neppure serve negoziare.

Per la risoluzione del conflitto sono rilevanti i PROPRI OBIETTIVI personali e L'IMPORTANZA DELLA RELAZIONE nella risoluzione del conflitto (quanto è importante emotivamente l'altro o l'organizzazione, o per i propri sentimenti o per il proprio sostentamento economico). La combinazione di questi due aspetti origina varie strategie.

Conviene negoziare se obiettivi e relazioni sono importanti (ma ciò richiede mosse audaci e rischiose, come rivelare i nostri interessi sottostanti aspettando che l'altro faccia lo stesso). In tal caso è utile (se tutti e due vogliono negoziare) usare lo schema "io vinco-tu vinci", dove ognuno pensa che avrà un vantaggio se adotterà un approccio di problem solving.

Conviene mediare quando l'obiettivo importa poco ma la relazione sta molto a cuore, rinunciando all'obiettivo per mantenere elevata la relazione. Quando un collega tiene molto a qualcosa, e noi possiamo farne a meno, la mediazione è sicuramente una buona idea.

Si fa i prepotenti costringendo alla resa gli altri, quando l'obiettivo è molto importante mentre non lo è altrettanto la relazione (quando compriamo un'auto usata, diamo priorità al prezzo rispetto ai sentimenti del venditore, cosa che avviene pure in un gara sportiva, nell'uso di tattiche di negoziazione, e... quando si vuole mobbizzare con male fede qualcuno e non interessa la sua amicizia!). Qui lo schema è "io vinco-tu perdi", e se si ha il potere per imporlo, l'altro può solo non giocare o perdere.

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Insomma suggerisci il "gioco del non detto", però lo chiami "tatto". Ma non avevi detto che continuare a giocare il

gioco dei "non detti", danneggia alla lunga proprio la parte che ha meno potere contrattuale?

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Insomma suggerisci il "gioco del non detto", però lo chiami "tatto". Ma non avevi detto che continuare a giocare il gioco dei "non detti", danneggia alla lunga proprio la parte che ha meno potere contrattuale?

E' un pò diverso. "Dire" cosa si prova è esattamente non celare nulla (non fingendo forza che non si ha, specie se si è deboli). Il non detto si riferiva al giocare al "non dire cosa si prova".

Il tatto si riferisce invece all'evitare di ferire i sentimenti degli altri.

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