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buddismo (alla scoperta del buddismo)


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:D:« Il bramino Dona vide il Buddha seduto sotto un albero e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava, nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:

– Sei per caso un dio?

– No, brāhmana, non sono un dio.

– Allora sei un angelo?

– No davvero, brāhmana.

– Allora sei uno spirito?

– No, non sono uno spirito.

– E allora, che cosa sei?

– Io sono sveglio. »

All'origine ed a fondamento del Buddhismo troviamo le Quattro Nobili Verità (ariya-sacca). Si narra che il Buddha, meditando sotto l'albero della bodhi, le comprese nel momento del proprio risveglio spirituale.

Le quattro nobili verità [modifica]

Il "Dhammacakkappavattana Sutta" (in pāli, "Dharmacakrapravartana Sutra" in sanscrito)

il "Discorso della messa in moto della ruota del Dhamma" (od anche Dharma in sanscrito)

È il primo discorso pubblico del Buddha, tenuto al parco delle gazzelle nei pressi di Sarnath vicino Varanasi (attuale Benares) nel 528 a.C. all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya dello stato del Bihar (stato fra i più poveri dell'India) aveva raggiunto il "risveglio spirituale", detto "satori" nel Buddhismo Zen.

Questo discorso è quindi anche detto "Discorso di Benares", fondamentale per il Buddhismo, che da questo primo discorso pubblico prese le mosse e può considerarsi avviato anche come prima comunità buddhista (sanghā) formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli.

In questo discorso si identifica il Buddhismo come "La Via di Mezzo" (majjhimā patipadā) in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita evitando tanto gli eccessi e gli assolutismi, quanto il lassismo e l'abbandono.

Nell'occasione di questo sermone il Buddha rivela le "Quattro Nobili Verità", frutto del proprio "risveglio spirituale" testè raggiunto.

Eccone di seguito l'elenco:

Dukkha: "esiste la sofferenza esistenziale".

Nella vita dell'Uomo è insita una sofferenza di tipo esistenziale: essa affligge l'Uomo a motivo dell'impermanenza della situazione esistenziale che lo accompagna dalla nascita e per effetto della sua nascita immersa nel "saṃsāra".

Questa sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita non solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò che non si ama come, ad esempio, contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che ci dispiacciono.

Ma non solo in questi casi: la sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita anche quando si è costretti alla separazione da ciò che si ama, come quando uno è privato di visioni, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili desiderabili, gradevoli, attraenti, oppure come quando uno non riesce ad ottenere contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che producono il suo bene, il suo benessere, il suo agio, la sua libertà dalla schiavitù, od infine quando uno debba subire la forzata separazione da madre, padre, fratelli, sorelle o da amici, compagni, parenti amati. La frustrazione dei desideri è una delle più usuali percezioni del "dukkha", della cosiddetta "sofferenza esistenziale".

Più in generale, la constatazione che viene fatta nella "Prima Nobile Verità" è che esiste nella vita dell'Uomo una sofferenza esistenziale associata all'impermanenza di tutte le cose, al fatto che ogni cosa è destinata a finire.

Samudaya: "esiste un'origine della sofferenza esistenziale"

La sofferenza esistenziale non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dal desiderio (trsna, in pāli: «taṇhā» o «brama») per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta nelle tre forme di kamatrsna o «desiderio di oggetti sensuali»; bhavatrsna o «desiderio di essere»; vibhavatrsna o «desiderio di non essere».

Nirodha: "esiste l'emancipazione dalla sofferenza esistenziale"

Per sperimentare l'emancipazione dalla sofferenza esistenziale, occorre lasciare andare trsna, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile.

Magga(pāli) o Marga (sanscrito): "esiste un percorso di pratica da seguire per emanciparsi dalla sofferenza esistenziale".

È la strada da intraprendere per avvicinarsi al nibbāna.

Esso è detto il «Nobile Ottuplice Sentiero»

Il Nobile Ottuplice Sentiero

La "Quarta Nobile Verità" consiste nel "Nobile Ottuplice Sentiero" (ariyo atthangiko maggo) che conduce alla piena ed esaustiva realizzazione spirituale buddhista attraverso il superamento di quel condizionamento costituito dalla sofferenza esistenziale che si accompagna alla vita dell'uomo sia dalla sua nascita e sia a motivo della sua nascita (saṃsāra).

Gli elementi del "Nobile Ottuplice Sentiero"

Possono essere considerati secondo tre tipologie. Questo ordinamento, però, non significa affatto che esista un albero gerarchico fra gli otto elementi, né tanto meno che esista un ordine di successione e di importanza fra di essi. Tutti quanti gli otto elementi sono coltivati comtemporaneamente nella pratica buddhista e ciascuno interagisce in una realizzazione sinergica con gli altri.

la "prima tipologia" riguarda la «saggezza» (paññā).

Retto intendimento (sammā diṭṭhi) cioè il riconoscimento delle "Quattro Nobili Verità" attraverso la loro corretta conoscenza e la conseguente loro corretta visione.

Retta risoluzione (sammā sankappa) cioè il corretto impegno sostenuto dalla corretta intenzione nel padroneggiare il trsna (l'attaccamento al desiderio di vivere, alla brama ed all'avidità di esistere, di divenire o di liberarsi, al desiderio di affermare il proprio «sé esistente») in modo da manterene la corretta aspirazione che consegue alla corretta motivazione, al fine di non lasciarsi condizionare dalla «sete di esistere», causa del Samsāra.

la "seconda tipologia" riguarda la «moralità» (sīla).

Retta Parola (sammā vācā) cioè l'assunzione della personale responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione nella loro scelta e ponderandole in modo che esse non producano effetti nocivi agli altri e di conseguenza a noi stessi; ciò significa anche che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso.

Retta Azione (sammā kammanta) cioè l'azione non motivata dalla ricerca di egoistici vantaggi, svolta senza attaccamento verso i suoi frutti. È anche "l'azione che si conforma correttamente alla situazione", nel senso in cui non c'è più distinzione fra l'azione individuale e personale e l'azione del karma cosmico in relazione all'evento in cui l'agire individuale e personale si determina. In questo caso il corretto agire individuale armonizza in modo talmente perfetto il karma specifico prodotto dall'azione individuale al karma cosmico, da non consentire più che il karma individuale si distingua da quello universale e di esso viene quindi a costituire una sua intima ed indistinguibile componente. Per questo motivo la "retta azione" è anche considerata un "agire senza agire".

Retta Condotta di vita (sammā ājiva) cioè vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi un sostentamento adeguato con mezzi che non possano arrecare danno o sofferenza agli altri. Questo comporta anche la corretta padronanza delle proprie intenzioni, in modo che esse siano sempre orientate e dirette lungo la linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) attraverso una corretta azione (sammā kammanta).

la "terza tipologia" riguarda la specificità della «meditazione buddhista» (samadhi).

Retto Sforzo (sammā vāyāma) cioè lasciare andare gli stati non salutari e coltivare quelli salutari. Significa anche confidare nella bontà della propria pratica buddhista perseverando con un corretto ed equilibrato impegno nello sforzo, motivato dalla fiducia (saddhā) che al buddhista praticante proviene dai risultati ottenuti nell'avanzamento lungo il persorso della propria personale realizzazione spirituale e nell'avanzamento verso una sempre maggiore capacità di esercitare una corretta azione (sammā kammanta) nella propria pratica buddhista.

Retta Consapevolezza (sammā sati) cioè la capacità di mantenere la mente priva di confusione, non influenzata dalla brama e dall'attaccamento (trsna)

Retta pratica della meditazione (sammā samādhi) cioè la capacità di mantenere il corretto atteggiamento interiore che porta alla corretta padronanza di sé stessi durante la pratica della meditazione (dhyāna).

Nel Buddhismo Zen si usa il termine giapponese "zanmai" anziché il termine sanscrito "samadhi", con lo stesso significato di raggiungimento del livello più elevato di "unione", riunificazione, identificazione del sé individuale con la realtà esistente. L'uso del termine "zanmai" è particolarmente indicato nel caso dell'ottavo elemento dell'ottuplice sentiero, poiché esso implica uno stato interiore nel quale la mente è assolutamente libera da distrazione ed è assorbita in intensa e decisa concentrazione, la quale, correttamente applicata, è una specifica caratteristica richiesta nella "retta pratica della meditazione"

Vi sono quattro dhyāna (sanscrito) o jhana (pāli).

Il primo dhyāna è una condizione di soddisfazione dovuta alla riflessione e all'investigazione.

Il secondo stadio è la tranquillità senza riflessione nell'investigazione.

Il terzo porta all'assenza di ogni condizionamento proveniente dal trsna che sta alla base della sofferenza, premessa questa indispensabile al conseguimento del successivo stadio.

Il quarto consiste nel nirvana (sanscrito) o nibbāna (pāli), cioè nel superamento della sofferenza esistenziale attraverso il "pensiero-senza-pensiero" e l' «agire-senza-agire» conseguenti alla realizzazione del perfetto «risveglio spirituale buddhista», la cosiddetta "buddhità", vale a dire la «qualità di Buddha» presente in ogni essere umano, talvolta anche definita con il termine «vacuità».

La parola dhyāna è all'origine della parola sinogiapponese zen: quando il Buddhismo arrivò in Cina, fu adattata alla lingua cinese (chan). In seguito il Buddhismo fu introdotto in Giappone e un'importante scuola porta questo nome.

se qualcuno volesse qualche chiarimento se posso.....volentieri :unsure:

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Se ti incontro ti posso uccidere?....aspetto una risposta degna del tuo "SAMANA"

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Se ti incontro ti posso uccidere?....aspetto una risposta degna del tuo "SAMANA"

non crederai alla storia dei "samana".... quella è come i santi del cristianesimo.....

per te sarebbe utile se già non lo comprendi comprendere questa frase

"Se incontri il Buddha uccidilo. Devi vivere libero da ogni dogma: se non riesci a uccidere Buddha, come ucciderai il tuo pregiudizio?"

ma puoi ucciderlo? Credi che io possa rispondere a questa domanda? Sai chi sono che dunque mi puoi uccidere?

comunque il detto aveva come motivazione il fatto che il Buddha e talè perchè tu lo rendi tale, ucciderlo in senso lato significa, uccidere te stesso, il tuo ego....

ma non parliamo di cio che io so, inquanto non ha nessun valore per me figuriamoci per un altro, non ha valore in quanto non può averne ..

cosa pensi del buddismo non come religione ma come spiegazione...

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Beh stai raggiungendo il NIRVANA.

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Beh stai raggiungendo il NIRVANA.

non so cosa sia, ma credo non si possa raggiungere a piedi ^_^

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ebbenè si quello è l'unico "nirvana" che mi sovviene,,,,

ma tornerei al buddismo....

vediamo in sunto il budda dice

che la vita è sofferenza, dice perchè, dice che dobbiamo vedere noi stessi e seguire i comportamenti dell'ottuplice pensiero...

o meglio dice che lui ha visto la sofferenza, da dove nasce e che lui (l'uomo nè era la causa) per superare cio a percorso l'ottuplice sentiero:

Retto intendimento (samma ditthi) cioè il riconoscimento delle "Quattro Nobili Verità" attraverso la loro corretta conoscenza e la conseguente loro corretta visione.

Retta risoluzione (samma sankappa) cioè il corretto impegno sostenuto dalla corretta intenzione nel padroneggiare il trsna (l'attaccamento al desiderio di vivere, alla brama ed all'avidità di esistere, di divenire o di liberarsi, al desiderio di affermare il proprio «sé esistente») in modo da manterene la corretta aspirazione che consegue alla corretta motivazione, al fine di non lasciarsi condizionare dalla «sete di esistere», causa del Samsāra

la "seconda tipologia" riguarda la «moralità» (sila)

Retta Parola (samma vaca) cioè l'assunzione della personale responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione nella loro scelta e ponderandole in modo che esse non producano effetti nocivi agli altri e di conseguenza a noi stessi; ciò significa anche che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso.

Retta Azione (samma kammanta) cioè l'azione non motivata dalla ricerca di egoistici vantaggi, svolta senza attaccamento verso i suoi frutti. È anche "l'azione che si conforma correttamente alla situazione", nel senso in cui non c'è più distinzione fra l'azione individuale e personale e l'azione del karma cosmico in relazione all'evento in cui l'agire individuale e personale si determina. In questo caso il corretto agire individuale armonizza in modo talmente perfetto il karma specifico prodotto dall'azione individuale al karma cosmico, da non consentire più che il karma individuale si distingua da quello universale e di esso viene quindi a costituire una sua intima ed indistinguibile componente. Per questo motivo la "retta azione" è anche considerata un "agire senza agire".

Retta Condotta di vita (samma ajiva) cioè vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi un sostentamento adeguato con mezzi che non possano arrecare danno o sofferenza agli altri. Questo comporta anche la corretta padronanza delle proprie intenzioni, in modo che esse siano sempre orientate e dirette lungo la linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) attraverso una corretta azione (samma kammanta).

la "terza tipologia" riguarda la specificità della «meditazione buddhista» (samadhi)

Retto Sforzo (samma vayama) cioè lasciare andare gli stati non salutari e coltivare quelli salutari. Significa anche confidare nella bontà della propria pratica buddhista perseverando con un corretto ed equilibrato impegno nello sforzo, motivato dalla fede (saddhâ) che al buddhista praticante proviene dai risultati ottenuti nell'avanzamento lungo il persorso della propria personale realizzazione spirituale e nell'avanzamento verso una sempre maggiore capacità di esercitare una corretta azione (samma kammanta) nella propria pratica buddhista.

Retta Consapevolezza (samma sati) cioè la capacità di mantenere la mente priva di confusione, non influenzata dalla brama e dall'attaccamento (trsna)

Retta pratica della meditazione (samma samadhi) cioè la capacità di mantenere il corretto atteggiamento interiore che porta alla corretta padronanza di sé stessi durante la pratica della meditazione (dhyāna).

Nel Buddhismo Zen si usa il termine giapponese "zanmai" anziché il termine sanscrito "samadhi", con lo stesso significato di raggiungimento del livello più elevato di "unione", riunificazione, identificazione del sé individuale con la realtà esistente. L'uso del termine "zanmai" è particolarmente indicato nel caso dell'ottavo elemento dell'ottuplice sentiero, poiché esso implica uno stato interiore nel quale la mente è assolutamente libera da distrazione ed è assorbita in intensa e decisa concentrazione, la quale, correttamente applicata, è una specifica caratteristica richiesta nella "retta pratica della meditazione"

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Alla faccia del "sunto" :;):

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Alla faccia del "sunto" :;):

bhè la soluzione in 20 righe...ma esiste la soluzione??

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bhè la soluzione in 20 righe...ma esiste la soluzione??

Dipende.

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bhè la soluzione in 20 righe...ma esiste la soluzione??

La soluzione in UNA riga:

VIVI OGNI GIORNO COME SE FOSSE IL TUO ULTIMO GIORNO. :;):

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Dipende.

infatti :Yawn: dipende dal fatto che esista o no il problema.... :D::;)::help:

mai stato più serio.-.....era il buddha che rideva di noi......

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La soluzione in UNA riga:

VIVI OGNI GIORNO COME SE FOSSE IL TUO ULTIMO GIORNO. :;):

stupra , violenta e ruba...se è questo cio che ti manca....no??

uccidi il tuo vicino tanto???

ummm potrebbe esserla per alcuni....ma non per tutti :D:

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infatti :Yawn: dipende dal fatto che esista o no il problema.... :D::;)::help:

Esatto... e poi se esiste, ma anche se non esiste, dipende da come lo si formula, e da se lo si formula.

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Esatto... e poi se esiste, ma anche se non esiste, dipende da come lo si formula, e da se lo si formula.

bhè tornado in tema, il buddha aveva il problema ....la vita era sofferenza....un problemone direi---

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bhè tornado in tema, il buddha aveva il problema ....la vita era sofferenza....un problemone direi---

O poareto, che problema aveva? :;):

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O poareto, che problema aveva? :huh:

la sofferenza...il dukka...

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la sofferenza...il dukka...

Ma... sofferenza di tipo fisico, dolore morale per cause note (lutti o simili), depressione...?

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ripeto....

Dukkha: "esiste la sofferenza esistenziale".

Nella vita dell'Uomo è insita una sofferenza di tipo esistenziale: essa affligge l'Uomo a motivo dell'impermanenza della situazione esistenziale che lo accompagna dalla nascita e per effetto della sua nascita immersa nel "saṃsāra".

Questa sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita non solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò che non si ama come, ad esempio, contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che ci dispiacciono.

Ma non solo in questi casi: la sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita anche quando si è costretti alla separazione da ciò che si ama, come quando uno è privato di visioni, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili desiderabili, gradevoli, attraenti, oppure come quando uno non riesce ad ottenere contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che producono il suo bene, il suo benessere, il suo agio, la sua libertà dalla schiavitù, od infine quando uno debba subire la forzata separazione da madre, padre, fratelli, sorelle o da amici, compagni, parenti amati. La frustrazione dei desideri è una delle più usuali percezioni del "dukkha", della cosiddetta "sofferenza esistenziale".

Più in generale, la constatazione che viene fatta nella "Prima Nobile Verità" è che esiste nella vita dell'Uomo una sofferenza esistenziale associata all'impermanenza di tutte le cose, al fatto che ogni cosa è destinata a finire.

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Ah, ho capito, ora! Era depresso. :Love:

Aveva un lavoro? La morosa? Faceva sport, suonava.. qualche òbbi che lo tenesse in attività?

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sei forte....

Parliamo di lui... la depressione non è una bella cosa. :Love: Come affrontò il problema?

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ma non era depresso....a domani

e allora per cosa soffriva? :cray:

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