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lo stato di coscenza.


mio

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Domanda: È vero che in uno stato di intensa consapevolezza, da svegli, si può fare l’esperienza del guardare la rabbia andare e venire dentro di sé senza che essa tocchi la nostra coscienza?

Krishnamurti: Cerchiamo di stare un po’ attenti su questo punto. Lei pensa forse che il sé cosciente sia diverso dalla rabbia? Facciamo un esempio: «Io sono geloso». L’io è forse diverso dalla gelosia? Quella gelosia è forse diversa dalla persona che sta osservando la gelosia? Io sono colui che fa l’esperienza e la cosa di cui faccio esperienza è la gelosia. Chi fa l’esperienza è forse diverso dall’esperienza stessa?

È molto interessante discuterne dal punto di vista di quello che è l’apprendimento. Io sono geloso di te, io sono invidioso di te, e di questa gelosia e di questa invidia voglio imparare tutto, perché quando ne im­paro l’intero contenuto, è finita; questi sentimenti non hanno più presa. Allora, in che modo imparo? Che cos’è l’apprendimento? A parte l’im­parare una lingua, l’imparare a guidare la macchina e così via, che cos’è l’apprendimento? Quand’è che imparate? Voi imparate quando non sa­pete niente. Io imparo una lingua perché non la conosco. Giusto? Se quella lingua la so già, non posso impararla! Vediamo concretamente. Ora – cioè nel presente attivo – stiamo imparando oppure stiamo sem­plicemente accumulando quello che è stato detto, lo stiamo immagazzi­nando per ripensarci più tardi? Vedete la differenza?

Abbiamo parlato dei sogni. Voglio conoscermi, voglio conoscere il me che sogna. Ora, in che modo lo faccio: a partire dalla conoscenza che ho acquisito leggendo Jung, Freud, o i teologi?

Domanda: Dalla lettura di Freud si impara a conoscere Freud.

Krishnamurti: Proprio così. Imparo a conoscere Freud: non imparo certo a conoscere me stesso. Pertanto, quando conosco me stesso attra­verso Freud non sto osservando me stesso; sto osservando l’immagine che Freud ha creato di me. Perciò devo liberarmi di Freud. Ora, però, andiamoci piano: quando osservo me stesso, imparo a conoscermi. Ma se io accumulo la conoscenza che acquisisco di me stesso e poi osservo a partire da quella conoscenza, attuo lo stesso processo dell’osservarmi attraverso Freud. Mi seguite? Allora, posso imparare a conoscermi sen­za immagazzinare niente? Questo è l’unico modo di imparare, perché il me stesso è sempre in movimento, sempre terribilmente attivo, e di questa attività io non posso imparare niente servendomi di qualcosa di statico, sia che si tratti della conoscenza che ho accumulato di me, o di quella che ho acquisito attraverso Freud. Devo quindi essere libero, non soltanto da Freud ma anche dalla conoscenza che ho accumulato su di me ieri. È una cosa molto complicata, non è soltanto un gioco di parole.

Domanda: Sembra che lei accantoni la conoscenza e apprenda dai fatti.

Krishnamurti: Proprio così. Quando voi osservate il fatto senza la conoscenza, allora potete imparare. Altrimenti voi sapete, o credete di sapere. Soltanto così l’apprendimento è creativo; è qualcosa di nuovo. Voi imparate continuamente. Per questo io devo disfarmi non soltanto di Freud e di Jung, ma anche della conoscenza di me che ho acquisito ieri. Chiediamoci prima di tutto: è possibile fare questo?

Domanda: Lei parla di ieri. Ma ci sono tutte le migliaia di ieri che a livello cosciente abbiamo dimenticato e che tuttavia vivono nell’incon­scio. Anche di quelli ci dobbiamo liberare, non è vero?

Krishnamurti: Sì. Riuscite a farlo?

Domanda: Penso che ci si può liberare di...

Krishnamurti: Lei pensa di potere e quindi non sa. Tutto quel che lei può dire è di non sapere. Ora andiamo per gradi; ascolti in silenzio. Approfondisca lo stato della mente che dice: «Non so».

Domanda: È uno stato di quiete.

Domanda: È uno stato aperto.

Krishnamurti: No, no! Non fate affermazioni. Guardate semplicemen­te. Ci sono due milioni di anni di retaggio, migliaia e migliaia di esperien­ze, di impressioni, di situazioni, di conoscenza. Tutto questo è il mio retroterra e io voglio imparare a conoscerlo, spalancarlo e liberarmene, perché tutte quelle cose stanno determinando il mio presente e dando forma al futuro, e così io continuo a vivere in una gabbia. Perciò dico a me stesso: «E una cosa terribile. Devo liberarmene». Non so cosa fare. Non so. Allora mi chiedo: qual è lo stato della mia mente quando dico che non so veramente? Voi e io siamo il risultato di due milioni di anni di condizionamento. Giusto? In questi due milioni di anni sono contenu­ti non soltanto l’eredità animale, ma il tentativo umano di crescere, di diventare; sono contenute centinaia di cose. Noi siamo questo. E tutto questo sta operando nel presente e nel futuro. Questa è la corsa cieca in cui sono vissuto. Io osservo questa corsa cieca e dico: «Devo uscirne». Allora chiedo a voi se sapete come fare, e voi non lo sapete; lo chiedo al Papa, ad altre decine e decine di persone, e neanche loro lo sanno. Loro sanno soltanto in base alla propria terminologia; vale a dire, se credete in Gesù Cristo, se credete in Dio, pensate di sapere in base a quello. Perciò io ora mi metto nella condizione di scoprire qual è lo stato della mia mente quando dico: «Io non so veramente». Vi capita mai di dirlo?

Domanda: In effetti è un’esperienza molto bella.

Domanda: È un’esperienza di umiltà.

Krishnamurti: No, no! Non è affatto un’esperienza. Io non la chiamo esperienza. Non è un’esperienza triste o grande. È un fatto. Non posso dire che è buona o cattiva. È un fatto, come questo microfono. Ho guardato a nord, a sud, a est, a ovest, ho guardato in alto, ho guardato in basso, e veramente non so. Allora che cosa succede?

Domanda: Continua a cercare una via.

Krishnamurti: Allora lei non dice più: io non so.

Domanda: «Io non so» in che modo.

Krishnamurti: Allora lei sta cercando il come. Io sono prigioniero di due milioni di anni di storia. Non posso avere fede in nessuno – nei salvatori, nei maestri, negli insegnanti, nei preti – perché sono loro che mi hanno chiuso in questa gabbia e io stesso sono parte della gabbia. Non so come uscire. Quando dico «Non so» intendo dire proprio que­sto, oppure sto cercando una via d’uscita?

Domanda: intendo dire che non esiste risposta nel repertorio.

Krishnamurti: Ecco. Il vostro repertorio non contiene una risposta, e quindi voi volete trovare un altro repertorio che contenga una ri­sposta.

Domanda: Lei sta continuando a cercare una via.

Krishnamurti: E allora lei è di nuovo nella gabbia. Signori, abbiamo detto «Non so». La nostra mente è confusa ed è a causa di questa confusione che cerchiamo i preti, gli psicologi, i politici. La confusione genera confusione. Perché non dico: «Va bene, sono confuso. Non faccio niente»? Naturalmente andrò in ufficio, continuerò le mie atti­vità quotidiane, ma per la mia confusione psicologica non faccio nien­te perché mi rendo conto che qualsiasi cosa io faccia creo più confu­sione. Quindi, da un punto di vista psicologico, rimarrò immobile. Qualsiasi movimento mi riporta in gabbia. Allora, per quanto riguar­da la gabbia, riuscite a non fare niente da un punto di vista psicolo­gico?

Ascoltate bene. Se voi non fate niente per uscire dalla gabbia, ne siete liberi. È soltanto l’attività incessante, il fare continuamente qualcosa per uscire dalla gabbia che vi fa rimanere in gabbia. Quando vi rendete conto che le cose stanno così vi fermate, non è vero? Vi astenete da qualsiasi attività. Che cosa significa? Significa che da un punto di vista psicologico siete disposti a morire. Perciò quando voi non sapete, e intendete pro­prio questo, siete fuori dalla gabbia perché il passato è finito. E quando voi dite continuamente «Sto cercando, sto chiedendo, devo sapere» che il passato continua a ripetersi.

Domanda: Ma quando si rimane in silenzio...

Krishnamurti: Ah! Non è rimanere in silenzio. È l’azione più intensa.

Domanda: Ma quando non sappiamo niente...

Krishnamurti: Allora possedete voi stessi.

Domanda: Ma è così poco.

Krishnamurti: Non è poco. È quel che è stato per due milioni di anni. È la cosa più terribilmente complessa, e voi dovete imparare a conoscerla. O riuscite a farlo in un istante, oppure potrete andare avanti per altri due milioni di anni. Ma consideriamo soltanto cinquant’anni. In questi cinquant’anni noi abbiamo accumulato moltissimo: ci sono state due ter­ribili guerre, i massacri, la brutalità, i dissensi, le separazioni, gli insulti. È tutto qui. Questa è la gabbia. Noi siamo la gabbia; che ne dite, è possibile uscirne in un istante?

Domanda: In un istante?

Krishnamurti: Naturalmente, deve accadere in un istante. .E se dite di non poterlo fare è finita. Non avete problemi. Se dite: «È possibile», neanche questo significa niente. Ma se dite: «Io veramente non so cosa fare», senza disperazione, senza amarezza, senza rabbia, allora in quello stato privo di qualsiasi movimento, le porte si spalancano.

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Mio è l'essenza della meditazione. Consapevolezza, coscienza, presenza, essenza. Di certo Krishnamurti o lo stesso Osho hanno decisamente ancora questo taglio molto orientale, un pò da iniziati e non tutti lo digeriscono, lo stesso linguaggio a volte è destabilizzante e ambiguo. Perchè molti non amano il mix tra spirituale e psicologico. Ma la sostanza è più che valida, ci sono autori molto più moderni come A. H. Almaas che ne parlano con un approccio meglio legato alla tradizione occidentale. Questo per allargare il panorama.

Però, senza analizzare i Sacri Testi, potremmo porci tra di noi una domanda provocatoria. Tra persone che almeno sanno di non avere la Verità in tasca. E sono sicuro che tu coglierai la provocazione. Questo è un forum di psicologia. Qual'è il fine di una psicoterapia? Quando finisce e quale risultato deve raggiungere? Di non avere più problemi psicosomatici? Di vedere il paziente felicemente sposato mentre prima se ne stava chiuso in casa? Una forma esterna di felicità e benessere? Quando ci fermiamo e cosa cerchiamo?

Questo senza scomodare i vari indirizzi, e anche se chiaramente tra psicanalisi e cognitivo comportamentale c'è una bella differenza di scopo terapeutico...

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Mio è l'essenza della meditazione. Consapevolezza, coscienza, presenza, essenza. Di certo Krishnamurti o lo stesso Osho hanno decisamente ancora questo taglio molto orientale, un pò da iniziati e non tutti lo digeriscono, lo stesso linguaggio a volte è destabilizzante e ambiguo. Perchè molti non amano il mix tra spirituale e psicologico. Ma la sostanza è più che valida, ci sono autori molto più moderni come A. H. Almaas che ne parlano con un approccio meglio legato alla tradizione occidentale. Questo per allargare il panorama.

Però, senza analizzare i Sacri Testi, potremmo porci tra di noi una domanda provocatoria. Tra persone che almeno sanno di non avere la Verità in tasca. E sono sicuro che tu coglierai la provocazione. Questo è un forum di psicologia. Qual'è il fine di una psicoterapia? Quando finisce e quale risultato deve raggiungere? Di non avere più problemi psicosomatici? Di vedere il paziente felicemente sposato mentre prima se ne stava chiuso in casa? Una forma esterna di felicità e benessere? Quando ci fermiamo e cosa cerchiamo?

Questo senza scomodare i vari indirizzi, e anche se chiaramente tra psicanalisi e cognitivo comportamentale c'è una bella differenza di scopo terapeutico...

ciao Diamante.

molto piacere....

il fine credo sia quello di aiutare le persone....

ma l'essenza è il come farlo non trovi?

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ciao Diamante.

molto piacere....

il fine credo sia quello di aiutare le persone....

ma l'essenza è il come farlo non trovi?

certo come in ogni campo della medicina, anzi pure un avvocato questo fa..... :Raised Eyebrow:

Ed anche il come, in fin dei conti ci interessa davvero?

Ma per un paziente? Quando si dice basta e si ritorna ad una vita senza terapia? Per me questo è stato un punto da affrontare.

Sto cercando di dire che potrebbero esserci due punti di vista, se sei d'accordo.

O ci si ferma quando in qualche modo si sono superati i problemi che ci hanno portati a chiedere aiuto, quando si è attraversato il mare del dolore e si ha avuto il coraggio di guardare il proprio baratro, oppure quando si è ottenuto un obiettivo diciamo più "spirituale", tipo una maggiore consapevolezza, una maggiore presenza. Qualcuno osa dire addirittura che lo sviluppo dell'osservatore interno, quello che il tuo autore definirebbe "stadio meditativo" è il fine ultimo di un percorso spirituale e terapeutico, ed è la porta di accesso ad una serenità ed una gioia senza condizioni esterne, a qualcosa di diverso da ciò che cambia in continuazione, appunto dal "divenire", ed ha invece un senso di immutabile, l'essenza. Credo che Krishnamurti voglia dire un pò questo o mi sbaglio?

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certo come in ogni campo della medicina, anzi pure un avvocato questo fa..... :Raised Eyebrow:

Ed anche il come, in fin dei conti ci interessa davvero?

BHè il come è fondamento...

pensa...

un uomo prende un virus ad una gamba, fa malissimo,,,,,,

un medico gli toglie il dolore...come??

gli taglia la gamba....

un'altro estirpa il virus con delle erbe....

il come è insito in cio che è....nel mio percorso lo evitai per tempo prima di capire che eliminavo un fondamento basilare di ogni fatto.

Ma per un paziente? Quando si dice basta e si ritorna ad una vita senza terapia? Per me questo è stato un punto da affrontare.

Sto cercando di dire che potrebbero esserci due punti di vista, se sei d'accordo.

O ci si ferma quando in qualche modo si sono superati i problemi che ci hanno portati a chiedere aiuto, quando si è attraversato il mare del dolore e si ha avuto il coraggio di guardare il proprio baratro, oppure quando si è ottenuto un obiettivo diciamo più "spirituale", tipo una maggiore consapevolezza, una maggiore presenza. Qualcuno osa dire addirittura che lo sviluppo dell'osservatore interno, quello che il tuo autore definirebbe "stadio meditativo" è il fine ultimo di un percorso spirituale e terapeutico, ed è la porta di accesso ad una serenità ed una gioia senza condizioni esterne, a qualcosa di diverso da ciò che cambia in continuazione, appunto dal "divenire", ed ha invece un senso di immutabile, l'essenza. Credo che Krishnamurti voglia dire un pò questo o mi sbaglio?

intanto bisognerebbe capire cos'è "la terapia"...

c'è un uomo che è in conflitto con la società, con l'ambiente che lo circonda, e non riesce a essere sereno sviluppando le così dette "patologie" che possono essere di svariate forme e intensità...

questi malesseri psicologici hanno un perchè bisognerebbe capire, perchè la cosa divide in due mondi completamente opposti l'intervento possibile....

io, personalmente non credo a nessuna patologia nemmeno quelle alla nascita in caso di malformazioni ( se per patologie si intende "malfunzionamento")

io credo che l'essere umano, essere risultato da migliardi di anni di evoluzione del cosmo intero, sia perfetto nella sua evoluzione e credo che ad ogni cosa ci sia dietro una spiegazione abbastanza semplice anche.

io credo che l'uomo viva nel conflitto che lui stesso si è creato, credo che tutto dipenda dalla falsa idea che a di se, lo psicoterapeuta che molto spesso vive gli stessi conflitti che cura non è in grado di curare definitivamente può solo eliminare i sintomi del disagio non la fonte, perchè solo il paziente da solo può farlo conoscendo se stesso, imparando con l'osservazione il suo funzionamento.....

non so dire altro, una osla precisazione, l'osservatore interno è la causa stessa di ogni conflitto, il mio intelocutore sicuramente direbbe "vedetene la falsità"....

l'osservatore ed il divenire sono la medesima cosa, senza attore si è, non si diviene....

spero di continuare l'argomentazione...

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se ti va appena ho un minuto lo analizziamo insieme,....

non riesco proprio a capire il contenuto.. leggo le parole e singolarmente le comprendo . ma messe insieme non mi danno alcun senso .

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Domanda: È vero che in uno stato di intensa consapevolezza, da svegli, si può fare l’esperienza del guardare la rabbia andare e venire dentro di sé senza che essa tocchi la nostra coscienza?

Krishnamurti: Cerchiamo di stare un po’ attenti su questo punto. Lei pensa forse che il sé cosciente sia diverso dalla rabbia? Facciamo un esempio: «Io sono geloso». L’io è forse diverso dalla gelosia? Quella gelosia è forse diversa dalla persona che sta osservando la gelosia? Io sono colui che fa l’esperienza e la cosa di cui faccio esperienza è la gelosia. Chi fa l’esperienza è forse diverso dall’esperienza stessa?

.

bene,

iniziamo da qui , sempre che ti vada.....

ora qui si parla del falso concetto che ci fa esprimere così....."sono arrabbiato" creando una divisione tra noi e il sentimento, ma l'unica cosa che esiste come fatto è "la rabbia"....l'idea del se, è un pensiero non è un fatto.....

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Krishnamurti: No, no! Non è affatto un’esperienza. Io non la chiamo esperienza. Non è un’esperienza triste o grande. È un fatto. Non posso dire che è buona o cattiva. È un fatto, come questo microfono. Ho guardato a nord, a sud, a est, a ovest, ho guardato in alto, ho guardato in basso, e veramente non so. Allora che cosa succede?

E' un fatto che ciò che ignoriamo è infinitamente più grande di ciò che conosciamo. Il consapevole sa d'ignorare, riconosce i limiti della propria coscienza. L'inconsapevole ignora d'ignorare e dunque crede di sapere. Più lo credi è più sei inconsapevole, potremmo dire. Siamo tutti sulla stessa barca. Purtroppo sono persuaso che la coscienza non sia fatta per tutti. Mi piacerebbe. Non esiste università che vi farà prendere la laurea in consapevolezza di sé. E' una materia che non dipende dalla quantità dei libri che si leggono, nè dal conto in banca. Ed è quì che si annida l'ingiustizia della nostra società che crede di selezionare gli ingegni in base alla ricchezza piuttosto che per le predispsizioni connaturate dell'individuo. La psicologia nasce, a mio avviso, come necessità di cura dell'umanità da sé. E' dovuta emergere alla coscienza per motivi di sopravvivenza del genere umano.

Salve a tutti.

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Krishnamurti: No, no! Non è affatto un’esperienza. Io non la chiamo esperienza. Non è un’esperienza triste o grande. È un fatto. Non posso dire che è buona o cattiva. È un fatto, come questo microfono. Ho guardato a nord, a sud, a est, a ovest, ho guardato in alto, ho guardato in basso, e veramente non so. Allora che cosa succede?

E' un fatto che ciò che ignoriamo è infinitamente più grande di ciò che conosciamo. Il consapevole sa d'ignorare, riconosce i limiti della propria coscienza. L'inconsapevole ignora d'ignorare e dunque crede di sapere. Più lo credi è più sei inconsapevole, potremmo dire. Siamo tutti sulla stessa barca. Purtroppo sono persuaso che la coscienza non sia fatta per tutti. Mi piacerebbe. Non esiste università che vi farà prendere la laurea in consapevolezza di sé. E' una materia che non dipende dalla quantità dei libri che si leggono, nè dal conto in banca. Ed è quì che si annida l'ingiustizia della nostra società che crede di selezionare gli ingegni in base alla ricchezza piuttosto che per le predispsizioni connaturate dell'individuo. La psicologia nasce, a mio avviso, come necessità di cura dell'umanità da sé. E' dovuta emergere alla coscienza per motivi di sopravvivenza del genere umano.

Salve a tutti.

ciao,

piacere di leggerti.....

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  • 2 weeks later...
Mio è l'essenza della meditazione. Consapevolezza, coscienza, presenza, essenza. Di certo Krishnamurti o lo stesso Osho hanno decisamente ancora questo taglio molto orientale, un pò da iniziati e non tutti lo digeriscono, lo stesso linguaggio a volte è destabilizzante e ambiguo. Perchè molti non amano il mix tra spirituale e psicologico. Ma la sostanza è più che valida, ci sono autori molto più moderni come A. H. Almaas che ne parlano con un approccio meglio legato alla tradizione occidentale. Questo per allargare il panorama.

Però, senza analizzare i Sacri Testi, potremmo porci tra di noi una domanda provocatoria. Tra persone che almeno sanno di non avere la Verità in tasca. E sono sicuro che tu coglierai la provocazione. Questo è un forum di psicologia. Qual'è il fine di una psicoterapia? Quando finisce e quale risultato deve raggiungere? Di non avere più problemi psicosomatici? Di vedere il paziente felicemente sposato mentre prima se ne stava chiuso in casa? Una forma esterna di felicità e benessere? Quando ci fermiamo e cosa cerchiamo?

Questo senza scomodare i vari indirizzi, e anche se chiaramente tra psicanalisi e cognitivo comportamentale c'è una bella differenza di scopo terapeutico...

L'ingenua convinzione che ci sia una "fine" per una terapia può causare molti danni, quando questa "fine" è vista come una cosiddetta "guarigione". L'atto stesso di vivere implica una terapia senza fine, che può essere certamente un'autoterapia, quella che dovrebbe presupporre un'attenzione vigile al nostro muoverci nell'attimo, al di fuori di ogni giudizio e pregiudizio, di ogni senso di colpa. Una terapia classica può avere come fine un inserimento -o pseudotale- del paziente nel sociale, questo per me non implica certo il termine della "malattia", e dire che tutti siamo malati significa in generale che tutti, in varia misura, viviamo di questa insicurezza ontologica eterna che è la comune sorte dell'essere umano. Krishnamurti -dissento da Diamante- nel suo modo di esporre viene incontro all'occidente, non esprime coi termini ormai noti le filosofie tradizionali orientali; rimane però il problema centrale che avevo esposto su un altro topic: parlando di cose assai semplici si rischia di complicarle in modo che sembrano concezioni assurde e lontane da noi, mentre rappresentano la linfa vitale di una vita da vivere liberi finalmente dal dolore mentale.

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io credo che la base sia accettarsi e conoscersi....se non arrivi a vedere la tua realtà ben lontana da quel "obbiettivo" , e non solo a vederla ma anche a capire come ti domina e come agisce per te....non puoi nulla..

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L'ingenua convinzione che ci sia una "fine" per una terapia può causare molti danni, quando questa "fine" è vista come una cosiddetta "guarigione". L'atto stesso di vivere implica una terapia senza fine, che può essere certamente un'autoterapia, quella che dovrebbe presupporre un'attenzione vigile al nostro muoverci nell'attimo, al di fuori di ogni giudizio e pregiudizio, di ogni senso di colpa. Una terapia classica può avere come fine un inserimento -o pseudotale- del paziente nel sociale, questo per me non implica certo il termine della "malattia", e dire che tutti siamo malati significa in generale che tutti, in varia misura, viviamo di questa insicurezza ontologica eterna che è la comune sorte dell'essere umano. Krishnamurti -dissento da Diamante- nel suo modo di esporre viene incontro all'occidente, non esprime coi termini ormai noti le filosofie tradizionali orientali; rimane però il problema centrale che avevo esposto su un altro topic: parlando di cose assai semplici si rischia di complicarle in modo che sembrano concezioni assurde e lontane da noi, mentre rappresentano la linfa vitale di una vita da vivere liberi finalmente dal dolore mentale.

Turbo sono assolutamente d'accordo con te. Del resto lo stesso Freud definisce la nevrosi come un allontanamento dalla realtà ed il riavvicinamento alla realtà come scopo di ogni terapia. Questo principio resta valido a mio parere per qualsiasi percorso psicologico e/o spirituale. Ed è un cammino senza fine, che porta per fortuna non ad un annullamento (anche se ne sembra una tappa), ma ad una gioia, una serenità che esiste qualcosa che "è" al di là di ciò che "diviene". E ci si arriva attraverso se stessi, attraverso l'osservazione che il tutto è già dentro di noi, senza cercarlo fuori, nemmeno in una divinità. Paradossalmente infatti la religione tradisce questo scopo, almeno nella comune accezione. Anche per questo io ho abbandonato questa strada nella mia ricerca, senza tradire nulla del mio sentire.

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