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Sensazione di essere preso in giro da una ragazza [1621616441284]

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Michele, 75 anni

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Gent.mo Dott.,

sono un musicista (ed ex bancario). Da un po' di tempo mi reco presso un negozio saltuariamente dove si trova una commessa di 31 anni, fidanzata, che veramente mi ha colpito. Ha letto il mio profilo su facebook, quindi sa in generale cosa faccio. Le ho partecipato quelle che per me sono le sue caratteristiche fisiche inusuali che mi hanno colpito. Inizialmente, al mio ingresso nel negozio, metteva su pantomine con un collega con cui si vede che ha un evidente feeling. Le ho inviato due ani fa un messaggio sul web chiedendole se lavorasse ancora in quanto al temo, precaria.

Richiesta di sessione di terapia [1619526925343]

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Daniele C., 24 anni

domanda

 

 

Ciao, sono un ragazzo di 24. Ho dei problemi a gestire rabbia e nervosismo e la cosa ha un effetto negativo su di me e sulle persone vicine. Vorrei trovare una soluzione ad essa e credo che uno psicologo mi possa aiutare.

Grazie dell'aiuto.

Mia nipote [1618406045384]

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lucia, 60 anni

 

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Salve!

passo subito al sodo ... ho una nipote, figlia di mia sorella, che ha 40 anni e che ad oggi, non ha mai avuto una storia sentimentale o un ragazzo da amare.

Superare un lutto [1616440552273]

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Caregiver, 50 anni

 

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Buonasera Dottori,

Ho quasi cinquant'anni, non ho figli e non sono mai stata sposata. Ho passato gli ultimi vent'anni a prendermi cura dei miei genitori: mio padre prima, mia madre poi.
Alcuni mesi fa mia madre è venuta a mancare a causa del covid-19 contratto in ospedale dove era ricoverata per altri motivi.
Lei era affetta da demenza e negli ultimi anni aveva sviluppato un attaccamento quasi morboso nei miei confronti che mi ha portato, progressivamente, a ridurre il lavoro per prendermi cura di lei. Nell'ultimo anno, in particolare, sia per le sue condizioni che andavano peggiorando, sia per il lockdown, ho completamente abbandonato il lavoro per dedicarmi totalmente a lei standole accanto ventiquattr'ore al giorno. Non è stato facile... La demenza, si sa, è molto impegnativa per i familiari conviventi: non c'erano orari, non c'erano farmaci, non c'erano maniere dolci o brusche... c'erano solo le sue crisi psicotiche rese ancora più complicate dall'impossibilità che venisse seguita da uno specialista a causa dell'emergenza sanitaria. Ormai i momenti di lucidità e di calma erano sempre più rari e lei aveva sempre più difficoltà a far capire i suoi bisogni o i suoi fastidi: era diventava alla stregua di un infante che ha bisogno che gli adulti comprendano i suoi disagi. In questo quadro fisico e psichico estremamente debilitato, è stato necessario ricoverarla in ospedale a seguito di un malore. Il suo ultimo mese di vita lo ha passato da sola in due diverse strutture senza nessun punto di riferimento e senza poter capire cosa stava succedendo.

E io non riesco a darmi pace... saperla da sola, incapace di dire anche semplicemente che voleva bere, è un pensiero che mi tormenta costantemente...
E' come se non fossi stata in grado di proteggerla, come se l'avessi abbandonata nel momento in cui aveva maggior bisogno di me: non sapere se mai mi abbia cercata, se si sia arrabbiata con me perché non c'ero, se sia riuscita a scorgere delle persone dietro le protezioni con gli scafandri degli operatori sanitari, se abbia pensato di essere stata lasciata sola per punizione, se abbia sofferto per tutte le volte che le hanno fatto un prelievo, o una radiografia o un elettrocardiogramma... sono tutti dubbi che mi perseguitano e che mi impediscono di andare avanti.
Ero preparata alla sua morte (era ormai novantenne e negli ultimi mesi la malattia mentale iniziava a manifestare i suoi effetti anche nel fisico), ma non ero preparata a questa morte: per un anno ho fatto di tutto per proteggerla dal virus (come da qualunque altra cosa) e mai avrei pensato che ne sarebbe stata contagiata in ospedale.
Poi l'impossibilità di farle il funerale (una veloce benedizione ad una bara chiusa e un attimo dopo era già sotto terra) penso mi abbiano dato il colpo di grazia... io non l'ho vista morta: in alcuni momenti è come se fosse ancora in ospedale, come se dovesse tornare a casa da un momento all'altro.
Lo so che non è vero, lo so che è morta e che non tornerà mai più: mi dicono che devo farmene una ragione e andare avanti, ma io mi sento sospesa, sempre in attesa di qualcosa che deve ancora accadere.
E allora mi chiedo: ne uscirò mai? riuscirò a rimettermi in piedi e ad andare avanti? smetterò di vivere sospesa in attesa di quello che sarà? riacquisterò una serenità che, ormai da mesi, più non mi appartiene? oppure il coronavirus ha modificato anche la nostra (mia) capacità di elaborare il lutto? si può ricondurre il mio stato ad un clima mondiale di ansia e preoccupazione per la pandemia? superata la pandemia, supererò anche il dolore? e l'impossibilità di attribuire tanta sofferenza a un responsabile, ha il suo peso nella mia incapacità di superare questo distacco? cioè: se potessi prendermela con qualcuno, se avessi un colpevole da condannare se non il virus, riuscirei a elaborare prima il lutto?...
Sono confusa, molto confusa, estremamente confusa: ogni giorno mi sforzo perché vada meglio, ma l'angoscia è dietro l'angolo, lo sconforto mi aspetta al varco...

Se c'è un modo per uscirne, vi prego di farmelo sapere: ho bisogno di un po' di serenità.

Grazie a chi potrà rispondermi.

 


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risposta

 

 

Buongiorno signora,

Innanzitutto le esprimo le mie condoglianze per la perdita di sua madre. Mi dispiace.

Sono tre gli aspetti fondamentali che descrive del suo vissuto di lutto:

1) il dubbio di non aver potuto proteggere sua madre fino in fondo da un suo possibile senso di abbandono, rabbia, sofferenza.

2) uno stato di dissociazione tra ciò che sa (è morta) e ciò che percepisce (“come se fosse ancora in ospedale.. come se dovesse tornare a casa da un momento all'altro,… in attesa di qualcosa che deve ancora accadere”).

3) essere impreparata al fatto che sua madre potesse “mancare a causa del covid-19 contratto in ospedale”.

Il merito al primo aspetto posso riferirle che il dubbio di non aver protetto abbastanza un congiunto che sia venuto meno per una malattia è spesso condiviso dai caregiver di persone con altre patologie, per esempio i pazienti oncologici.

Spesso i familiari caregiver dicono “non ho fatto abbastanza per salvarlo, potevo portarlo a curarsi altrove, potevo portarlo all’estero”.

Ciò accade anche quando si possa assistere e accompagnare il congiunto nel fine vita e si possa dare compiutamente una cerimonia funebre.

Si tratta di un’autoattribuzione di responsabilità che evoca il desiderio di una riparazione alla morte che ancora non si accetta. In altri termini ha la funzione di ritardare l’elaborazione del lutto nei casi in cui i processi di cura precedentemente attivati facciano fatica a disattivarsi per ragioni che attengono anche all’abituazione delle condotte di cura e presa in carico. Nel suo caso le ragioni sono duplici: da una parte un sistema motivazionale di cura che ha espresso per molti anni non solo nei riguardi di sua madre già prima del Covid e per via della demenza ma anche nei riguardi di suo padre; dall’altra parte il fatto di aver delegato le sue funzioni di cura all’ospedale che però è stato anche il luogo dove sua madre ha preso il Covid ed è deceduta.

In altri termini la sua confusione e il suo senso di incapacità a proteggere sua madre in parte può essere dovuta non tanto al fatto che non sappia se sua madre si sia sentita abbandonata o abbia sofferto, quanto invece al fatto che Lei viva un conflitto in relazione alla protezione/non protezione dell’ospedale, che ha assolto per un certo periodo alle sue personali funzioni di cura da tanto attivate e che si configura però sia come luogo di cura che come luogo di morte. Lei dice: “mai avrei pensato che ne sarebbe stata contagiata in ospedale”. Identificandosi per delega con le funzioni di cura dell’ospedale, potrebbe rappresentarsi in modo più o meno consapevole ed implicito come inefficace ad aver salvaguardato sua madre. Anche se non stiamo dando la responsabilità all’ospedale, anche se lei esplicitamente afferma di non riuscire a dare responsabilità a nessuno di esterno potrebbe avere un dubbio inespresso circa il fatto che si sarebbe potuto evitare il Covid a sua madre se non fosse stata ricoverata per le altre ragioni per cui aveva bisogno di ricoverarsi. Scrive: “ non ero preparata a questa morte: per un anno ho fatto di tutto per proteggerla dal virus (come da qualunque altra cosa) e mai avrei pensato che ne sarebbe stata contagiata in ospedale”. E’ un dubbio quello che non potrebbe risolvere con la logica dei “se”: conviene ricordarsi invece che sua madre aveva bisogno di ricoverarsi a prescindere dal Covid e che quel bisogno è stato accolto.

In merito al secondo aspetto, la dissociazione tra ciò che sa e la sospensione che percepisce nasce proprio dal non aver potuto constatare fisicamente la morte di sua madre. Succede anche ai bambini, allorquando perdono un genitore e per alcuni di loro nessuno dice la verità in tempo reale e nessuno li accompagna a salutare a “vedere” il corpo del genitore deceduto : se si dice la mamma è salita in cielo, è a pranzo con gli angeli è volata e mi ha detto che starà sempre con te..si lascia il bambino nella condizione di fare fantasie che la mamma prima o poi tornerà con un volo di ritorno, si allungano i tempi di elaborazione del lutto, gli si impedisce di toccare con mano la verità. Lo stesso accade agli adulti che perdono un familiare e non ne possono vedere la salma. Non si ha concretezza, apprendimento concreto, epidermico, della morte. Lo si sa con la ragione, ma non lo si sente con quella mano che accarezza un volto freddo. Se poi non si può celebrare il rito funebre, manca appunto un rito. Abbiamo quello della nascita e anche quello della morte. Un rito per definizione è collettivo, sociale e sostiene una presa di coscienza condivisa del fenomeno, in questo caso della morte, la attesta e certifica collettivamente rendendo più facile per certi versi l’elaborazione del lutto. Quello che posso consigliarle in merito a questo punto è di parlare con i sanitari che hanno seguito sua madre fino all’ultima esalazione, di farsi raccontare da loro com’era che espressione aveva. Prenda contatto con chi ha avuto contatto con lei. Può aiutarla. Spero, nel caso prenda questa iniziativa, che i sanitari siano disponibili eventualmente a dedicarle del tempo.

In merito al terzo aspetto, l’essere impreparata al fatto che sua madre potesse “mancare a causa del covid-19 contratto in ospedale” oltre a quanto già detto sopra in merito al primo aspetto, le segnalo qui il fatto di dire di essere nello specifico “impreparata”. Quando ci si sente impreparati, senza risorse, ad eventi gravi inaspettati spesso si delineano risposte dai vissuti traumatici. Fra le risposte, il senso di impotenza (non essere preparati), il non riuscire a farsene una ragione (non era contemplato nelle mie aspettative), la confusione (senso di stordimento, rallentamento), e soprattutto senso di congelamento (tutto rimane fermo e sospeso..come in attesa di qualcosa che doveva arrivare e non è arrivato..in attesa di quello che sarebbe potuto essere e non è stato..che porta nel suo caso alla non realizzazione “sentimentale-emotiva” della morte avvenuta).

Lei si chiede se “si può ricondurre il mio stato ad un clima mondiale di ansia e preoccupazione per la pandemia? superata la pandemia, supererò anche il dolore? e l'impossibilità di attribuire tanta sofferenza a un responsabile, ha il suo peso nella mia incapacità di superare questo distacco?”.

Sono domande che tentano di normalizzare la morte di sua madre, di darle un significato storico che possa rendere più accettabile la perdita in virtù di qualche cosa che era imprevedibile per tutti difficile, da gestire per tutti e che quindi dovrebbero anche normalizzare le sue reazioni di angoscia di difficoltà di distacco. In questo momento sembra le sia più difficile accettare di stare male per la perdita di sua madre che accettare la perdita di sua madre in sé ( a cui tra l’altro era pure diversamente preparata perché già malata e anziana). Io direi che anche se si tratta di una morte “per Covid” e quindi storicamente normalizzabile, è pur sempre la morte di sua madre e in quanto morte questa crea un vissuto specifico, diverso per esempio da quello che si sperimenta per la nascita di un figlio, o per un matrimonio, sono vissuti a avolte delineanti anche culturalmente. In alcune culture la morte viene celebrata a festa con gioia ad esempio. Ma pur sempre un distacco il cui dolore va ricondotto alla stiria personale e nella sua c’era un attaccamento “morboso” di sua madre verso di lei. E’ questo che va rielaborato: non dovrebbe distaccarsi dall’elaborazione del lutto ma dall’attaccamento morboso che aveva sua madre con lei quando era in vita. Anche perchè quell'attaccamento morboso ha significato epr lei tanti sacrifici, tante rinunce anche professionali: sapere che sua madre è morta di covid, in ospedale, le sottrae in qualche modo la percezione che quei sacrifici andassero comunque fatti. Probabilmente ha bisogno di riaffermare che quei sacrifici valessero la pena.

A prescindere dal fatto che sia morte per Covid, di Covid o di demenza o di altro ancora.

Dare la responsabilità a se stessa o ad altri della morte di sua madre, lavorare su questo è un po’ come andare fuori tema. Non è questo il punto. Ce la farà, presumibilmente se seguirà la linea che le ho indicato qualche riga sopra e con l’aiuto ed il pare di qualche mia collega che potrà aiutarla tecnicamente

Spero però di esserle stata di aiuto ad avviare il processo.

Le auguro tanta serenità e buona vita.

Un abbraccio e un caro saluto

Liuva Capezzani

 

 

 


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Sig.na [1614604537832]

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sara, 24 anni

 

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Sono una ragazza di 24 anni.

E' la seconda volta che mi sento "vuota".

La prima volta mi era capitato quando avevo 17 anni (mi erano venuti "flashback" di quando ero piccola). In questi flash vedevo ripetutamente l'ex ragazzo di mia sorella che ogni sera quando avevo 5/6 anni mi accompagnava a letto e mi chiedeva di toccarlo, ecc..; per conferma avendo sempre vissuto con i miei genitori ho chiesto loro se fosse possibile che questo fosse accaduto realmente o se fosse solamente la mia "immaginazione". Sta di fatto che dopo un paio di mesi questo vuoto è sparito come se nulla fosse.

Morte del padre senza emozioni [1614066472320]

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bianca, 54 anni

domanda

 

 

Buongiorno Dottori,

da qualche settimana è morto mio padre di 81 anni dopo una breve malattia. Non ho mai avuto un buon rapporto con lui, la nostra relazione era pressoche lavorativa, poichè abbiamo un'impresa famigliare. Mio padre ha fondato l'attività e l'ha sempre guidata come una cosa sua, io (unica figlia) sono sempre stata una dipendente come gli altri anche se negli ultimi anni l'impresa veniva portata avanti da me. Mio padre è sempre stato un uomo generoso e divertente al di fuori della famiglia, ma con me molto rigido e poco affettuoso ed io sono cresciuta sperando di non assomigliargli, crescendo i miei figli e vivendo la mia vita in modo molto dverso.

Autostima? [161290462495]

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domanda

 

 

Buonasera!

vi scrivo perche' alla soglia dei 50 anni mi rendo conto di non aver mai portato a termine i molti progetti professionali e personali, nonostante sia una donna indipendente, creativa, professionale e resiliente.

Vorrei cambiare questo aspetto,,,potete guidarmi?

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