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BULIMIA (60687)

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on . Postato in Disturbi alimentari | Letto 728 volte

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MARIA, 29 anni, 21.12.2002

Scrivo perchè da due anni sono amica di una ragazza che soffre di bulimia. Ha 27 anni ora, ciò che so della sua vita è quello che mi ha raccontato.
Ha sofferto di bulimia per 6 anni, dai 20 ai 26, l'ultimo anno è subentrata l'amenorrea. So che esistono libri sull'argomento e ho intenzione di procurameli; chiedo un parere su come comportarmi nei suoi confronti.
Ho cercato di spingerla a rivolgersi a uno psicologo, ma non ne vuole sapere. Sembra non percepire la gravità del suo problema.
E' una ragazza molto sensibile,il rapporto con i genitori, in special modo con il padre, è stato molto conflittuale, soprattutto negli anni adolescenziali.
La reazione alla severità famigliare è stata l'assunzione di un comportamento ribelle, al quale seguiva una ricerca di dialogo da parte sua, sempre disattesa.
I genitori sono percepiti freddi, incapaci di manifestazioni d'affetto, diversamente da quanto accade con la sorella di dieci anni più giovane. Loro non sanno, o non vogliono sapere quali sono i problemi della figlia.
Soffre di disistima nei propri confronti, ha un'immagine distorta del proprio fisico e di se stessa come persona, pur essendo una ragazza molto intelligente e carina.
Non riesce ad instaurare un legame sentimentale con qualcuno, appena un ragazzo si interessa troppo a lei, si ritrae e lo sfugge. Preferisce rapporti occasionali, in cui non le venga richiesto impegno. Sfugge le responsabilità, è una delegatrice nata, poco autonoma e indipendente, alla costante ricerca di affetto, ma allo stesso tempo con un atteggiamento scostante, che inibisce qualsiasi tentativo di approccio (nei confronti di genitori e ragazzi). Ama stare con gli amici, spesso si rifugia, a parer mio in maniera eccessiva, nell'alcol e nella droga, ma non posso definirla nè alcolizzata, nè drogata per questo. Conosco persone che eccedono + di lei, ma in lei tutto questo temo dipenda da problemi + seri. Studia FIlosofia, e intanto lavora part time: lo studio l'ha indotta a credersi in grado di autoanalizzarsi.
Pensa di aver individuato i suoi problemi e si crede in grado di risolverli da sola, col tempo. Ma io vedo gli stessi problemi, le stesse paranoie riproporsi ciclicamente. Da qualche mese le mestruazioni sono tornate, e cerca di farmi capire che ne può uscire da sola. Io fino ad ora non ho forzato le sue decisioni. La percepisco molto fragile e non vorrei si chiudesse a riccio, senza più fidarsi di me.
Il fatto che lei si sia rivolta a me, mi fa pensare che cerchi indirettamente un aiuto, ma spesso mi sono sentita inadeguata. Più che ascoltarla, confortarla, e cercare di indurla ad affrontare il problema non so che fare. Dopo due anni, non ho visto grandi miglioramenti.
Può una persona venir fuori da questi problemi da sola, senza un aiuto professionale? Posso fare più di quello che ho fatto fin'ora? Potete darmi qualche consiglio? Pensate che potrebbe aiutarmi rivolgermi a uno psicologo per capire come rapportarmi a lei? Vi ringrazio fin da ora per l'aiuto che vorrete darmi.

Carissima Maria, credo tu stia facendo già molto per la tua amica e non vorrei che ti sentissi addosso la responsabilità di poter, da sola, farla uscire dal suo disagio, o malattia, comunque vogliamo chiamarla.
Hai colto, direi, molto bene i punti focali delle difficoltà della tua amica, che di solito sono quelli che a grandi linee appartengono a tutte le persone che soffrono di disturbi alimentari, vale a dire l’insicurezza, la sete di affetto dovuta spesso a rapporti familiari formali o freddi, la conflittualità interna ed esterna, la dipendenza e soprattutto la paura della dipendenza, la sensibilità ecc.
Questo mi dice che tu sei altrettanto sensibile e che attraverso la tua sensibilità difficilmente puoi agire con lei in modo inadeguato. Fidati di quello che senti e comportati di conseguenza, non credo potrai sbagliare.
Mi rendo conto che una delle cose più difficili da realizzare è riuscire a convincere una persona che soffre di disturbi psicologici a richiedere l’aiuto di qualcuno; in particolare le persone che soffrono di disturbi della sfera alimentare, che in genere hanno grosse difficoltà ad affidarsi, e pensano di poter tenere la situazione sotto controllo. D’altra parte io non credo che una persona da sola non possa riuscire ad uscirne fuori, magari in modo meno definitivo, o meno velocemente …. Ma di possibilità che ne sono, e a volte funziona.
Chiaro che una psicoterapia può fare molto, moltissimo in alcuni casi; ma se non ci sono i presupposti, se non c’è una motivazione che crei una richiesta, allora non può nulla.
Penso che la tua vicinanza possa aiutare molto la tua amica, e probabilmente riuscirai anche, con sensibilità e pazienza, a farle capire che un aiuto non è un’ammissione di debolezza, ma al contrario, una dichiarazione di forza.
Se nel frattempo pensi di aver bisogno tu di rivolgerti a qualcuno, potrebbe essere una buona idea, se non altro per farti stare tranquilla e verificare di non essere sulla strada sbagliata … Ma ricorda che fintanto che non sarà lei a decidere di aiutarsi, difficilmente gli interventi dall’esterno riusciranno a determinare cambiamenti significativi.
L’affetto, anche solo il fatto di esserci, possono però da soli creare le basi affinché lei possa decidersi in questo senso.
Credo che sappia di avere in te un’amica preziosa e questo è già molto, moltissimo anzi.
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