Bimbo che non sa perdere (106857)
Alberto 7
Buongiorno, desidererei avere dei consigli su come comportarmi durante le crisi di pianto che mi figlio ha ogni volta che perde in qualsiasi tipo di gara, dalla più stupida (partita a dadi o a carte con il nonno) alla più seria (torneo di tennis). Mio figlio ha quasi 7 anni, è un bimbo intelligente, sveglio, educato, rispettoso, simpatico, insomma è pieno di ottime qualità ma ha questo "problema" del non saper perdere a cui fatico a trovare un rimedio; abbiamo provato sia con le buone (promettendo un premio se non avesse pianto) o con le cattive (promettendo una punizione) ma entrambi hanno fallito. Non mi sembra altresì utile non esporlo al rischio sconfitta (farlo vincere nei giochi casalinghi e non fargli fare gare agonistiche). Che consigli mi potete dare? Grazie, Paolo.
Caro Paolo, prima di entrare nel merito della sua richiesta, vorrei farle notare che, a detta di alcuni importanti studiosi, è possibile ricostruire una storia della società nelle diverse epoche a partire dai giochi utilizzati e che, in generale, tanto più una certa società presta attenzione al gioco, tanto più acuti sono i conflitti sociali al suo interno. La famiglia, intesa come sistema sociale in miniatura, potrebbe ricalcare la stessa idea. Vale a dire, conoscendo i tipi di giochi privilegiati all’interno della sua famiglia, il tempo dedicato e le aspettative che si creano attorno ad essi, potrei ricostruire, almeno in parte, la storia familiare e individuare eventuali conflitti presenti all’interno di essa. Oltre ai giochi di competizione ne esistono altri in cui domina il caso, la fortuna, altri ancora in cui domina il regno dell’illusione, della finzione (es. giochi di ruolo) e altri, infine, in cui prevale il terrore, la paura (es. alcuni giochi delle giostre). I bambini dovrebbero avere la possibilità di sperimentare ogni tipologia di gioco, o una loro combinazione, per scoprire più cose su di loro e sulla realtà circostante. Quindi, prima di tutto le consiglierei di valorizzare altri tipi di gioco oltre a quelli agonistici (anche si di tipo “casalingo”), in modo da far emergere altre emozioni e altri comportamenti nel bambino. Inoltre, c’è anche da dire che fino all’età di 7-8 anni i bambini prediligono i cosiddetti “giochi simbolici”: l’esempio tipico è il gioco del far finta, del “come se”, che permette loro di produrre e manipolare un numero sempre maggiore di immagini mentali, nonché di controllare alcuni aspetti della realtà circostante e di apprendere situazioni nuove. Questi giochi tendono a diminuire con l’età per essere sostituiti definitivamente dai “giochi di regole”, che sono il fondamento del codice sociale. Questi ultimi implicano la capacità, da parte del bambino, di immaginarsi e di riconoscere gli stati mentali degli altri (pensieri, emozioni, credenze, intenzioni, ecc) come diversi dai propri. Per esempio, nel gioco degli scacchi questa capacità è fondamentale, in quanto richiede di anticipare le mosse dell’avversario. Probabilmente suo figlio sta attraversando una fase di transizione in cui sta abbandonando i vecchi giochi ma non è ancora del tutto maturo per i nuovi, cioè quelli basati su regole. A maggior ragione, quindi, sarebbe auspicabile non proporre costantemente al bambino giochi di regole o di competizione, ma anche altre tipologie. Infine, non ha molto senso premiare o punire il bambino per le emozioni o i comportamenti che comunica durante i giochi. Le emozioni non possono essere sottoposte alle stesse regole del gioco, per cui se piangi aspetti il turno, se non piangi salti di una casella. Pensateci bene, e buon divertimento!
(risponde la Dott.ssa Aurora Capogna)
Pubblicato in data 03/05/08
Pubblicità
Vuoi conoscere i libri che parlano di infanzia per saperne di più?
Cercali su Psiconline® Professional Store