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Comportamento post trauma (126138)

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Cristina 30

Il mio bambino di 3 anni un mese fa è caduto da uno scivolo di un'area per bambini a pagamento dove lo avevo lasciato per andare a fare la spesa e si è fratturato il braccio sinistro. Purtroppo ha dovuto affrontare un'operazione in cui gli hanno dovuto impiantare dei fili di metallo e ha portato il gesso per un mese. L'abbiamo tolto da una settimana circa e ha sofferto per l'estrazione dei fili di ferro fatta senza anestesia come da routine. Ora ha delle piccole ferite che rimangono coperte con un cerotto e tutte le sere dobbiamo medicarle, il problema è che anche se lo facciamo tutte le sere da una settimana lui ogni volta è spaventatissimo e fa delle urla pazzesche solo per togliere il cerotto. Anche provandolo a convincere cerca degli escamotage per non farlo del tipo, ora ho fame, ho sonno, devo fare la cacca, ho il vomito etc. Mi sono quindi accorta che è diventato troppo sensibile al dolore e non so se sia una cosa riconducibile al trauma subito o meno, però sono preoccupata anche perchè ho notato che tende a colpevolizzarsi, per es. appena tolgo il cerotto lui grida e poi mi chiede scusa piangendo anche se al limite dovrei essere io a chiedergli scusa perchè gli ho fatto del "male". Volevo chiedere se devo assumere qualche comportamento o atteggiamento particolare per farlo tornare spavaldo come prima, grazie mille per la risposta.

Cara Cristina, mi capita spesso di osservare due diverse modalità di reazione da parte dei genitori ogni qual volta i bambini si fanno male: vi sono quelli che immediatamente sdrammatizzano l’accaduto, dicendo “non è successo niente” oppure “è tutto passato”, senza permettere al bambino di fermarsi un istante a vedere o a “riflettere” sulla propria ferita; al contrario, vi sono quelli che si angosciano visibilmente non appena il loro bambino si ferisce, indipendentemente dalla gravità, esasperando l’esperienza, in quanto non tollerano che il loro bambino possa farsi male. Si tratta di due modalità carenti perché dettate da motivazioni prevalentemente personali, che hanno a che fare con la gestione del dolore e della sofferenza in senso lato. Nel primo caso, si tratta di genitori che avrebbero bisogno di prendere le distanze da qualsiasi ferita, sia che venga subita da loro stessi che da altri, per cui si aspettano che i figli facciano lo stesso. Nel secondo caso,  il genitore vivrebbe ogni ferita del figlio come un fallimento personale, come qualcosa che avrebbe potuto evitare se solo fosse stato più “vigile” e attento. Cosa comporta tutto questo per un bambino? Sia che il genitore si comporti in modo “distante”oppure “vigile”, il bambino non sente riconosciuta la “propria” ferita (che spesso si nasconde dietro le ansie e i timori dei genitori) e non riesce a viversi il “proprio” dolore. Quindi, se il bambino cade e si sbuccia il ginocchio, un adulto “sicuro” di sé dovrebbe avvicinarsi al bambino e farsi spiegare bene in che punto gli fa male, accettare il dolore che può provocare al momento, per poi rassicurarlo che passerà e tornerà a stare bene. Si è mai chiesta perché i bambini hanno la passione per i cerotti, soprattutto per quelli vistosi? Loro adorano “mostrare” le proprie ferite agli altri, a differenze degli adulti, anche se talvolta vengono privati di questa possibilità, vuoi perché ci si occupa solo dell’aspetto medico per curare la ferita, vuoi perché il bambino potrebbe sentirsi in colpa per essersi fatto male, facendo preoccupare gli adulti. Leggendo la sua richiesta, mi sembra di capire che, dal momento dell’incidente, lei sia stata molto occupata a curare il bambino lasciando, forse, un po’ da parte la dimensione affettiva legata al trauma, il modo in cui il suo bambino l’ha percepito e l’ha elaborato. Di solito quando i bambini si fanno male in assenza della mamma o del papà, i genitori tenderebbero a sentirsi più in colpa, per cui, oltre a dover gestire il dolore fisico del bambino, si ritrovano, da soli, a fare i conti con i loro sensi di colpa. Non so se ha sperimentato qualcosa di analogo, ma provi a prendere in considerazione i suoi stati d’animo, le sue emozioni di fronte al dolore e alla paura del bambino, per poi accettarli e restituirli adeguatamente al bambino. Dopo di che aiuti il suo bambino a parlare di cosa ha provato quando si è fratturato il braccio sinistro, si faccia raccontare la paura che ha provato di fronte ai medici, la fatica di portare il gesso. Probabilmente, più il bambino riesce a parlare delle proprie “ferite” (non solo in senso fisico), più riesce a liberarsi della paura del dolore, accettando il dolore stesso come un fatto transitorio. Mi rendo conto che a 3 anni il bambino non è ancora così abile nell’esprimere e nel comunicare adeguatamente i propri stati d’animo, ma per questo esiste il gioco, esistono  racconti fantastici di bambini che hanno dovuto superare dure prove fisiche. Soprattutto attraverso l’utilizzo di pupazzi, animali e altro il bambino può essere aiutato a rivivere in modo indiretto la sua brutta esperienza, proiettandola all’esterno, fuori di sé. Ovviamente, la sua mediazione e la sua sensibilità di mamma sono molto importanti per favorire un atteggiamento diverso del bambino rispetto al dolore. Affettuosi saluti.

(risponde la Dott.ssa Aurora Capogna)

Pubblicato in data 28/10/08

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