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Figlio minore e separazione (106354)

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Gianluca 37

Buongiorno, ho 37 anni e mi sto separando consensualmente da mia moglie. Abbiamo un bimbo di tre anni a cui sono molto affezionato. Non voglio perderlo e vorrei vivere la sua quotidianità. Ma questo mi è reso impossibile dalla madre che mi costringe a vedere il piccolo due volte alla settimana per un paio d'ore a sera, e un week-end intero ogni quindici giorni. Il tutto, deciso da lei, per il bene del bambino. La mia domanda è questa: qual'è il bene del bambino in questa situazione? E' vero che se dovesse vedermi ogni giorno per brevi periodi il bambino si traumatizzerebbe? Perchè il ruolo del padre non viene considerato importante come quello della madre? Per il bene del bambino, come mi devo comportare? Grazie.

Caro Gianluca, da quanto leggo lei e sua moglie avete deciso di separarvi per “mutuo consenso”, il che significa che né lei né sua moglie siete tenuti a dar prova di una colpa. Tuttavia, avverto tra le sue righe, un chiaro risentimento nei confronti di sua moglie, che coinvolge soprattutto il bambino. Questo, probabilmente, sta a significare che la vostra separazione, intesa come processo giuridico, è ben diversa dalla separazione affettiva, che ha poco di consensuale. Nel complesso, ben più che la separazione stessa, è la natura e l’intensità della discordia fra i genitori, e il posto del bambino in seno a questa, che influenzerà negativamente il suo comportamento. Più il conflitto fra genitori è acuto, meno essi riescono ad ascoltare il bambino, in quanto centrati sui propri bisogni e poco decentrati sulle richieste del bambino. Di conseguenza, il bambino potrebbe elaborare con una certa difficoltà l’ansia e l’angoscia che, normalmente, si presentano in occasione della separazione dei genitori. Sono abbastanza tipici a questa età, per esempio, i lamenti ipocondriaci, ossia il bambino lamenta di avere mal di testa, mal di pancia, vomito e altri, per comunicare un certo disagio. Capisco che al momento lei si senta più debole, vittima di una ingiustizia, escluso dal suo ruolo di padre a tempo pieno. D’altra parte, nell’85% dei casi i bambini vengono sempre affidati alle madri. Probabilmente, in questo momento, sia lei che sua moglie non siete abbastanza sereni per distinguere cosa è bene per ciascuno di voi e cosa è bene per il bambino. Il mio consiglio è di rivolgervi ad uno specialista, per esempio un mediatore familiare, che vi aiuti ad elaborare e a “digerire” quanto sta accadendo, che sappia indicarvi chiaramente cos’è traumatico per il bambino e cosa non lo è, per trovare insieme delle soluzioni adeguate per vostro figlio, senza impedirgli di avere una buona relazione sia con la madre che con il padre.

(risponde la Dott.ssa Aurora Capogna)

 

Pubblicato in data 10/04/08

 

 

 

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