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Rapporto con il cibo (101605)

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Luca 2

Buonasera a tutti, sono mamma di un bimbo di 2 anni e 2 mesi che ha un problema: lui frequenta l' asilo nido da quando aveva 1 anno e fino a quel momento è stato con mia madre mattina e pomeriggio perchè io lavoro tutto il giorno e fino all' età di 15 mesi ha sempre mangiato seppure con tante storie sia all' asilo che con mia madre e qualche volta anche con me. Da 6/7 mesi a questa parte, si rifiuta amaramente di cenare con qualsiasi cibo (anche le stesse cose che mangia quotidianamente) con noi, per non parlare della classica pastina che tutti i bimbi del mondo mangiano. L' unico cibo che mangia volentieri con me è il latte con i biscotti e tutte le porcherie tipo patatine, gelati, cioccolate e caramelle, ho provato a lasciarlo a digiuno ma non è servito, gli ho dato la pappa reale ma non ha sortito nessun effetto, la mia pediatra mi dice che siamo state deboli con lui, ma io credetemi ho provato prima con le cattive, non ottenendo niente, ho provato ad ignorarlo e a non proporgli più niente, ma a niente è servito. Io e mio marito siamo disperati e mortificati, perchè sappiamo che per i bambini il rapporto con il cibo è strettamente collegato alla mamma. Sapete darmi indicazioni sul comportamento da adottare o su come agire per migliorare questa situazione? Attendo vs. risposta e vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Saluti Eva.

Cara signora, per migliorare la situazione, sarebbe importante, prima di tutto, mettere da parte la convinzione che lei sia l’unica responsabile della difficoltà di suo figlio di mangiare adeguatamente. Per esperienza sia professionale che personale, raramente mi è capitato di sentire madri soddisfatte dei propri figli, infatti le lamentele sono sempre le stesse: chi mangia solo “schifezze”, chi spilucca, chi ricatta i genitori, chi vuole mangiare solo certe cose, chi rifiuta un cibo particolare come, per esempio, il pesce, chi odia certi condimenti sulla pasta, chi fa i capricci solo con la mamma… e chi più ne ha più ne metta. Se in anni passati le madri sono state “educate” a concentrarsi soprattutto sulla dimensione dietetica (qualità e quantità degli alimenti) a scapito della dimensione relazionale, oggi la tendenza sembrerebbe piuttosto opposta, in quanto basata su un’alimentazione a richiesta, con lo scopo di proteggere la relazione madre-figlio, così a lungo trascurata. Molto spesso, però, la relazione madre-figlio viene letta nei termini di causa-effetto, ovvero la madre provocherebbe in modo univoco certi comportamenti nel figlio. In realtà non è così “semplice”: infatti, il più delle volte l’attitudine della madre dipende dal comportamento del bambino o meglio, da come questo viene interpretato dalla madre. Queste diverse attitudini che ogni bambino suscita in ogni madre sarebbero legate a tanti altri fattori tutt’altro che poco significativi, come il rapporto di coppia, il rapporto con la propria madre, con altri figli, ecc e, forse, con un passato ancora più lontano. Inoltre, anche l’età del bambino è molto importante nel determinare una certa risposta materna a scapito di un’altra. Nel suo caso, il bambino ha iniziato ad accusare problemi a circa 15 mesi, un’età in cui il bambino comincia a rendersi conto che, contrariamente a poco tempo prima, è una persona molto piccola in un mondo molto grande, e la madre può non essere sempre disponibile per aiutarlo ad affrontare il mondo che si apre sempre più vasto, anzi, spesso vieta al bambino di compiere certe azioni (come arrampicarsi per le scale), sente spesso dire dalla mamma “No, no”, per evitare di mettersi in pericolo. Così, a quest’età il bambino utilizza lui stesso il “No” della mamma, sia per identificarsi con lei (per esempio, il bambino scuote la testa come segno di disapprovazione per qualcosa che sta per intraprendere) sia per ribellarsi alle sempre più frequenti richieste e restrizioni della mamma. Detto questo, va da sé che il rapporto madre bambino, a partire da questo momento, subisce delle variazioni notevoli sia da parte del bambino che da parte della mamma: quest’ultima deve spesso far fronte al comportamento ambivalente del bambino, desideroso allo stesso tempo di miliardi di coccole ma anche di moltissima autonomia. L’ostilità del bambino, poi, si fa sentire con più forza tra i due e i tre anni, periodo in cui si toglie il pannolino. Se un genitore, per esempio,è molto rigido per quanto riguarda la pulizia personale, il bambino potrebbe mostrare il proprio rifiuto in altre aree, come il mangiare, il giocare, e altro. Quindi, il consiglio è quello di tenere a mente la particolare età del suo bambino, di non focalizzare eccessivamente la propria attenzione sul mangiare, ovvero sul “sintomo” attuale, ma di considerare l’intera persona, il suo modo di giocare, di relazionarsi con i coetanei, i giochi preferiti, alcune paure particolari, la capacità di trascorrere del tempo da solo, il suo modo di reagire a certe frustrazioni, la capacità di porre attenzione a certi racconti e altro ancora. Se la situazione non è così grave, ovvero non è stata rilevata una riduzione significativa del peso, direi di cominciare da tutto quello che sta intorno al problema del cibo: il momento del pasto dovrebbe essere un momento creativo per lei e di sperimentazione per il bambino che, come molti altri bambini, forse avrà bisogno di sperimentare il cibo in modo vario e colorato e di gestirlo in modo autonomo. Per esempio, potrebbe preparare delle polpettine con verdure, delle crocchette di semolino, dei fagottini con spinaci: tutti cibi nutrienti, sfiziosi, piacevoli per l’occhio, ma che soprattutto si possono mangiare con le mani! Esistono diversi libri di cucina che propongono ricette particolari per bambini piccoli, fatti su misura per la “psicologia” del bambino. Io le posso consigliare “Cucina a colori per i più piccoli” di Cecilia Bartoli, di Palombi Editori, ma probabilmente ne può trovare anche altri. In bocca al lupo!

(risponde la Dott.ssa Aurora Capogna)

Pubblicato in data 12/10/07

 

 

 

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