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Socialità (122732)

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Stella 38

Mio figlio di 9 anni ha difficoltà a relazionarsi con gli altri, è timido e insicuro. Nello sport comincia benino poi perde di grinta ed ogni competizione e contrasto con gli altri, gli risulta difficile ( per esempio nel mini basket gli tirano la palla, lui si scansa avendo paura di prenderla, oppure marcare l'avversario è un'impresa) rendendosi soggetto a critiche e prese in giro che lo lasciano nello sconforto. A noi genitori non importa affatto avere un campione, però è pur vero che se fosse per lui eviterebbe qualsiasi attività, rinchiudendosi ancora di più nella sua introversione. Che dobbiamo fare? Lui non ha hobby o attività che vuole intraprendere. Dobbiamo insistere per fargli frequentare uno sport di squadra che comunque a lungo andare lo migliora nella socialità o evitargli lo sconforto che gli insuccessi gli causano? Questa situazione si ripercuote anche nei rapporti con i compagni di scuola, nello scontro diretto lui non sa reagire; per esempio: lo accusano di qualcosa ingiustamente, lui non riesce a difendersi, aggressività zero, ma rabbia tanta). Per il prossimo anno abbiamo deciso di iscriverlo agli scout e lui è d’accordo. Attendo una gradita risposta. Grazie.

Cara Stella, di solito la tappa fra i 9 e gli 11 anni è piuttosto “rumorosa” perché coinvolge in modo notevole tre livelli della persona: fisico, mentale ed emozionale. Sul piano fisico sono presenti i segni precursori della pubertà mentre, sul piano mentale, si evolve la capacità di pensare in modo critico, ovvero di pensare su ciò che non è presente al momento o che non esiste affatto. In altre parole, mentre prima il bambino viveva prevalentemente nel presente, ora tende a proiettarsi verso il futuro oppure a ragionare sul passato in termini di se (per es. se quel giorno avessi fatto quello, avrei ottenuto questo,ecc). Va da sé, che questa crescita fisica e intellettuale non può lasciare inalterata l’espressione della dimensione emozionale ed affettiva, che si manifesterebbe spesso attraverso il conflitto e l’autoaffermazione. Apparentemente suo figlio non sembra avere interesse nell’affermare se stesso o nel cercare il conflitto con gli altri, ma come lei stessa mi dice “aggressività zero, rabbia tanta”! Per questo motivo lei tenta di coinvolgerlo in attività sportive o altro affinché possa socializzare e confrontarsi con gli altri, migliorando anche la propria autostima. Leggendo la sua richiesta, mi viene da pensare, come solo nella generazione precedente i bambini non avevano bisogno di partecipare ad attività strutturate e guidate dagli adulti per socializzare e confrontarsi tra di loro. Semplicemente scendevano giù in cortile e si organizzavano in modo autonomo, erano liberi di esprimere se stessi, di condividere le loro esperienze, ma nello stesso tempo erano più soli, oserei dire più “annoiati”. Oggi i bambini sono sempre maggiormente “pressati” e spinti a confrontarsi con gli altri, accentuando, talvolta, il valore della competizione anziché della cooperazione, la ricerca perpetua di quel qualcosa che manca per essere come gli altri anziché l’accettazione di se stessi, il bisogno costante di cercare all’esterno la propria identità attraverso i beni di consumo anziché l’utilizzo delle proprie risorse interne. Lei mi scrive che non desidera avere un campione, ma secondo me sbaglia. Penso che bisognerebbe insegnare ai propri figli a diventare, prima di tutto, campioni di se stessi ogni qual volta si pratica uno sport: non sono i brevetti o le gare e renderlo una persona di valore. Purtroppo oggi sono sempre più diffuse tra bambini e adolescenti delle “sindromi specifiche da sport”, come la sindrome del campione, la fobia del successo (nikefobia), l’ansia preagonistica e altre che emergono in modo specifico nei contesti sportivi, con ripercussioni sugli aspetti relazionali ed emotivi. Con questo non voglio dire che suo figlio soffra di questi disturbi e tanto meno che lo sport faccia male. Il mio consiglio è quello di proporre al bambino qualcosa che si adatti maggiormente al suo temperamento, alla sua personalità, alle sue esigenze più profonde, anche se risulta piuttosto “anticonformista”, senza farsi prendere dalla frenesia di dover praticare a tutti i costi qualche attività mirata prevalentemente alla socializzazione. Per approfondire la questione le consiglierei di rivolgersi ad uno psicologo dello sport, una figura professionale forse poco conosciuta in ambito sportivo, ma sicuramente di grande utilità per i genitori che vogliono aiutare i figli a diventare campione di se stessi. Un affettuoso saluto.

(risponde la Dott.ssa Aurora Capogna)

Pubblicato in data 15/09/08

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