Crisi personale e di coppia (53285)
Silvia, 27 anni
Ho 27 anni a da 8 sono fidanzata con un mio coetaneo.
Più volte durante questo tempo ho riflettuto sul nostro rapporto, ho
cercato di capire se fosse veramente la persona che faceva per me. Alcune volte
ne ero certissima altre c'erano dubbi, ma li ho sempre risolti dicendomi che
qualsiasi persona ha dei difetti e che in fondo noi andavamo abbastanza d'accordo.
L'ultimo anno per me è stato molto brutto: non ho lavorato ed essendo
una persona attiva, trovarmi improvvisamente, senza la mia volontà, senza
alcun impegno mi ha profondamente segnata.
Esteriormente ho cercato di nascondere questo disagio impegnandomi in corsi
e lavoretti part-time, ma dentro di me andava sempre peggio: non ero soddisfatta
ed era come se qualcuno mi avesse messo in stand-by senza che io potessi far
nulla. Qualsiasi frase mi venisse detta per me era riferita al fatto che non
avessi un lavoro decente e che, insomma, non servivo a gran che. Nel frattempo
il mio ragazzo continuava nella sua brillante ascesa lavorativa, costituendo
per me uno scomodo termine di paragone.
Un giorno particolarmente difficile era la domenica: per me non significava
nulla, mentre lui voleva (giustamente dopo una settimana di lavoro) trascorrerla
con me e la sua famiglia e riposarsi.
Proprio in una domenica della scorsa primavera sono crollata: ci dirigevamo
verso casa sua nel pomeriggio ed io cercavo con difficoltà di esternare
le mie sensazioni di inadeguatezza. "Tu hai qualche problema psicologico".
Una frase detta così, da lui che non poteva sapere cosa avrebbe causato.
È stato come un colpo di pistola: dritto al centro del mio cervello,
senza foro d'uscita. Lui è entrato in casa mentre io sono rimasta fuori
a piangere con quelle parole che rimbombavano nella mia mente. "Sono io
. è colpa mia . sono solo un peso ." ecco cosa mi ripetevo camminando
verso il parco dietro casa sua.
Chi mi ha notata si sarà chiesto cosa ci facesse una ragazza seduta su
una panchina con quel vento così freddo. Volevo solo che il vento soffiasse
più forte fino a portarmi via, lontano, magari che soffiasse così
gelido da gelarmi il sangue per darmi l'unico sollievo al quale potessi pensare.
Ma il vento non soffiò così forte e non fu tanto gelido e, peggio,
nessuno veniva a cercarmi. Il pensiero di non servire a nessuno si alimentava
ogni minuto di più ed ero decisa a restare lì, su quella gelida
panchina. Ma iniziai a camminare verso casa mia, percorrendo una strada diversa,
lunghissima, riflettendo se fosse stato il caso di andarmene e non tornare più.
Pensieri confusi e pessimistici accompagnarono le mie gambe che si muovevano
automaticamente, trascinando i piedi infreddoliti e dolenti, inesorabilmente
verso casa. Non volevo entrare, non potevo sopportare la vista dei miei che
mi avrebbero ovviamente chiesto dove fosse lui. Sono salita all'ultimo piano
del mio palazzo, mi sono seduta su un gradino e, nel buio, ho aspettato di sentire
la porta di casa mia chiudersi.
Sono scesa, anche se da sola, non mi sono sentita a mio agio, non ci volevo
stare, ma non avevo il coraggio di fare nient'altro. La telefonata del mio ragazzo
che mi rimprovera perché avrei almeno potuto avvertirlo che andavo via
. comunque lui era in giro a fare shopping come previsto. La comunicazione si
interrompe: lacrime e rabbia hanno la meglio su quella depressione che da ore
mi dominava. Lo richiamo e lui torna.
Faccia a faccia non trovo le parole per dire bene cosa mi fosse successo e tutto
quel dolore l'ho messo da qualche parte, per non essere di peso.
Forse sono riuscita a spiegare meglio in estate, durante uno di quei tanti momenti
in cui i sentimenti forzatamente nascosti improvvisamente riaffioravano prepotenti
nella mia testa, creandomi gli stessi stati d'animo di qualche mese prima.
Ha cercato di consolarmi dicendo che gli dispiaceva di non essere stato lì
a portarmi via, di non aver capito, ma che era anche colpa mia, perché
non avevo parlato chiaramente. È vero, ma lui era così impegnato
con il suo lavoro e mi parlava dei suoi problemi: io non riuscivo.
Anche dopo quell'ultima conversazione ho rinchiuso tutto in qualche scatola
che ora è traboccata di nuovo.
Questa volta vorrei risolvere i miei dubbi, non fare la scelta meno dolorosa
di non affrontare la questione: non sono più sicura che il mio ragazzo
sia la persona che fa per me. Credo di aver bisogno di qualcuno che si occupi
di me, che mi dia sicurezza, che mi dia la precedenza in qualsiasi situazione.
Queste sono le caratteristiche che non vedo in lui. Non riesco a capire se sono
più importanti della fedeltà, della generosità, della sincerità
e di tutto quello che lui mi dimostra.
Pretendo troppo? So che la perfezione non esiste. Lui è importante per
me, il nostro rapporto significa molto, abbiamo fatto un lungo percorso insieme,
dal diploma alla laurea, ma non so se questo è sufficiente per costruire
il matrimonio che desidero.
Cara Silvia,
io credo che tu debba rivolgere innanzitutto lo sguardo dentro di te, prima
che sul rapporto con il tuo partner.
Da quello che scrivi in realtà il problema sembra legato più a
un tuo senso di inadeguatezza e frustrazione personale, che un pò scarichi
su di lui (che non ha colpe se ha un buon lavoro o se non riesce a capire il
tuo disagio visto che non ne parli chiaramente con lui, come se ti aspettassi
che lui sappia leggere nel pensiero, cosa che nessun essere umano è in
grado di fare, ti assicuro). Immagina se tu fossi impegnata quanto lo è
lui, credo che cambierebbe il tuo atteggiamento rispetto alla domenica e al
riposo, ai tempi liberi e alla attenzione per i suoi problemi. Questo per spiegarti
che, prima di decidere che lui non è in grado di darti sicurezza e di
darti la precedenza, forse è il caso che tu concentri l'attenzione su
te stessa e su cosa ti sta impedendo di trovare un lavoro che ti soddisfi e
ti gratifichi. Lo so che urlerai allo sgomento: ma il lavoro non c'è,
sono tempi difficili, io ce la metto tutta.
No, cara Silvia, questo è un atteggiamento perdente e per nulla costruttivo.
Nessuno ti ha messo "in stand by senza che io potessi fare nulla".
Questa è una posizione da vittima (il tuo ragazzo è diventato
il persecutore?). Riprenditi la responsabilità della tua vita e chiediti
come mai non trovi la strada giusta per lavorare. Questa situazione di stallo
arriva a delle conclusioni negative su di te e sull'altro: io non vado bene,
non sono capace, non servo a nessuno, metto da parte le mie emozioni perché
altrimenti sono di peso, e ancora: lui non va bene, non si occupa di me, non
mi da sicurezza. Questi pensieri ti ricordano qualcosa del tuo passato? Io credo
che dovresti fare prima una analisi molto profonda di te stessa, ascoltandoti
e anche lasciando che gli altri possano ascoltare e, chissà, forse farti
una mano a cambiare questa situazione. Ciao, buona riflessione.
La tua vita è ancora tutta da incominciare e ci possono essere tantissime
cose che tu potrai fare, ma soprattutto hai tanto da dare e tanto da ricevere.