Alcuni prigionieri soffrono di malattie mentali che non vengono trattate
Secondo la nuova ricerca della University of Texas Health Science Center alla Houston (UTHealth) School of Public Health, alcuni individui, che soffrono di malattie mentali, non ricevono trattamenti nelle prigioni statali e federali.
I disturbi di salute mentale tra i prigionieri hanno superato, in modo consistente, le percentuali dei disturbi nella popolazione generale. Infatti, secondo il National Institutes of Health, nel 2012 il 26% dei prigionieri riportava, nello studio, un problema di salute mentale, rispetto al 18% nella popolazione generale.
Anche se i tribunali statali e federali stabiliscono che i prigionieri devono avere accesso a servizi adeguati per la salute in prigione, secondo lo studio ciò include, tipicamente, solo malattie mentali “gravi o serie”.
“Gli individui con problemi di salute mentale non trattati potrebbero avere un rischio più alto di fallimento del trattamento riabilitativo e di una futura recidività dopo l’uscita di prigione”, ha detto l’autore principale Jennifer Reingle, assistente professore nella Division of Epidemiology, Human Genetics and Environmental Sciences alla UTHealth School of Public Health.
I ricercatori hanno analizzato i dati presi da un campione nazionale di prigionieri statali e federali, di cui 14.499 partecipanti nelle prime e 3.686 nelle seconde. I partecipanti riferivano se avevano ricevuto cure per un disturbo mentale al momento dell’entrata nella struttura e se stavano ancora prendendo i farmaci mentre erano in prigione, per verificare la continuità del trattamento. Al tempo dell’accesso, il 18% di ciascun campione stava prendendo farmaci per un problema di salute mentale, ma solo il 52% di questo sottoinsieme della popolazione nelle prigioni federali ed il 42% nelle prigioni statali ricevevano il trattamento durante l’incarcerazione.
La depressione era il disturbo mentale più frequente, riportato dal 20% dei carcerati, seguita da Mania, Ansia e Disturbo Post Traumatico da Stress.
“Gli strumenti di valutazione non erano coerenti tra le prigioni ed i carcerati potevano ricevere diagnosi diverse, o non riceverne affatto, quando venivano traferiti in un altro posto”, ha detto Reingle. “Un processo di valutazione standardizzato della salute mentale potrebbe beneficiare ai carcerati ed al sistema carcerario nel suo complesso”.
Questo studio ha trovato anche differenze razziali in termini di continuità del trattamento. I prigionieri afroamericani avevano il 36% di possibilità in più, rispetto agli altri carcerati, di avere una continuità del trattamento, indipendentemente dalla loro diagnosi. Essi avevano anche più probabilità di soffrire di schizofrenia e proprio costoro avevano una probabilità due volte maggiore di ricevere una cura in prigione ed un trattamento continuo.
“I prigionieri con una malattia mentale grave che colpisce il comportamento, come la schizofrenia, potevano avere più probabilità di ricevere il trattamento per mantenere la sicurezza nell’ambiente della prigione”, ha detto Reingle. “Poiché la depressione non pone un chiaro rischio per la sicurezza, è meno probabile che venga identificata e trattata”, ha aggiunto.
La ricerca precedente aveva trovato che gli ex detenuti, che avevano ricevuto una diagnosi per un disturbo mentale, avevano il 70% di probabilità in più di tornare in prigione, mentre nella popolazione generale della prigione la percentuale è intorno al 50%. Inoltre, è emerso che, tra i prigionieri che hanno ricevuto una cura per un problema di salute mentale, al 61% non è stato fornito alcuna altra forma di trattamento.
“Un approccio più olistico e multidimensionale al trattamento, come il counselling o la terapia di gruppo, potrebbe portare a risultati migliori e a percentuali di ricaduta criminale più basse”, ha concluso Reingle.
Scrivi articoli di psicologia e psicoterapia e ti piacerebbe vederli pubblicati su Psiconline?
per sapere come fare, Clicca qui subito!