Hikikomori: la ribellione silenziosa?
Siamo abituati a vivere la rete non solo come un insieme di informazioni, ma anche – e soprattutto – come un agglomerato di relazioni che possono nascere, ritrovarsi o crescere grazie ai molteplici canali che il World Wide Web mette a disposizione di ciascuno di noi.
Parafrasando una citazione cult del celebre psicologo Watzlawick: “non si può non comunicare”. A maggior ragione nel mondo d’oggi, dove ogni strumento (telefono, tablet, pc che sia) consente di condividere tutto, dallo spostamento più recente (il famoso “check in” di FourSquares), all’ultimo pensiero (lo status di Facebook), o all’aforisma più celebre (i 160 caratteri di Twitter).
La rete, dunque, nasce per condividere informazioni e può rappresentare una finestra sul mondo, ci consente di conoscere ciò che altrimenti mai avremmo scoperto, o, comunque, avremmo raggiunto con maggiore fatica.
Questa visione della rete come “finestra sul mondo” sembrerebbe particolarmente sentita da un gruppo ben specifico di adolescenti giapponesi
Hikikomori. Una parola strana, esotica, che significa “ritiro” e che da una decina di anni a questa parte caratterizza un fenomeno sociale tristemente noto in Giappone e che sembrerebbe non avere eguali (per ora) nella società Occidentale.
Il termine, coniato dallo psichiatra Tamaki Saito, definisce uno specifico gruppo di adolescenti e giovani adulti (14-20 anni circa) maschi che per un periodo superiore ai sei mesi sceglie di non uscire di casa, isolandosi completamente, anche dai propri familiari.
Tratto da: "stateofmind.it" - Prosegui nella lettura dell'articolo