La fiaba e la Psicologia Analitica di Jung
I Fratelli Grimm consideravano le fiabe resti di antichi miti, sopravvissuti nella memoria popolare e tramandati dalla tradizione orale; scrive Jacob all’amico Achim von Arnim nel 1812: “sono fermamente convinto che tutte le fiabe della nostra raccolta, con tutte le loro particolarità, venivano narrate già millenni fa … in questo senso tutte le fiabe si sono codificate come sono da lunghissimo tempo, mentre si spostano di qua e di là in infinite variazioni … tali variazioni sono come i molteplici dialetti di una lingua e come quelli non devono subire forzature”.
Così come i Grimm, anche Jung, seppur da altri punti di vista, era affascinato ed interessato al mondo delle fiabe. Egli sosteneva che esse fossero l’espressione più genuina e pura dei processi dell’inconscio collettivo, ossia di quella sorta di deposito collettivo, sviluppatosi in base ad una predisposizione comune a tutta l’umanità ad organizzare in maniera simile le esperienze che si ripetono attraverso le generazioni.
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