Le corsie diventano manicomi
Sono passati trent’anni da quel 13 maggio 1978 che portò tra mille polemiche alla chiusura dei manicomi. Ma solo otto dalla dismissione dell’ultimo, il Santa Maria della Pietà di Roma. Fallimento? Riforma incompiuta? Superate le barricate tra psichiatria tradizionale e antipsichiatria, il mondo della medicina concorda su un unico punto: indietro non si torna. Su come migliorare la situazione, invece, molti hanno le loro ricette. Ma il ministero della Salute avverte: il rischio è un ritorno al manicomio con altro nome. La data di chiusura del Santa Maria della Pietà mostra la forza e i limiti della 180, che tutti ricordano come legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che incarnò la battaglia contro l’«istituzione negata». La rivoluzione sta nell’avere riconosciuto al malato di mente dei diritti, togliendogli l’etichetta di pericolo per la società, e nell’avere introdotto il principio di volontarietà della cura; i limiti sono legati ai ritardi e alla disomogeneità di applicazione della 180, derivanti dalla sua natura di legge quadro, che lascia alle Regioni la responsabilità di organizzarne l’applicazione.
Resta il fatto che l’Italia è l’unico paese al mondo senza manicomi e i principi ispiratori della Basaglia sono gli stessi alla base del Green paper sulla salute mentale approvato dall’Unione europea nel 2005. Nel nostro paese i pazienti affetti da malattie mentali gravi sono circa 2 milioni e 200 mila. In Europa 93 milioni. «Si ritiene che il tasso di incidenza sia di un malato ogni 10 mila persone all’anno: ad esempio, in una regione come la Lombardia, che ha circa 10 milioni di abitanti, l’insorgenza è di 1.000 nuovi casi all’anno. Che se non curati adeguatamente diventano cronici, in genere a carico delle famiglie» spiega Ernesto Muggia, presidente onorario dell’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale (Unasam), che riunisce 160 organizzazioni.
Tratto da "corriere.it" - prosegui nella lettura dell'articolo