Le equazioni sono arte all’interno del cervello di un matematico
Quando i matematici affermano che le equazioni sono belle non mentono. Le scansioni del cervello mostrano che le loro menti rispondo a equazioni "belle" allo stesso modo in cui le altre persone rispondono alla grande pittura o a musiche magistrali. La scoperta potrebbe portare i neuroscienziati un po' più vicino a capire le basi neurali della bellezza, un concetto che è sorprendentemente difficile da definire.
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Nello studio, i ricercatori, guidati da Semir Zeki dello University College di Londra, hanno chiesto a 16 matematici di valutare 60 equazioni in una scala di giudizi da “brutta” a “bella”. Due settimane più tardi, i matematici hanno osservato di nuovo le stesse equazioni e le hanno valutate nuovamente mentre erano in uno scanner per la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Gli scienziati hanno trovato che quanto più un'equazione veniva giudicata bella, tanto più intensa era l'attività del cervello in un'area chiamata campo A1 della corteccia orbito frontale mediale.
La corteccia orbitofrontale è associata alle emozioni, e questa particolare regione ha dimostrato nei test precedenti che è correlata con le risposte emotive alla bellezza visiva e musicale. I ricercatori si sono chiesti se la tendenza non si estenderebbe anche per la bellezza matematica, che "ha origini intellettuali più profonde rispetto alla bellezza visiva o musicale, che sono più 'sensibili' e più basate sulla percezione”, come hanno scritto in un articolo che descrive i risultati pubblicato il 13 Febbraio su “Frontiers of Human Neuroscience”.
Lo studio della bellezza matematica ha permesso di testare il ruolo della cultura e dell'apprendimento nel gradimento estetico. Gli scienziati hanno ipotizzato che mentre anche le persone senza una preparazione musicale o artistica possono apprezzare i lavori di Beethoven o di Michelangelo, solo quelle che comprendono il significato che si cela dietro certe formule matematiche potrebbero trovarle belle.
Per verificare questa idea, i ricercatori hanno quindi presentato delle equazioni anche a un gruppo di non matematici, rilevando che i loro cervelli mostravano una risposta emotiva minore. “Abbiamo avuto una persona che non ha visto nulla in ogni tipo di equazione” dice Zeki. Lo studio però ha mostrato che anche senza capire tutte le equazioni, qualcuno dei partecipanti non esperti ne aveva comunque giudicato belle alcune; forse, ipotizzano gli autori dell'esperimento, a causa della loro forma, simmetria e altre qualità estetiche.
I matematici dicono di non essere sorpresi dai risultati. “Quando vedo una bellissima costruzione matematica, o un'argomentazione inattesa e magnificamente intricata con elementi logici che si incastrano in modo preciso in una dimostrazione, provo la stessa sensazione di quando osservo qualche forma di arte che mi colpisce”, spiega il matematico Colin Adams, del Williams College di Williamstown, nel Massachusetts. Daina Taimina, matematica della Cornell University a Ithaca, nello Stato di New York, sostiene che i risultati matematici "suonano come una melodia. Per me le equazioni sono belle se hanno una soluzione elegante o portano a risultati inaspettati e sorprendenti”. Capire che cosa è la bellezza, per non parlare degli elementi che rendono bella una cosa non è certamente facile. La bellezza non è semplicemente qualcosa di piacevole che porta felicità. In fondo, anche le cose tristi possono essere belle. “Si può sperimentare la bellezza anche nel dolore”, spiega Zeki. Prendiamo la Pietà di Michelangelo, con la Vergine Maria che tiene Gesù Cristo morto tra le sua braccia. “Non è certo gioiosa, ma è molto bella”.
Alcuni scienziati si chiedono se la bellezza non sia troppo complicata per essere rilevata da una scansione fMRI. “Il concetto di bellezza è una distrazione di indagine neuroscientifica contemporanea”, spiega il neuroscienziato Bevil Conway, del Wellesley College di Wellesley, nel Massachussets. “L'uso disinvolto di questo termine negli studi di fMRI dimostra un'ignoranza riguardo alla grande storia della filosofia sulla bellezza, che ha lasciato pochi dubbi sulla impossibilità di rinchiudere il concetto in una scatola”.
Conway dice che è un fan del lavoro di Zeki e ritiene che i risultati dello studio siano interessanti. Tuttavia le correlazioni tra ricompensa, processi decisionali e reazioni emotive, che costituiscono la risposta del cervello alla bellezza, rendono il termine troppo scivoloso per essere inquadrato. “Il fatto che dovrebbe esserci un meccanismo comune per il complesso insieme di processi che ci consentono di apprezzare la bellezza è un contributo notevole, ma dice poco, o forse nulla, su quello che costituisce la bellezza”.
Zeki e colleghi ammettono che la bellezza non è rigorosamente definita, ma affermano che i loro studi potrebbero portare verso una conoscenza più profonda di questa idea. "Il problema che affrontiamo riguarda i meccanismi neurali che ci permettono di sperimentare la bellezza”, spiega Zeki. “La questione centrale che emerge da questo lavoro per il futuro è: perché un'equazione è bella?”. Lo studio ha rivelato per esempio che la bellezza delle equazioni non è del tutto soggettiva. La maggior parte dei matematici ha concordato nel giudicare quali equazioni sono belle e quali sono brutte, come l'identità di Eulero, per esempio, (1+e elevato a iπ = 0) è stata valutata quasi all'unanimità come l'equazione più attraente di tutte. “In questa equazione compaiono tre numeri fondamentali, e, π e i, tutti definiti in modo indipendente e tutti di fondamentale importanza a modo loro”, dice Adams. “E improvvisamente compare questa relazione tra loro, espressa dall'equazione, che richiede complessivamente non più di sette simboli per essere scritta: è sbalorditivo”.
In fondo alla classifica della bellezza, invece, spesso i matematici mettono le serie infinite di Srinivasa Ramanujan per 1/π: “Non canta”, dice Adams. “Se la guardo, non imparo nulla di nuovo sul pi greco. E quei numeri, 26.390 e 9801? Per quanto mi riguarda, si potrebbe sostituirli con altri numeri e non coglierei la differenza”.
(La versione originale dell’articolo è su scientificamerican.com)