Tumori, l'aiuto della mente
Nel 1993, il gruppo di ricerca guidato da F.I. Fawzy, pubblicò su "Archives of General Psychiatry" i risultati di uno studio che aveva riguardato 68 persone operate di melanoma maligno. Dopo l’intervento, queste persone furono divise in due gruppi da 34 unità: un solo gruppo partecipò a regolari incontri collettivi gestiti da Fawzy e collaboratori. Una volta a settimana, per circa un ora e mezzo, gli operatori fornivano informazioni scientifiche sul melanoma, ma anche sulla nutrizione, sull’attività fisica, sui fattori di rischio; al tempo stesso organizzavano sessioni di gestione pratica dello stress tramite tecniche di rilassamento e indicazioni di psicoterapia cognitiva. Il sostegno durò solo sei settimane, ma furono giorni importanti. Dopo cinque anni, infatti, i medici verificarono una divergenza significativa tra il gruppo che aveva ricevuto un sostegno psicologico e quello che era stato solo operato. Le recidive e i decessi nel gruppo che aveva avuto il sostegno psicologico erano, rispettivamente, 7 e 3, contro 13 e 10 nel gruppo senza sostegno.
Adesso, Fawzy ci ragguaglia sul seguito della storia. A dieci anni di distanza, le differenze tra i due gruppi si sono assottigliate, ma il rischio di morte per chi partecipò al gruppo di sostegno è ancora tre volte inferiore all’altro. Con questi dati, la bilancia pro o contro l’uso della psiche nella lotta contro il cancro, pende lievemente verso i favorevoli. Ad oggi sono dieci gli studi controllati utilizzabili per rispondere alla domanda: può la psicoterapia e il sostegno psicosociale aumentare la sopravvivenza dei malati di tumore? Cinque favorevoli e cinque contrari. Con l’ultimo lavoro, passiamo sei a cinque, ma è evidente che la situazione è insoddisfacente anche per quei ricercatori che da oltre un ventennio provano a dimostrare l’efficacia del sostegno psicosociale.
Uno di questi, David Spiegel, psichiatra della Stanford University, leader internazionale della psicoterapia di gruppo in aggiunta al trattamento standard del cancro, in una recente rassegna sull’argomento pubblicata da Nature Reviews Cancer, prova a individuare le linee guida dell’intervento. Innanzitutto è importante il gruppo, che fa da costruttore di solidarietà, da luogo sicuro dove esprimere le proprie emozioni, ridurre l’ansia e ricevere un aiuto, sia dagli operatori sia dagli altri membri. In secondo luogo, il gruppo deve essere omogeneo e cioè composto da persone con la stessa malattia, allo stesso stadio di evoluzione. Alcuni studi che hanno dato esito negativo, infatti, hanno messo insieme persone con problemi molto diversi tra loro. Inoltre è fondamentale abbinare la percezione esatta della malattia, tramite una corretta e soddisfacente informazione scientifica, all’apprendimento di tecniche di gestione dello stress.
Spiegel e collaboratori insegnano ai pazienti tecniche di autoipnosi e rilassamento, che consentono una riduzione dello stress; la qual cosa permette anche una maggiore disponibilità a cambiare abitudini che possono influire sull’andamento della malattia, come il sonno, l’alimentazione e l’attività fisica.
Sono in corso altri studi per dirimere l’importante questione se la psicoterapia aumenti la sopravvivenza, ma è confortante che tutti gli studi fino ad ora realizzati, anche quelli con esito negativo, hanno registrato un miglioramento netto della qualità della vita dei partecipanti ai gruppi di sostegno psicosociale. Il che non è davvero poco.
di FRANCESCO BOTTACCIOLI - Presidente Società italiana Psiconeuroendocrinoimmunologia, Roma
Articolo interamente tratto da: La Repubblica Salute del 30.1.2003