Depressione post tumore al seno (1455114884487)
Angela, 37
Gentili Dottori,
mi chiamo Angela ed ho 37 anni, svolgo attività di dipendente, figlia unica di genitori separati e convivo col mio compagno ma non abbiamo ancora figli.
Angela, 37
Gentili Dottori,
mi chiamo Angela ed ho 37 anni, svolgo attività di dipendente, figlia unica di genitori separati e convivo col mio compagno ma non abbiamo ancora figli.
Molti ritengono che il diventare madre ed il modo con cui si accudisce un bambino sia basato in larga misura su una dimensione istintuale.
L’istinto materno è assimilato ad una sorta di “programmazione” naturale, geneticamente data, che guiderebbe la neomamma verso un accudimento efficace del suo bambino.
Per molte donne si riattivano automatismi arcaici di relazione con la propria madre, per altre l’obiettivo principale è distanziarsi il più possibile dal modello acquisito, l’evidenza è che diventare madre attua nella donna una profonda trasformazione a livello psicologico.
“Alle volte l’anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista lavora l’immaginazione, e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario.” (Giacomo Leopardi, Lo Zibaldone)
Aristotele, IV secolo A.C., nella “Politica” definisce l’uomo un animale sociale, teso ad aggregarsi ai suoi simili per costituire un nucleo sociale. Una sorta d’istinto primario che porta gli individui a cercare altri individui, al fine di creare un gruppo di condivisione e coesione.
Darwin (L’origine della specie, 1859) si occupa a lungo della questione socialità, osservando e studiando il branco di animali. Ottiene la conferma dell’istinto primario di aggregazione e il bisogno di stare vicino ai propri simili per ottenere sostegno, aiuto e protezione.
DOTT.SSA SIMONETTA PUTTI
Condividendo le idee e motivazioni espresse, quelle che peraltro hanno costituito l’assetto di base dal quale ci siamo mosse per scrivere il libro a più mani “Utero in Anima”[1], posso soffermarmi qui su pochi ulteriori spunti.
Io penso che l’esperto della psiche, e soprattutto chi con la psiche del paziente si confronta quotidianamente, non possa esimersi dal compito di essere nel mondo.
«Noi volevamo costruire una famiglia diversa da quella che avevamo avuto. Volevamo colmare ogni distanza, liberare i nostri figli da ogni autoritarismo, diventare un sol corpo con loro. Ci siamo illusi di avvicinarli. E, invece, eravamo arrivati solo allo strato più esterno ed estrinseco.
L’abbiamo trasformata alla radice. Ma che famiglia abbiamo costruito?»
Un professionista che lavori con e attraverso la relazione terapeutica può e deve condividere le proprie riflessioni, se queste esulano dalla pratica clinica vis-à-vis con il paziente o con i gruppi? Il suddetto professionista può e deve rivolgersi con sguardo curioso verso il confronto multidisciplinare, avviando addirittura discussioni con sociologi, filosofi, magari persino letterati e giornalisti, relativamente a tematiche più o meno nuove come, per fare un esempio, la questione GPA (maternità surrogata)?
Gran parte dei ricordi infantili di ogni individuo vede la presenza di una figura di rilievo che arricchisce di senso, significato ed emozione le scene di vita passata: la mamma. La figura materna rappresenta il primo oggetto d’amore, la prima persona con cui si entra in relazione, la persona con cui si sperimenta la fusione, a cui ci si abbandona completamente, di cui ci si fida e a cui ci si affida senza timori o remore.
Diventare madri è un processo che, per quanto naturale, in realtà, dal punto di vista socio-psicologico, è molto più complesso di quel che sembra.
Le circostanze della vita dei genitori, l'ambiente sociale, lo stesso concepimento, il livello di supporto fornito dal partner o dalla famiglia di origine, sono tutti fattori che partecipano a quell'evento di transizione che prende il nome di maternità.
La funzione materna non è pensabile come individuale e non si può circoscrivere esclusivamente alla figura femminile.
È una caratteristica relazionale, che coinvolge diversi soggetti, appartenenti a una comunità più ampia e complessa.
Questa è la tesi di fondo su cui i due autori, psicologi e psicoterapeuti esperti in terapia di coppia e familiare, costruiscono una narrazione originale della maternità.
Per tante donne la scoperta dell’imminente maternità, e l’evento nascita, non rappresentano un momento lieto; al contrario il puerperio può diventare un periodo molto critico dell’esistenza della donna.
Si stima che, nel mondo occidentale, la depressione post-parto abbia un’incidenza del 10-15% delle donne che partoriscono; per quanto riguarda invece il maternity blues l’incidenza oscilla fra il 50% e l’80% delle partorienti. Questi dati dimostrano che la maggior parte delle donne dopo il parto deve affrontare un periodo di squilibrio emotivo a cui spesso non si è preparati e di cui non si sospetta di poter essere vittime.
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