#Cittàdelfuturo: Psiconline intervista il Dottor Vittorio Sconci
Spunti di riflessione sul tema della Psicologia Urbana
L'evento #cittàdelfuturo tenutosi il 1° Luglio presso L'Aquila ha suscitato diverse riflessioni rispetto all'inserimento della figura dello psicologo nel contesto dell'urbanistica. Psiconline è stata pertanto lieta di accogliere le diverse prospettive emerse durante lo svolgimento dell'evento e tra i diversi professionisti incontrati, qui di seguito verrà presentata l'intervista fatta al Dottor Vittorio Sconci.
Dottor Sconci, in qualità di Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della provincia di L’Aquila, quali sono le sue impressioni relativamente alla giornata/evento #cittàdelfuturo?
Considero questa giornata la premessa di un discorso che bisogna aprire nel futuro, perché la psicologia deve entrare nei contesti sociali e per troppi anni è rimasta un po’ isolata, andando alla ricerca di specificità settoriali.
Ogni psicologo ha la sua scuola, ogni psicologo ha la sua determinazione, cose ottime e importanti ma che non bastano; il ruolo dello psicologo è quello di entrare nelle connessioni sociali e di mettere insieme tutte una serie di elementi e competenze in relazione e poi metterle tutte a disposizione dei bisogni della persona, della fantasia e dell’emotività di ognuno di noi.
È un discorso complicato, che sembra complicato, ma che dà l’idea di un operatore che ha come funzione essenziale quella di far stare bene l’altro; e far star bene l’altro non significa guarirlo, significa anche creare le condizioni perché stia bene e che non si ammali mai.
Per me questo è il ruolo dello psicologo, e per far questo lo psicologo deve avere una sua autonomia professionale; io lo vedo troppo subalterno ad altre professionalità.
A tal proposito le leggo una cosa che ho scritto 20 anni fa sulla subalternità degli psicologi:
“la subalternità al personale sanitario ha indotto processi degenerativi difficilmente controllabili e ha limitato la loro vera connotazione professionale dall’essere l’anello di congiunzione tra le specificità delle problematiche psicologiche ed il mondo delle relazioni interpersonali e sociali. A questo punto il problema si sposta sul come queste nuove professionalità possano svilupparsi in maniera tale da raggiungere livelli di adeguata contrattualità ed autonomia. La soluzione è rappresentata dallo svincolo di queste figure da una collocazione settoriale, psichiatrica o altro, per trovare una propria e specifica dimensione come autonomi servizi della USL”.
Io penso quindi che lo psicologo all’interno dei servizi sanitari non ha una specificità, non ha un servizio a cui riconoscersi, su cui identificarsi e quindi sembra quasi che lo psicologo, così come l’assistente sociale, per il quale il discorso è simile, siano soltanto i vassalli di una scienza più importante e questo mi sembra profondamente sbagliato e deviante.
È anche un modo di rinunciare ad una risorsa culturale e professionale di cui il mondo, che va velocemente avanti, ha bisogno.
Devo dire un’altra cosa che è altrettanto importante e cioè che bisogna essere adeguati nel rispondere a certi tipi di tematiche; è quindi anche un discorso di collocazione funzionale; lo psicologo deve porsi il problema di una rivisitazione delle proprie competenze.
Il coordinamento avviene laddove esistono competenze, anche perché sottolineo una cosa, la vera competenza di solito è quella disponibile al confronto, perché le competenze chiuse non sono vere competenze, sono dei malaffari, come diceva anche stamattina il Direttore della rivista Domus. Ad un certo punto lo spartiacque è sempre tecnica e tecnicismo: la tecnica che si apre è tecnica, è scienza, il tecnicismo è tecnica che si chiude.
Se questa città “sfigata” è una città senza vita è perché non c’è un’idea di città, lo abbiamo detto e lo hanno anche detto stamattina, ma l’idea di città non c’è perché in questi 6 anni di sventure ha prevalso il tecnicismo, con gente che ha messo al primo posto la tecnica e al secondo posto, o a nessun posto, la necessità di confrontarsi con le altre tecniche.
Quindi in questo senso l’apertura diventa la chiave fondamentale?
Si, diventa la chiave fondamentale ma non solo per il futuro della psicologia in quanto tale ma, entrando nel concreto, anche per lo sviluppo di questa città, perché se questa città pensa di andare avanti senza dei tecnici che la orientino e presume di andare avanti e non aver bisogno di scienze collaterali alle tecniche tipo le scienze umane e tra le scienze umane metto anche la psicologia, l’antropologia, se questa città pensa di fottersene ancora di questo chiaramente morta è e morta rimarrà.
La psicologia ha anche questo grande impegno, e spero che con questo convegno questo impegno diventi sempre più forte, ossia quello di mettersi a disposizione di un futuro che sia un futuro colto e non un futuro ignorante come quello dettato dal tecnicismo, perché il tecnicismo è ignoranza.
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