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Percorsi e mutamenti sociali: i giovani e le sostanze psicoattive

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La transizione dalla società industriale a quella post-industriale ha comportato una molteplicità di mutamenti da cui i singoli individui sono stati condizionati e che, a loro volta, hanno influenzato.

i giovani e le sostanze psicoattiveNell'arco di tempo compreso tra gli anni '60 e gli anni '90, quindi, i diversi modelli di consumo di sostanze psicotrope si sono succeduti parallelamente ai mutamenti sociali, tecnologici, politici ed economici avvenuti negli ultimi anni nella società.

Tali cambiamenti hanno favorito la "legittimazione del desiderio di mutamento individuale" (Francescato, Ghirelli, 1994): le società contemporanee sono caratterizzate dal prolungamento del periodo dedicato agli studi, dal conseguente ritardo dell'entrata nel mondo lavorativo e dal posticipato abbandono del "nido" familiare.

Tutto ciò fa sì che i giovani si trovino in una situazione di incertezza nei confronti del futuro, in un continuo gioco di rimando tra anomia e caos.

In questa interazione reciproca tra sociale e individuale, tra il versante istituzionale e quello privato, i micromutamenti avvenuti nell'ambito della società hanno comportato profondi cambiamenti nella psiche umana, nei rapporti interpersonali, tra i sessi e tra le generazioni, creando nuove opportunità ma anche nuovi problemi. Nell'ultimo decennio si è, infatti, assistito su più piani alla destrutturazione dell'organizzazione sociale, che riguarda (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 1997):

  • Il piano lavorativo: la disoccupazione sempre più crescente e la flessibilità lavorativa del part-time fanno sì che non ci sia più coincidenza tra il tempo del lavoro e la proiezione temporale.
  • La perdita progressiva del significato sociale dell'istituzione familiare: le nuove generazioni hanno accesso alla sessualità a partire dal momento in cui la possono agire. Questo ha un doppio significato: da un lato accentua la libera espressione di sé, dall'altro accentua la percezione della provvisorietà del rapporto anche in coppie da lungo tempo rodate.
  • Il cambiamento nella percezione del tempo: in passato il tempo era percepito come lineare, un tempo cioè che implicava "programmazione, sacrificio, capacità di rinuncia, di attesa e attivazione delle capacità costruttive" (Crispi, Mangia, 2000, pag. 36). In questo senso, la percezione del tempo coincideva con il ciclo agrario e con quello della natura, in cui vi era un ripetersi continuo di conquista e perdita di nuove situazioni, consentito dai momenti di festa in cui le eclissi della ragione erano permesse di anno in anno. Oggi, invece, si tende per lo più ad una rappresentazione del tempo circolare, che richiede maggiore "capacità di improvvisazione, adesione all'edonismo e ai modi di soddisfacimento pulsionale non dilazionato, nonché la consapevolezza della transitorietà del proprio essere nel mondo." (ibidem, pag. 36).
  • La scissione temporale: rappresenta un'altra forma di flessibilità per cui i giovani accetterebbero il tempo ordinario, "routinario" e noioso del lunedì, perché esiste il week-end con il suo significato liberatorio.
  • La valorizzazione della reversibilità delle scelte: le scelte che si compiono non sono mai vissute come definitive, ma come reversibili, laddove in passato il valore di una scelta era dato proprio dalla sua irreversibilità.

"L'individuo tende sempre più ad autoriferirsi, a cercare in sé stesso, nelle proprie risorse, ciò che precedentemente trovava nel sistema sociale di significati e di valori cui apparteneva la sua esistenza. L'indeterminatezza delle nostre società in perpetuo mutamento, lo sradicamento dei riferimenti collettivi, proiettano ogni individuo verso una ricerca di significato e del valore della sua esistenza. (…) Così l'individuo, in assenza dei limiti di significato che le nostre società dovrebbero fornirgli, cerca intorno a sé dei limiti effettivi e tangibili. Il reale tende a sostituirsi al simbolico, e il prendere rischi acquista, in tal senso, un'importanza sociologica considerevole" (Le Breton, 1995, pag. 48).

La società "normalmente tossicomanica"

Non dovrebbe sorprendere, quindi, che le designer drugs, sostanze sintetiche inizialmente immesse sul mercato dalla chimica farmaceutica per migliorare il trattamento dei quadri psicopatologici gravi, siano entrate velocemente a far parte delle abitudini giovanili per alterare gli stati di coscienza.

Già negli anni d'oro dell'LSD si era sentita la necessità di una sostanza simile, ma con effetti meno allucinogeni e devastanti: l'ecstasy e i suoi derivati producono un trip di breve durata che non entra in collisione con i ritmi produttivi e di efficienza sul lavoro.

Ciò sembrerebbe, quindi, spiegare il motivo per cui un numero crescente di giovani sia più sensibile al fascino di certe sostanze illegali: prima dell'incontro con esse, i giovani d'oggi hanno cominciato a prendere pillole legali già dall'infanzia.

"Nella vita di chi è sottoposto a una richiesta crescente di rendimento, le sostanze eccitanti (per tenere svegli e migliorare l'efficienza) e, per controbilanciarle, i sonniferi e i sedativi, rivestono un ruolo sempre più importante" (Amendt, 1995, pag.16); oggi, gli stimolanti penetrano anche nell'ambito del tempo libero.

I giovani, quindi, hanno la possibilità di scegliere la sostanza giusta a partire da uno specifico desiderio, fenomeno che Ingrosso (1999) denomina effetto supermarket. Sembra, così, crearsi un connubio inscindibile tra la farmacopea della droga (Collin, 1998) e la farmacopea dei desideri (Ingrosso,1999).

La chimica, oggi, ha il sopravvento e, come ci ricorda Galimberti, la droga è diventata un problema per il fatto di "essere stata sottratta al mondo mitico-rituale - in cui è sempre circolata con la facilità e la semplicità con cui si esprimono tutte le abitudini della vita quotidiana - per essere inserita in un mondo scientificamente determinato in cui la ritualità, che cadenza comunque la vita dell'uomo, non trova più la sua andatura, perché il fattore chimico agisce nell'immaginario collettivo con l'inesorabilità che neppure un dio sfiora." (Galimberti, 1991, pag.6).

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I giovani d'oggi sono nati in un mondo ormai quasi del tutto computerizzato e chimico: la decisione di assumere o no ecstasy è solo una delle tante valutazioni che si trovano a fare nel quotidiano confronto con i rischi della chimica. In questo contesto, le sostanze psicoattive sembrano essere un oggetto adeguato e di facile consumo.

Questa visione della droga, nell'accezione pharmacon (1) (Martignoni, 1986), sembra direttamente collegata al fatto che l'oggetto (sostanza-di-consumo) diviene fortemente demetaforizzato, restando "slegato dalla catena significante che dall'iniziazione a grande efficacia del mito (…) scivola (…) a un reale-iper-reale del bisogno cellulare" (Martignoni, 1986, pag.76).

C'è tutto un mondo che assume farmaci: non tanto per curarsi quanto per aumentare le proprie potenzialità fisiche e relazionali (Ingrosso, 1999; Camarlinghi, 2000). Vi è, quindi, una sorta di consonanza tra le "nuove droghe" e le tecniche di potenziamento tipiche della nostra società, e ciò si inquadra "in uno scenario di manipolazione tecnologica del sistema psicosomatico e relazionale-comunicativo dei soggetti finalizzato al soddisfacimento di bisogni o desideri di tipo esplorativo (di emozioni, sensazioni, ecc.), socializzante, curativo, contenitivo (di paure, angosce, ecc.), ricreativo, operativo, creativo, simbolico e così via." (Ingrosso, 1999, pag. 14).

Più che un'incapacità di relazioni oggettuali, si nota una polimorfia degli oggetti, che divengono tramite desimbolizzato e che permettono di accedere alla gratificazione immediata. Ma, al contempo, questa stessa polimorfia comporta che l'oggetto perda la sua specificità di "accesso alla gratificazione". Sembra esservi la possibilità di aggirare l'ostacolo e la frustrazione attraverso una sorta di "telecomando mentale" (2): al primo accenno di frustrazione è possibile accedere alla gratificazione, e quindi al piacere, cambiando l'oggetto.

La società narcisistica

La cultura dell'ecstatsy esprime, ovviamente, alcune caratteristiche della più ampia cultura occidentale in cui è inserita e che per certi aspetti potrebbe definirsi "narcisistica" (3).
Infatti, sembrano prevalere la tendenza alla soddisfazione immediata dei bisogni e l'incapacità di tollerare attesa e limiti vissuti come insopportabili elementi di frustrazione. Il soddisfacimento sfrenato di tutti i propri bisogni si è sempre proposta come la condotta più seducente del mondo; purtroppo, però, come ricorda Freud (1930), ciò significa anteporre il godimento alla prudenza, alla riflessione e alla possibilità di accedere ai propri desideri.

Tutto ciò, sembra favorire l'attuale tendenza a ridurre o, addirittura, ad abolire completamente ogni spazio/tempo che potrebbe essere dedicato alla riflessione. Una delle possibili ipotesi che si potrebbero avanzare a questo riguardo è che alla velocizzazione dei ritmi farebbe da correlato psichico la tendenza individuale a mantenere alta e costante l'eccitazione, il cui venir meno sarebbe avvertito come un apparente svuotamento di senso e di significato della propria esistenza.

L'estrema velocizzazione dei ritmi della vita porta a uno stato di eccitazione il cui venir meno è sentito come un insostenibile svuotamento di senso dell'esperienza: la velocità è associata all'euforia, all'ebbrezza, all'instabilità, al rischio, allo spreco e all'allegria e si contrappone, nell'immaginario collettivo, alla lentezza cui gli attributi di sobrietà, stabilità, durevolezza, sicurezza, noia e conservazione, in quest'ottica, conferiscono una valenza prettamente negativa.

L'estremismo dell'una porta all'impoverimento dell'altra: un' estrema e cieca velocità porta a ciò che Calabrese (1988) denomina imbottigliamento (4), impoverendo lo spazio della lentezza, l'unico in cui trova territorialità il tempo dell'attesa e dell'intervallo. Gli intervalli sono la condizione necessaria per prendere le distanze da una presenza/consapevolezza, altrimenti ingombrante, di sé e del mondo che consenta la germinazione di elementi di creatività che trovano il loro humus nella capacità di tollerare la mancanza e nel piacere derivante dal desiderio che, da questa mancanza, nasce.

I giovani, al contrario, temono e sfuggono questo momento e investono sempre più le proprie energie mentali in delle occupazioni pragmatiche e strumentali, ben lontane dalla pura e semplice riflessione e, quindi, dalla possibilità di riflettere sul proprio futuro.

L'ecstasy, così, sembra essere la sostanza che maggiormente permette di dare uno scopo concreto alla ricerca di una gratificazione nei termini di eccitazione/piacere. La droga, e l'ecstasy in particolare nella sua funzione performativa, permette di avvicinare il proprio funzionamento fisico e mentale a quello di una macchina, mantenendo il livello delle prestazioni formite su un plauteu che si erige su di un tipo di funzionamento che è legato alla logica dell'eccitazione (più che a quella del desiderio), in cui la ricerca costante del miglioramento delle performance individuali mediante l'assunzione "normalizzata" di droghe si raggiunge, non attraverso un "sentire dal di dentro" ma da un "sentire dal di fuori"definito come stato di eccitazione costante mantenuto e assicurato collocando il centro della sensibilità al di fuori dell'uomo. "Si tratta di un "sentire" che non avendo punti di rottura, né di intensa espressione, rimane "trattenuto e privo di salti", qualità che consentono il permanere di una capacità di "prestazione" continua e per questo più efficiente" (Crispi et al., pag. 242)

La nostra sembra essere una società che, in un certo senso, facilita l'accesso "motivazionale" all'ecstasy: sostanze come l'eroina, che creano dipendenza e una visibile condizione di degrado e di perdita della propria libertà individuale, ormai sembrano essere passate di moda all'interno di una società che ricerca il piacere intenso e indifferenziato in tutte le sue dimensioni.

Come diceva Freud (1925) in "La negazione": " L'originario Io-piacere vuole […] introiettare tutto il bene e rigettare da sé tutto il male. Per l'Io ciò che è male, ciò che è estraneo, ciò che si trova al di fuori sono in primo luogo identici".

 

Note

1 Si intenda qui la definizione che ne dall'autore: "come processo di medicalizzazione dell'oggetto droga dentro percorsi puliti e visibili"
2 Sarno L., Corso Monografico di psicopatologia, 1996-1997, Università di Palermo
3 Con tale espressione si intende sottolineare che ciò sembra essere il rappresentante perverso del principio di piacere freudiano.
4 esperienza di stasi che genera ansia e panico.

 

Bibliografia

  • Amendt G., Droghe tecno per culti tecno, in Saunders N. E come ecstasy, Feltrinelli, collana Interzone, Milano, 1995.
  • Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A., Giovani verso il duemila. Quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 1997.
  • Calabrese O., Nuovi ritmi, nuovi miti. In Manzoni M., Scalpelli S., Velocità. Tempo sociale tempo umano, Guerini & Associati, Milano, 1988.
  • Camarlinghi R. (2000), Nuove Droghe, oltre l'allarme, Animazione Sociale, Aprile.
  • Collin M., Stati di alterazione. La storia della cultura Ecstasy e dell'Acid House, Oscar, Saggi Mondatori, 1998.
  • Crispi M., Cimò Impalli M., Parlavecchio M., Spinella G., Le nuove tossicodipendenze tra malattie e scelte esistenziali. In Crispi M., Mangia E., Il disagio giovanile contemporaneo. Immagini di un'adolescenza tradita, Ila Palma, Palermo, 2000.
  • Crispi M. Mangia E., Disagio giovanile e confronto con il rischio: esperienze del limite, condotte ordaliche e ricerca di stati di eccitazione. In Crispi M., Mangia E., Il disagio giovanile contemporaneo. Immagini di un'adolescenza tradita, Ila Palma, Palermo, 2000.
  • Crispi M., Mangia E., La macchina della prevenzione e le tossicodipendenze. In Crispi M., Mangia E., Il disagio giovanile contemporaneo. Immagini di un'adolescenza tradita, Ila Palma, Palermo, 2000.
  • Crispi M., Mangia E., Il disagio giovanile contemporaneo. Immagini di un'adolescenza tradita. Ila Palma, Palermo, 2000.
  • Francescato D., Ghirelli G., Fondamenti di psicologia di comunità, Nuova Italia Scientifica, Urbino, 1994.
  • Freud S. (1925), La Negazione, O.S.F. vol.10, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.
  • Freud S. (1930), Il disagio della civiltà, O.S.F. vol.10, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.
  • Galimberti U., Prefazione a Szasz, Il mito della droga: la persecuzione rituale delle droghe e degli spacciatori, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 1991.
  • Ingrosso M. (1999), Nuove droghe, nuove idee, Animazione Sociale, Novembre, (pp 9-25).
  • Le Breton D., La passione del rischio, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1995..
  • Saunders N., E come ecstasy, Feltrinelli, collana Interzone, Milano, 1995.
  • Sarno L., corso monografico di psicopatologia, 1996/1997.

 

 

Roberta Campo*, Laura Pavia°
* Dottoranda di Ricerca in Psicologia Generale e Clinica, Università degli Studi di Palermo.
° Dottoressa in Psicologia, Università degli Studi di Palermo.

 

 


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