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Del perché si può ancora dire vivisezione e storie di macachi

Intervista a Michela Kuan, biologa della LAV

Giudici darte 1889 di Gabriel von MaxTra gli argomenti principali di questa rubrica c'è un soffermarsi, sin dai primi articoli, su quel tipo di intelligenza che Daniel Goleman definisce, ‘ecologica’. Per formazione e orientamento junghiano e hillmaniano, io collego l’intelligenza ecologica a quel ‘fare anima’ quotidiano che apre un passaggio allo spirito, che rende la vita sulla terra dotata di senso quando è vissuta con intensità. Ogni individuo individuato porta una goccia d'acqua nel collettivo. All’interno di questo macrotema, come già ho accennato di recente intervistando il collega Mucelli, psicoterapeuta di OSA (Oltre la Sperimentazione Animale) a proposito dei macachi coinvolti nell’esperimento ‘Lightup’ mi interessa la relazione degli esseri umani con gli altri animali. 

Tra i vari piani che si possono toccare e analizzare rispetto al nostro momento storico (che è anche un momento della storia dell’inconscio collettivo) così pregnante, vorrei considerare  alcuni aspetti della violenza quotidiana nel rapporto dell’uomo con gli altri animali; una violenza che sembra aumentare così come aumentano altre forme di crudeltà contro i “più deboli”: uomini di altre etnie, le donne, i bambini. La violenza perpetrata contro l’animale si ripercuote nella nostra anima; è facile pensarci ‘altro’ rispetto agli animali, metterci a distanza, salire sul piedistallo specie-specifico. 

 Scrive James Hillman: “La psicologia ha un debito particolare nei confronti degli animali, se è vero che essi sono il sistema simbolico primordiale, e se la psicologia non ha completamente dimenticato che anche noi siamo animali, mangiamo con le unghie e coi denti, soffriamo la sete, ci accoppiamo e attacchiamo al seno i nostri piccoli, sporchiamo con le nostre deiezioni punti prestabiliti e andiamo soggetti a varie emozioni, al panico, alla lussuria, all’amore del nido, alla curiosità.” (James Hillman, Animali del Sogno, prefazione.Raffaello Cortina Editore, 1991)

A partire da questa premessa, ho intervistato Michela Kuan, biologa responsabile a livello nazionale del settore vivisezione per la LAV, chiedendole di parlarci degli obiettivi e dell’impegno dell’associazione attiva da ben 40 anni sul territorio nazionale. La LAV è un gruppo al quale afferiscono tante persone e professionisti che si occupano di far crescere il rispetto per gli animali e per l’ambiente naturale in cui vivono. 

Domanda: Nello specifico, come sente a livello collettivo l'interesse della gente per i temi animalisti? Goleman parla di ‘intelligenza ecologica’; noi junghiani potremmo parlare anche di ‘anima animale’. Credo siano concetti facilmente intuibili anche per i non addetti ai lavori. Come si pone la LAV in questo senso?

M.K.: La LAV è nata con la mission di combattere la sperimentazione animale. Negli anni si è molto allargata e la sua battaglia è attiva contro tutti gli abusi sugli animali. Non ci occupiamo più soltanto di vivisezione ma combattiamo per abolire ogni forma di sfruttamento come gli allevamenti, i trasporti, gli zoo e i circhi, la caccia e ovviamente le pellicce. Dalla storica campagna contro le pellicce di foca alle battaglie di oggi, infatti anche se molte persone sono contrarie alle pellicce, purtroppo continuano ad acquistare ignari bordure vere sui giacconi o piumini. La LAV si occupa di tutto ciò, e poi ancora di cani e gatti, semplici animali familiari ma vittime di violenza; dal cane chiuso in macchina sul terrazzo all’abuso grave. In ogni caso, parliamo di tutti i tipi di sfruttamento e ci occupiamo di quelli che sono i diritti degli animali cercando di fare formazione, lavorando a livello politico e legislativo per cambiare quelle che sono le norme, anche nelle scuole e nelle università. Certamente la coscienza verso questo tema sta cambiando: ora si è relativamente più sensibili. Si è, da un lato, abbassata la soglia di sensibilizzazione negli anni, verso l’abuso. Però, d’altro canto, è anche vero che i media hanno abituato le persone alla violenza con scene molto cruente, per cui, paradossalmente, la soglia di sensibilità si è alzata. Inoltre, ci sono degli ‘argomenti tabù’: primo tra tutti… la vivisezione. 

Vediamo in TV scene atroci: donne vittime di violenza, per esempio, ma se ci fate caso di vivisezione non si parla mai.

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Domanda: Vorrei dunque approfondire proprio questo tema, quello relativo alla ‘vivisezione’. Termine controverso quasi quanto ‘femminicidio’. Uno di quei termini che si vorrebbero negare per poter mettere a tacere, forse, le paure collettive e le colpe (il tema della colpa, come ben sapete se siete lettori di questa rubrica, è per me molto ricco di spunti, ndr.). Facile dire ‘non è vivisezione’. L’uso dell’espressione ‘ricerca con animali’, ‘modello animale’ toglie pathos e sangue, distoglie dalla sofferenza, dalle grida e dal sentimento?

Jung stesso, in “Ricordi, sogni e riflessioni”, scrive: “Mi ripugnava la vivisezione”.

“Non potei mai liberarmi della sensazione che le creature a sangue caldo fossero affini a noi, e non fossero solo degli automi dotati di cervello; di conseguenza, sempre che mi fosse possibile, evitavo le lezioni dimostrative”. 

La vivisezione gli pareva “orribile, barbara, e soprattutto superflua”. La sua compassione per gli animali non derivava dagli elementi buddistici della filosofia di Schopenhauer, scrive, ma poggiava sulle più profonde basi di un atteggiamento primitivo dell’animo, sull’inconscia identità con gli animali. Aggiunge che allora, naturalmente, era del tutto ignaro di questo fatto psicologicamente importante.  

M.K.: Il termine ‘vivisezione’ è accuratamente non-utilizzato proprio da chi fa ricerca con animali. Perché preferisce dichiarare di fare ‘sperimentazione animale’. Un termine più soft, non empatico, e che fa sottintendere una ricerca pulita, cosa che di fatto non è assolutamente. Quando si parla di sperimentazione animale - e parliamo di quasi 600.000 animali coinvolti ogni anni, 12.000.000 in Europa è più di 115.000.000 nel mondo - si parla di animali vivi. Questi animali rientrano nella statistica se sono vivi e non se vengono utilizzate parti di essi o carcasse; non è un utilizzo post-mortem. Quindi, quando leggiamo notizie sui giornali e si parla di sperimentazione animale, l’animale è sempre vivo e gli viene fatto di tutto. Non solo la semplice iniezione o prelievo. Sentendo parlare chi utilizza gli animali per la ricerca, sembra quasi che questi animali vivano in condizioni del tipo ‘albergo a cinque stelle’, sempre coccolati perché loro gli vogliono bene, ma questa non è la realtà! Basta guardare la nostra ultima campagna, il video realizzato da essere animali (https://www.youtube.com/watch?v=4aH2YVzexUk) legato all’utilizzo dei primati in laboratorio e si capisce quanta sofferenza ci sia in questi animali. Vengono imprigionati per tutta la loro vita all’interno di piccole gabbie dove praticamente non si possono muovere. Non conoscono la luce del sole, non conoscono l’affetto di una mano, non conoscono interazioni sociali, hanno una deprivazione totale di tutti i sensi, e quindi fisica e anche psicologica. Viene tolto loro qualsiasi tipo diritto. Non conoscono il cibo. Ricevono Pellet, che è un mangime standardizzato, e vivono in una totale solitudine aspettando la sperimentazione. 

Quando si parla di vivisezione non si parla dunque di iniezioni, di osservazione del comportamento e controllo, azioni che in ogni caso provocherebbero stress, ma parliamo di trapianto di organi, fratture ossee, stimolazioni a livello profondo del cervello, deprivazioni (come allontanamento dalla madre da piccolissimi, isolamento totale e immobilizzazione per diverse ore al giorno). Viene indotto nell’animale qualsiasi tipo di malattia umana. Le persone hanno accettato questo modus operandi, sebbene contrarie alla vivisezione, anche per colpa dei giornali e delle notizie che sono un bombardamento quotidiano, che dicono quasi ogni giorno che “grazie al topolino”, “grazie all’animaletto” abbiamo scoperto… Così la gente pensa alla sperimentazione come un male necessario. L’orrore è quotidiano. Ancora oggi, sebbene la ricerca dovrebbe essere un diritto di tutti, i laboratori sono chiusi; nessuno può entrare a far vedere alla gente che cosa succede, non ci sono videocamere e nessuno può entrare. A questo si aggiunge il fatto che la sperimentazione con animali, la vivisezione, non ha un fondamento scientifico. La vivisezione è un modello che fallisce al 95% per cento dei casi e mai stato validato.

Domanda: In particolare, mi piacerebbe riflettere insieme sulla questione dell’esperimento “Lightup”. Ne ho parlato in questa rubrica proprio di recente, nella precedente intervista. Qual è la sua posizione? Ci spiega quel che sta accadendo alle Università di Torino e Parma? Che cosa possiamo fare per collaborare a una ricerca veramente etica?

M.K.: Proprio di recente stiamo parlando di vivisezione e i riflettori sono accesi sopra una ricerca che prevede l’utilizzo di macachi nell’università di Torino presso i laboratori di quella di Parma. Cosa succede? L’università di Torino è stata autorizzata per una sperimentazione molto invasiva su sei macachi che sono già detenuti presso l’università di Parma, in quanto Torino non ha l’autorizzazione ministeriale a utilizzare questa specie.

I primati godono, in teoria, rispetto all’utilizzo degli stessi negli esperimenti, di grossissimi limiti e divieti che possono essere superati solo ‘eccezionalmente’. Nel caso di questo specifico esperimento, l’iter prevede una lunga fase di training in cui gli animali vengono abituati a stare nelle sedie di contenzione per fare poi delle registrazioni attraverso il cervello. Parliamo di abituare gli animali a stare in una struttura che li rende immobili dalla testa alle zampe, con gli occhi diciamo fissati sullo schermo per poter vedere, per poter conoscere delle immagini. Al termine di questa fase di training, l’animale viene operato con ablazione della corteccia visiva. Il presupposto è che, poiché esiste nell’uomo una rarissima cecità (blindsight, visione cieca) dovuta a un trauma, si voglia creare un modello animale per studiarla (cosa di fatto già in atto dagli anni ’70). Questo disturbo viene ricreato in maniera artificiale, artificiosa, nell’animale, con un intervento chirurgico in cui viene proprio asportata una parte del cervello. L’animale quindi, di fatto, si risveglia che non ci vede più. Passano settimane di forte stress, il decorso post-operatorio, poi viene ripetuta la precedente fase di training in cui vengono somministrate le immagini del caso. 

A chi difende questa sperimentazione sembra che l’animale non soffra minimamente e che questa sperimentale sia utile.

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La LAV ha lanciato una petizione che ha già raccolto più di  250.000 firme in poche settimane. Una risposta grandissima dei cittadini italiani che ancora una volta si dimostrano contrari a queste violenze terribili e inutili. Abbiamo coinvolto anche il competente Ministero della Salute. Abbiamo inoltrato una richiesta di revoca proprio perché abbiamo ricevuto tutte le carte relative a questa sperimentazione e abbiamo avuto conferma che i requisiti richiesti per legge non sono stati rispettati, un fatto molto grave che continua a essere sostenuto da moltissime associazioni. Ricordo che il 14 settembre proprio a Parma ci sarà una manifestazione e il 12 ottobre ci si troverà a Torino per scendere in piazza e chiedere di liberare i macachi e fermare immediatamente questa sperimentazione. Non sarebbe la prima volta, perché già l’università di Modena e l’Istituto Profilattico insieme al Coris di Padova hanno liberato una intera colonia di macachi scegliendo di mettere fine a questo tipo di sperimentazione. Speriamo che anche in questo caso ci sia un lieto fine e che questi animali possano vivere il resto della loro vita in una situazione più serena, rispettosa dei loro diritti. In questo caso gli animali provengono da uno stabilimento olandese che ha come fornitore la Cina quindi pensiamo ai viaggi che fanno questi animali privati della loro vita del loro ambiente e spediti per viaggi transoceanici in aereo arrivano in Olanda e passano quarantena dove vengono smistati.

Tornando a questo esperimento, capite che è ben lontano dall’immagine bucolica che se ne vuole dare. L’animale è contenuto per diverse ore al giorno per più giorni a settimana e poi operato, e la realtà è che questo animale ha artificialmente un deficit che simula quello umano. La risposta è fortemente condizionata per ricompensa: se indovina, ha una ricompensa dolce ma se risponde allo stimolo non ha la spontaneità del volontario umano. Ci sono volontari disponibili che hanno un riconoscimento emozionale e c'è tutta una emotività che non può avere un animale che è forzato su una sedia e deve rispondere forzatamente agli stimoli. Gli uomini hanno la parola cosa che i primati non hanno, quindi l’osservatore ha un condizionamento soggettivo e lontano da oggettività. Noi come esseri umani dobbiamo porci delle domande, non possiamo accettare che la scienza prescinda dalla questione etica. Moltissime sono ormai le pubblicazioni scientifiche che dimostrano la fallacia del modello animale. Ci sono ricercatori e scienziati che da quando abbiamo preso parola contro questo esperimento concordano sulla sua inutilità e inattendibilità. Anche nel campo della Psicologia ci si aspetta che professionisti che hanno questa grande capacità di entrare nel mondo della bioetica prendano parola e dichiarino la propria contrarietà contro questo aberrante esperimento. Abbiamo moltissime alternative, molte tecniche di acquisizione di immagini del cervello già ben presenti in Europa, con macchine incredibili. Utilizzare ancora un modello sperimentale della fine dell’ottocento, mai validato scientificamente è inaccettabile.

Domanda: Ancora in “Ricordi, sogni riflessioni”, Jung rievocava il proprio sentimento e la propria posizione verso la vivisezione, trovando il nesso che fa dell’apparentemente diverso un vicino, in ottica antispecista: «Amavo tutti gli animali a sangue caldo, che hanno un’anima come la nostra e con i quali ci comprendiamo d’istinto, perché essi sono così vicini a noi e partecipano della nostra ignoranza. Siamo accomunati a essi da gioia e dolore, amore e odio, fame e sete, paura e fiducia – da tutti gli aspetti essenziali dell’esistenza, a eccezione della parola, di un’acuta coscienza, e della scienza. E sebbene come tutti ammirassi la scienza, capivo anche che da essa nascevano l’alienazione e l’aberrazione del mondo di Dio, e che essa provocava una degenerazione dalla quale gli animali erano immuni: gli animali erano cari e fedeli, immutabili e degni di stima, ed era negli uomini che più che mai avevo sfiducia.».

Per concludere, vogliamo dare tre consigli per i lettori?

M.K.: Consiglio a tutti di informarsi il più possibile, e di andare sul nostro sito www.lav.it per leggere le notizie e conoscere le nostre campagne; questa sui macachi ha una pagina apposta che è sempre aggiornata. Purtroppo c'è tanta mala informazione in questo campo nonostante sia un tema che riguarda tutti, infatti noi con le nostre tasse finanziamo inconsapevolmente la vivisezione, quindi è un nostro diritto conoscere ed è un nostro dovere informare.

Ringrazio la Dottoressa Kuan e vi invito alla riflessione.

A presto.

 

 

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