Angela Merkel e la fragilità del potere
Inaspettatamente il corpo della donna più potente della terra trema durate la cerimonia dell'alzabandiera accanto ad un uomo di Stato. L'evento suscita in chi sta seguendo la cerimonia in diretta o in differita un certo disagio e una certa preoccupazione per lei.
In quel momento l'immagine immobile del potere consolidato muta forma e Angela Merkel assume le sembianze di un essere umano con tutte le sue fragilità intrinseche sollecitando nell'altro un'emozione empatica, di vicinanza e immedesimazione perché evoca dolore e sofferenza.
Quel corpo tremante evidenziando malessere e sofferenza, che è una condizione psicologica di base di ogni soggetto anche all'avversario più riottoso, fa scattare un meccanismo di identificazione.
Per tre volte, nell'arco di poco tempo e di fronte alle telecamere di tutto il mondo, la scena si ripete; la donna cerca di difendersi da quella automatica e incontrollabile reazione: non si sa se anche in altre situazioni si sia manifestato questo malessere.
Una cosa è certa, è il sintomo di un disturbo personale che coinvolge la dimensione psicologica e biologica della persona; sta allo staff sanitario di riferimento approfondire il sintomo, fare delle diagnosi. In questo contesto ciò che interessa è analizzare come il potere, con la P maiuscola, con il tempo corrode e svela la sua fragilità.
Questo tremore richiama la riflessione di Søren Kierkegaard in Timore e Tremore che ruota attorno al conflitto morale e politico riguardante l'ordine dato ad Abramo, da parte di Dio, di uccidere il figlio Isacco. E' la messa alla prova, è un comando psicotico che, pur avendo in sé una sua logica, scardina la regola della normalità. L'ordine dato è un ordine supremo che va oltre il normativo, riguarda la fede, il riconoscimento del potere. Il potere si coniuga con la fede. E' nel nome di questa fede di appartenenza, di questa dipendenza che si sono consumate umane tragedie di distruzione.
Se c'è fede non è possibile trasgredire all'ordine; quindi non è possibile tradire la fede nella Legge dello Stato. E' questa Legge che fa tremare i polsi ad Abramo e non solo. La Legge introiettata sovrasta la dimensione di sé, dell'io. L'io è al servizio della Legge, l'introiezione è tremante e genera timore. La legge degli uomini è modificabile quella della fede è immutabile: il timore di sbagliare, di non essere conforme all'ideale della Legge del potere e dello Stato determina tremore.
Il tremore compare proprio quando, con l'inno nazionale, si celebra la sacralità degli Stati. Il suono scuote le viscere: l'inno nazionale rievoca il dovere primordiale della fede della Legge dello Stato.
A livello psicologico si potrebbe liquidare il tutto definendo quel comportamento un disturbo di ansia panica come una fobia, ma sarebbe una banalizzazione.
Il potere, diceva un vecchio cinico politico italiano, logora chi non ce l'ha. Il cinico proiettava nella funzione verbale di logorare (consumare, mangiare) l'invidia dell'altro di non poter prendere, acchiappare, consumare più cose: questo non centra con il timore del potere.
Il fantasma del potere come ideale alla lunga fa incurvare le spalle, produce malessere, induce sofferenza. La troppa esposizione al potere per il potere, con il passare del tempo, al posto di rinforzare la pratica determina l'opposto. La pratica del potere è come una curva gaussiana: all'inizio lentamente sale, poi si espande, poi scende e si estingue.
Non bisogna mai rimuovere la dimensione ambivalente del potere, da una parte della medaglia c'è quella dell'onnipotenza, dall'altra quella della fragilità.
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