COVID e ambiguità
Sono sette mesi che il coronavirus è presente nella mente di ogni singolo individuo e detta comportamenti, paure, ansie, incertezze.
La prima reazione comportamentale individuale e collettiva di fronte a questo evento è stata quella di minimalizzare, sdrammatizzare, semplificare, sottovalutare rifacendosi a un ragionamento sillogico debole: l’infezione è cinese, il covid-19 è di Hubei, solo i cinesi si ammalano; quindi se è vero che l’infezione è cinese allora è vero che riguarda solo la Cina. E’ il paradosso del pensiero del terzo escluso: se una cosa è vera, l’altra è falsa. E’ la banalizzazione cognitiva del principio di non contraddizione.
E’ un modo di pensare associativo che conferma un pensiero semplificato della realtà. Infatti, l’erronea convinzione, che l’infezione riguardasse soltanto la Cina, al posto di sollecitare azioni sanitarie e sociali di prevenzione della diffusione del virus, ha negato paranoicamente il problema: “è colpa dei cinesi”.
Lo stesso meccanismo cognitivo riduzionistico e negazionistico sì è riproposto in Italia dividendo la questione tra nord e sud. La dinamica si è riprodotta su larga scala in Europa poi negli altri Continenti.
La seconda reazione è stata quella della convergenza o divergenza delle regole da adottare proposte in modo frammentario e conflittuale da parte degli organismi tecnici scientifici. A causa della paura delle morti e dell’impotenza medico-biologica del covid-19 è prevalso il pensiero convergente: chiusura, isolamento, mascherine, distanza, disinfestazione e lavaggio delle mani.
Il risultato faticoso dell’applicazione della condivisione e della convergenza è riuscito a contenere l’espandersi del virus, contenere i decessi, decongestionare le strutture sanitarie, trovare dei nuovi prodotti biologici per testare e misurare la diffusione.
Nel frattempo però il pensiero divergente si è contrapposto al pensiero convergente determinando una dialettica conflittuale producendo una sintesi zoppa.
La terza reazione è stata dominata dal pensiero complementare: in alcune situazioni si porta la mascherina, in altre non si porta. E’ una reazione che ha generato ambivalenza tra i vari apparati tecnici, politici e nella popolazione: è possibile avvicinarsi oltre a un metro solo se c’è la mascherina; se si è all’aperto, si può portare la mascherina come non portarla…dipende. Si può e/o non si può, si deve e/o non si deve. E’ tutta una costellazione di affermazioni complementari che si articolano su un doppio binario. Tutto questo genera una comunicazione ambigua che produce confusione, insicurezza e instabilità.
Lo scontro dialettico tra pensiero convergente e divergente tra condivisione e divergenza delle regole e delle norme al posto di produrre una sintesi confermativa e deduttiva di come agire e comportarsi, è ancora in uno stadio non deduttivo quindi confusivo, frammentato e poco positivo: questa è la fase attuale.
E’ una fase ambigua e di scontro tra le parti sociali. L’ambiguità è uno stadio regressivo che coinvolge il pensiero primario, è fatto di emozioni contrastanti; è un pensiero che esclude la parola e quindi non dà forma a un ragionamento. E’ uno stadio perturbante.
Per l’individuo stare in una condizione mentale di stallo, di confusione non favorisce la costruzione di mappe cognitive operative o astratte e autoregolative.
C’è la necessità di una comunicazione empatica, emozionale, rassicurante fatta di regole, norme che diano sicurezza e fiducia.
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